Quando nel 1973 uscì il film “Jesus Christ Superstar” – ed ancora prima, quando fu rappresentata a teatro l’opera – sorsero subito diverse polemiche: infatti alcuni esponenti del mondo cattolico non potevano accettare che la divinità di Gesù non fosse data per certa nel testo di Tim Rice e nella sceneggiatura di Melvyn Bragg e di Norman Jewison, ma si faceva notare che era anche vero che in nessun modo si negava che il Nazareno fosse figlio di Dio. E poi, la scelta di un Giuda di colore, quale era Carl Anderson, purtroppo prematuramente scomparso, non era forse un chiaro segno di razzismo? Niente affatto, perché, come ribatté anche Tim Rice, a teatro, in precedenza, c’erano stati tantissimi Giuda dalla pelle chiara, e solo per caso, o meglio, per le straordinarie qualità canore di Andersson, si era scelto il cantante di colore per il ruolo del traditore di Gesù.
L’assenza della figura della Madonna nell’opera e nel film ingenerava non pochi dubbi e perplessità, ma qualcuno sostenne che sarebbe stato difficile costruire un personaggio credibile in un simile contesto.
La Maria Maddalena dell’opera, palesemente innamorata di Gesù, destava molti dubbi, per alcuni, ma, ad essere sinceri, non c’è una scena che faccia capire che Cristo corrispondesse questo sentimento da parte della donna, se non in senso fraterno.
Ted Neeley, che impersona mirabilmente Gesù nella versione cinematografica dell’opera e che ancora, a 78 anni, lo interpreta a teatro facendo sempre sfoggio delle sue intramontabili grandi qualità canore e sceniche, ha rivelato che Papa Paolo VI era rimasto favorevolmente colpito dal film, visionato in anteprima, ed avrebbe gradito una rappresentazione dell’opera a Roma.
Recentemente, Papa Francesco ha detto a Ted Neeley, durante un’udienza, che aveva fatto più lui per il Cristianesimo interpretando Gesù di quanto avesse mai potuto fare qualsiasi altra persona, Papa compreso.
Alcuni compositori accusarono (ingiustamente) Lloyd Webber di avere spudoratamente attinto dai grandi classici del passato, facendo capire, a mio avviso, che la favola della volpe e l’uva è sempre attuale e che l’invidia è una gran brutta bestia.
Il film fu girato in Israele, fra le rovine di Avdat nella zona desertica del Negev, e in altre parti del Medio Oriente. Non fu necessario costruire particolari scenografie aggiuntive, perché tutto quello che era necessario, era già presente. Le rovine nelle scene in cui compaiono Anna e Caifa, sono veramente quelle del palazzo dei sommi Sacerdoti: le impalcature, evidentemente tracce di un restauro allora recentemente concluso, furono trovate sul posto dalla troupe e furono lasciate perché giudicate dalla regia interessanti ed utili per la realizzazione del film.
Il set era simile ad un palcoscenico teatrale, dato che l’opera era pur sempre stata pensata per essere rappresentata in un teatro. Fin dall’inizio, la musica ed il montaggio cinematografico vanno di pari passo e seguono lo stesso ritmo; di fatto, Jesus Christ Superstar rappresenta il primo video musicale di lunga durata, visto che non ce ne erano mai stati prima.
Ted Neeley, inimitabile interprete di Gesù nel film, voleva una parte, e, non potendo proporsi con un provino, perché impegnato a teatro a Los Angeles nell’opera rock “Tommy”, degli Who, invitò il regista Nornam Jewison a vederlo in una rappresentazione per potergli mostrare le proprie qualità. Sfortunatamente Neeley si ferì in modo lieve alle prove la mattina e per questo la sera stessa della recita non poté esibirsi e fu sostituito: Jewison arrivò proprio quello stesso giorno apposta da Palm Sping per vedere il cantante, e, quando con sua grande sorpresa non lo trovò sul palco, si adirò moltissimo. Ted allora invitò il regista ad un pranzo pacificatore, e riuscì a convincerlo a puntare su di lui, cosa che fortunatamente successe.
La BBC aveva bandito il disco, perché riteneva che fosse sacrilego, così, nella trasposizione cinematografica, furono apportati dei cambiamenti in alcuni versi, cercando di smussare ogni angolo: nella scena di Gesù e dei lebbrosi, il brano The Temple ha un’esclamazione «Heal yourselves!» (Guaritevi da soli!) che diventa «Leave me alone!» (Lasciatemi in pace!), nella scena del giudizio di Pilato, la frase «There may be a kingdom for me somewhere, if I only knew» («Ci potrebbe essere un regno per me da qualche parte, se solo lo sapessi») è diventato «If you only knew» (Se solo lo sapeste) e nella morte di Giuda, la frase «What you have done will be the saving of Israel» (Quello che hai fatto sarà la salvezza di Israele) è stato mutato in «The saving of everyone» (La salvezza di tutti).
