La riforma della Costituzione sulla base del diritto naturale

Il procedimento di revisione costituzionale e i diritti naturali
E’ divenuta ormai indifferibile una modifica della Costituzione italiana, anche alla luce degli eventi degli ultimi due anni. Prima di cominciare ad affrontare il merito di cosa si può e si deve cambiare, chiediamoci in che modo viene modificata la Costituzione italiana. La modifica della Costituzione è regolata dall’articolo 138. Per modificare la Costituzione è necessario che la proposta di modifica (legge di revisione costituzionale) sia approvata sia dalla Camera sia dal Senato. L’approvazione da parte delle due Camere deve avvenire due volte, a distanza di tre mesi da ogni deliberazione. Questo significa che sono necessarie ben quattro votazioni. Le ultime due votazioni sono particolarmente importanti. Perché la votazione sia valida, è necessaria la maggioranza assoluta. Al contempo, se la maggioranza è inferiore ai due terzi, è possibile chiedere un referendum costituzionale per approvare la riforma. In caso la riforma passi con una maggioranza superiore ai due terzi, come avvenuto per la riforma del 2012, non è possibile chiedere un referendum. Il processo particolarmente faticoso è stato voluto dai costituenti proprio per assicurarsi che le riforme costituzionali fossero ben meditate e concordate con l’opposizione. È interessante notare che la legge sui referendum risale al 1970, e prima di allora non era quindi possibile organizzare referendum costituzionali.
Detto ciò in ordine al modus, va precisato che non tutti gli articoli possono essere oggetto di riforma. Ad esempio, i primi 12 articoli sono espressione di principi naturali talmente alti ed insiti nella natura stessa dell’uomo che essi non possono essere oggetto di revisione o modifica; così come la revisione non può riguardare la forma repubblicana (art. 139 costituzione).  
Detto ciò, andiamo ad affrontare la questione principale. Che riforma attuare o ideare?
 
Abbiamo detto che i primi 12 articoli sono di fatto immodificabili. Tuttavia, ciò non toglie che una revisione possa prevedere diritti in aumento rispetto al modello legale. Questa tematica mi pare oltremodo attuale alla luce delle restrizioni dei diritti degli ultimi anni, specie quelli riguardanti i diritti cosiddetti naturali.
Ora, analizziamo le singole disposizioni di legge, partendo proprio dai primi 12 articoli.
 
ARTICOLO 3
Il primo articolo da riformare in senso più garantista per il cittadino è l’articolo 3, il quale stabilisce che lo Stato ha il compito di rimuovere gli ostacoli che rendano impossibile il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del paese.
In primo luogo va ribadito che dal tenore letterale della norma risulta chiaro che il pieno sviluppo della persona umana è considerato un vero e proprio diritto del cittadino, tanto che lo Stato deve rimuovere gli ostacoli che lo rendano difficile. Ed è proprio da questa considerazione che nasce la idea di riformare l’articolo in commento, prevedendo non più come un semplice compito rimuovere gli ostacoli suddetti, ma un obbligo in tal senso in capo alla Stato, in modo da permettere al cittadino stesso una reazione pretensiva in casi di sua violazione. Sarebbe ovviamente una rivoluzione copernicana rispetto al testo esistente, in quanto il diritto al pieno sviluppo della persona umana può comprendere i più svariati campi del vivere quotidiano, come la salute, il lavoro, gli hobbies, gli sports, ecc. ecc.
Ogni ostacolo che lo Stato tollerasse nello sviluppo della persona umana del singolo cittadino integrerebbe una violazione di legge costituzionale come tale impugnabile nelle competenti sedi giudiziarie al fine di imporre, con un provvedimento avente natura di sentenza, allo Stato di adempiere al precetto costituzionale.
 
ARTICOLO 6
L’articolo 6 costituisce anche esso uno dei cardini del nostro sistema costituzionale. Esso afferma che  La Repubblica  tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
La tutela delle minoranze linguistiche rappresenta il cambio netto di rotta adottato in relazione alle minoranze dopo la caduta del regime fascista, ponendo le basi di uno Stato democratico, in tutto e per tutto. Il regime fascista aveva infatti adottato una politica fortemente repressiva nei confronti delle minoranze, giungendo sino al punto di “italianizzare” cognomi e nomi di origine straniera (soprattutto in Alto Adige).
L’articolo in esame, oltre ad impedire qualsiasi forma di discriminazione basata sull’appartenenza a minoranze linguistiche, dispone anche una tutela positiva, con lo scopo di conservare il patrimonio linguistico e culturale di tali minoranze. In ogni caso, ciò non toglie che, in ossequio al principio di unitarietà dello Stato, l’uso della lingua italiana goda del primato rispetto alle altre lingue.
Nella prospettiva di una revisione della Costituzione, ci si chiede se non sia il caso di mettere in Costituzione la tutela di tutte le minoranze, non solo linguistiche. Si pensi alle minoranze religiose o ad altro tipo di minoranze, pure esse oggetto di possibili discriminazioni.
 
