Sembra esserci nell’uomo, come nell’uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove.
(Marguerite Yourcenar)
Testimoni perenni
Di questa ispirazione ostinata
Dimora dei segreti dell’universo
Assurdo tormento metropolitano
Alveare
Di enigmi lontani e indescrivibili
Tutti pigiati nel sudore della calca
Uno contro l’altro
Senza tendersi la mano
Attanagliati dalla paura di vivere
Vittime inconsapevoli dell’angoscia
Di ignote leggi cosmiche
Nella tempesta delle meteore
Nell’intreccio di cuori
Spezzati dalle delusioni
Parole in fila nella processione del villaggio
Preghiere intrise di pietà
Recitate adagio ai confini del bosco
Sui gradini sbrecciati dell’oratorio del campo Tutti in corsa verso la fine del delirio di onnipotenza
Pochi stracci di vele al vento di tramontana
Zattere di fortuna in balia di onde
gigantesche
Cumuli di nuvole grigie
Acre odore di cenere
Calore di brace roventi
Fumo irritante e malvagio
Vite appese al miracolo della creazione
Toni aspri
Urla
Inconsapevoli
Lamenti indistinti
Ferite antiche
Risate soffocate
Nell’ ebbrezza consueta della follia
Fedele ancella della commedia umana
Cammini aspri senza meta
Irti di ostacoli sconosciuti
Improvvisi
Agguati nel buio della notte
Cupi clamori nel gelo della palude
Senza il tepore delle stagioni del mondo
Statue immobili di aquile nel cielo
Luci distanti di stelle solitarie
Vite trafitte dalla spada tagliente dell’ingiuria
Dalla lama affilata della violenza
Anemoni di pura tristezza
Sconfitte dalla maledizione della carne
Dall’insulto della noia
E dalla sorda
Desolata disperazione dell’anima
Nemmeno il silenzio turba la paziente attesa
Alla porta dell’ultima sorella
Ormai non c’è che il pianto universale
Fiumi di lacrime amare
Cantilene di litanie sulle rive
A implorare il perdono
Di tutti i peccati della terra
A disegnare nell’aria
Le ali distese di un cormorano
A cogliere
I petali insanguinati di una nobile rosa
Recisa anzitempo nel giardino
Insormontabili pareti di pietra
Profili aguzzi di vette imbiancate
Enormi profonde
Vagabonde chimere nello scrigno dell’inquietudine
A sconfiggere per sempre
Attraverso l’eterno sogno e la polvere
Della speranza
Lo sgomento incalzante della passione
L’ingannevole trama del successo
Il tormentoso fuoco dell’amore
Il turpe sconforto della miseria
Il severo cruccio dei rimpianti
La tenue illusione dell’immortalità
E la insistente pena di esistere
Ad accompagnare
Come la carezza di una madre
L’ineluttabile distacco
L’ignobile trionfo delle maschere
E lenire un poco
Prima del grande passo nell’ombra
Oltre le soglie della fine
Il dolore di vivere
Foto di copertina: Giuseppe Migneco, “ La partenza dell’emigrante”
Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.
È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.
Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.
“Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.
Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.
Tutti noi abbiamo provato almeno una volta la “necessità di sentirsi altrove” ; penso ai popoli vittime di tante guerre…penso al loro bisogno di fuggire….
Ma penso anche a noi nel nostro quotidiano…di fronte ai nostri compiti e alle nostre responsabilità…spesso si vorrebbe essere più leggeri…
In questi giorni sto leggendo” – Stoner – un bellissimo romanzo nel quale ho trovato una frase secondo molto significativa e che potrebbe sostenere le nostre debolezze, soprattutto quando non ci si sente all’altezza delle situazioni che si vivono.
la condivido con voi:
“… deve ricordare chi è e chi ha scelto di essere, e il significato di quello che sta facendo…”