Sembra quasi che ci sia stata una sorta di mano magica ed invisibile a guidare il regista, che, per sua stessa ammissione, ottiene dei risultati sorprendenti quasi involontariamente: si pensi all’immagine dell’ombra di un pastore che spunta dal nulla a sorpresa nell’ultima scena, e che viene ripreso dalla cinepresa solo per caso. Il regista si accorse solo in fase di montaggio di questa presenza imprevista, ma, giudicatala funzionale ed opportuna, decise di lasciare così come era la scena, che, in effetti, risulta molto suggestiva.
Il cast era composto di cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, per cui tutte le religioni erano presenti sul set; chiunque si presentasse al regista durante la lavorazione del film, veniva ingaggiato come comparsa.
Gli elementi moderni ed i riferimenti biblici si armonizzano magicamente, a riprova che se si lavora con intelligenza, tutto è accettabile e, anzi, può essere anche geniale: così i soldati romani con elmetti moderni e lance antiche ed i mercanti del tempio con oggetti appartenenti indubitabilmente al secolo scorso, non appaiono assolutamente contraddittori e dissonanti.
La stessa musica geniale di Andrew Lloyd Webber contiene elementi “classici” che si fondono in modo mirabile con il rock, così gli archi della London Symphony Orchestra diretta da André Previn, che accompagnano il sublime monologo di Gesù nel Getsemani, si uniscono al resto degli strumenti più “moderni” senza nessuna contraddizione.
Del resto anche tutto il film, girato nel deserto, si sviluppa in modo naturale, perché, anche se sembra avvalersi di effetti speciali, in realtà non ne furono mai impiegati: infatti il vento, che spesso soffia nei momenti più opportuni e sembra seguire il ritmo della musica e della narrazione, era vero, come vera era la notte durante la quale Yvonne Elliman/Maria Maddalena canta l’immortale “I don’t know how to love him”, in cui confessa di ignorare la natura del suo amore verso Gesù.
La scena della crocifissione, trasposta sul grande schermo, in sede di montaggio, a Londra, risultava priva di commento musicale, perché i brani contenuti nell’album e che costituivano il materiale su cui si basava il film, erano finiti. Così il direttore d’orchestra e compositore André Previn fu costretto ad aggiungere un brano per pianoforte e coro che ovviamente non compare nella versione che viene eseguita a teatro.
Anche le polemiche, in sostanza, giocarono a favore del film, perché, come disse una volta Ted Neeley, non è possibile trattare un tema religioso senza urtare la sensibilità di qualcuno e ciò è un bene, perché le discussioni creano interesse e contribuiscono a far conoscere meglio il prodotto artistico.
Jewison sostiene (a ragione) che il cinema è come un buon libro: dura per sempre.
Infatti “Jesus Christ Superstar” non invecchierà mai e dopo tanti anni è sempre vivo ed attuale come del resto, dopo quasi 2000 anni, il Vangelo che l’ha ispirato.
Per me questa opera è e resta un autentico capolavoro, capace di commuovere intere generazioni: molti hanno cercato temerariamente di imitarla, scrivendo musical sullo stesso soggetto, ma tutti hanno fallito, come fallirebbe chi volesse, oggi, scrivere un’altra Traviata o un altro Flauto Magico. Missioni impossibili.
Caro Stefano, hai descritto in modo magistrale l’opera Jesus Christ Supestar nella sua genesi ed evoluzione come un vero capolavoro ispirato e guidato dall’Alto, oltre che interpretato da grandi e geniali autori e magnifici cantanti. Confesso di avere dia il disco dell’Opera, sia una autoregistrazione in VHS a nastro posteriore. Ogni volta che sento un brano resto colpito e meravigliato dalla naturalezza dello svolgimento della storia e dalla unione perfetta tra messaggio spirituale religioso ed elementi anche diversi e naturali dentro l’opera, che raccontano una storia di 2000 anni fa’, con atmosfere hippy di 50 anni fa ed elementi antichi e moderni, ma che sembrano parlarci di una vicenda odierna con la stessa carica di bene e amore da sempre perché resterà immortale come l’Uomo che l’ha vissuta e ispirata, il Dio che ce l’ha donata, salvandoci dal buio delle tenebre indicandoci oggi ancora la Via, la Verità, la Vita!
Grazie Stefano per il meraviglioso Racconto.