ARTICOLO 10
L’articolo 10 della Costituzione costruisce uno degli aspetti fondamentali del nostro vivere quotidiano. Esso infatti stabilisce che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali……”.
Come noto a tutti, L’articolo 10 della Costituzione stabilisce la volontà della nostra Repubblica di rispettare il diritto internazionale. Quando però si parla di diritto internazionale non si deve pensare a una legge specifica, un codice o un testo unico. Non c’è nulla di scritto. Si tratta piuttosto di consuetudini internazionali, ossia regole di condotta non scritte rivolte a tutti i soggetti della comunità internazionale e che ne regolano i rapporti per la convivenza pacifica tra i vari Stati. Le consuetudini internazionali non sono altro che comportamenti costantemente ripetuti nel tempo da tutti i popoli nel corso dei secoli e perciò ritenuti ormai vincolanti. Se non avessimo il diritto internazionale staremmo in continua guerra. L’articolo 10 significa anche cooperare per la pace nel mondo.
L’Italia si apre quindi ideologicamente alla comunità internazionale, impegnandosi ad emanare leggi che non contrastino con le norme generalmente accettate da tutti gli altri popoli.
Grazie all’articolo 10, il diritto internazionale entra automaticamente a far parte del nostro ordinamento, senza bisogno di una legge di recepimento come invece succede per i trattati internazionali. 
Questo non significa che il nostro Stato abbia ceduto la propria sovranità, che debba sottomettersi alla volontà dei Paesi più ricchi o che sia obbligato a soccombere dinanzi ai flussi migratori provenienti dai Paesi ove regnano guerre e dittature. La norma dice semplicemente che l’Italia post-fascista non è più uno Stato chiuso in se stesso (come lo erano, del resto, tutti i Paesi fino a metà del 900), ma è una comunità aperta. Dire che l’Italia è «aperta» significa affermare che il nostro ordinamento si impegna ad armonizzare le nostre norme costituzionali con quelle del diritto internazionale. Resta fermo però che tali norme non devono contrastare con i principi fondamentali della nostra Costituzione, quelle stesse norme che tutelano i diritti inalienabili della persona e che costituiscono un limite invalicabile. 
Ciò significa, tanto per fare un esempio scolastico, che se l’Europa dovesse decidere di istituire la pena di morte o di ripristinare le leggi razziali, l’Italia deve rifiutarsi di aderire a tale politica. 
Tuttavia, non ci si può nascondere che, specie negli ultimi 20/25 anni vi è stata una vera e propria invasione acritica da parte del diritto internazionale, ormai ratificato sine ratione dal parlamento italiano, cosa che ha reso non solo più complesso il panorama legislativo italiano, già disastroso,  ma ha reso, di fatto, inutile il parlamento stesso, tanto che ormai la fonte primaria della legge in italia è l’Unione Europea.
Ciò impone un serio quesito sul se e come limitare la invasione di spazio legislativo operata dalla legislazione internazionale. E’ ovvio che qui il discorso di fa più complesso è lungo ed è per questo che verrà affrontato in altra sede.
 
ARTICOLO 11
 L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Tuttavia essa consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Questo stabilisce l’articolo 11.
Il punto a mio avviso debole del detto articolo è la parte in cui affronta il problema delle limitazioni di sovranità, che, poi, fa da parallelo alla problematica affrontata prima, quella dell’articolo 10.
Le limitazioni di sovranità, infatti, non dovrebbero mai divenire, nella sostanza, cessione di sovranità legislativa, cioè la soppressione della potestà legislativa interna a favore di una potestà internazionale certamente non eletta e comunque non scelta dai cittadini italiani. Ciò, tra l’altro, è in aperto contrasto anche con l’articolo 1 della Costituzione, nella parte in cui dice che la sovranità appartiene al popolo, oltre che in contrasto con la forma scelta dal costituente per la produzione legislativa interna, cioè i decreti legge e leggi parlamentari. Entrambi gli strumenti sono presi in considerazione come assolutamente paritari dalla Costituzione proprio perchè sia gli uni che gli altri sono assoggettati al controllo dei singoli parlamentari, unici membri, all’interno dell’apparato statale centrale, ad essere eletti direttamente dal popolo. A questo punto occorrerebbe spendere numerose parole per parlare della legge elettorale in vigore, ma anche questo argomento sarà oggetto di un prossimo contributo.
 
In conclusione, sui primi 12 articoli della Costituzione, ci si limita a ribadire che una revisione in senso più garantista a mio avviso è necessaria ed auspicabile, anche se sui modi e termini di essa vanno raccolte le idee di tutti coloro che pensano che il sistema così come è non funziona più.
 

3 commenti su “La riforma della Costituzione sulla base del diritto naturale

  1. Grazie all’amico avvocato Sergio Carlino per l’inaugurazione di questa sua nuova rubrica dal titolo «La Legge è uguale per tutti?». Quel punto interrogativo sottintende la nostra radicata critica all’istituzione della Magistratura che considero intrinsecamente marcia nel contesto di uno Stato collassato e alla Giustizia che considera morta nel contesto della nostra civiltà decaduta.
    L’obiettivo della Comunità Casa della Civiltà e più specificatamente della Commissione Giustizia, di cui Sergio Carlino è il Coordinatore, è di rifondare il potere Giudiziario e di elaborare la bozza di una nuova Costituzione che metta al centro il bene primario degli italiani e l’interesse supremo dell’Italia.
    In questa fase tutti i contributi sono utili, fermo restando che l’insieme dell’attività delle 13 Commissioni debba avere una uniformità sul piano dei contenuti per sfociare in un Programma di Governo autorevole e praticabile.
    Grazie di cuore carissimo Sergio per il tuo straordinario contributo.
    Magdi Cristiano

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