Fiaschi d’autore…

C’è chi dice che coloro che hanno avuto una carriera musicale fortunata, hanno anche avuto la lungimiranza di considerare un insuccesso iniziale come una tappa necessaria, un trampolino di lancio, un’opportunità.

E certamente così deve avere pensato anche Elvis Presley, che, nel 1954, si sentì dire dal manager Jim Denny, dopo il primo provino:

“Non sfonderai mai. Dovresti tornare a fare l’autista di camion”.

Sappiamo tutti che, fortunatamente, Elvis non seguì questo consiglio e che fece, sì, tanta strada, ma non a bordo di un camion…

La prestigiosa casa discografica londinese Decca bocciò i Beatles, preferendogli il gruppo Brian Poole and the Tremeloes, oggi dei perfetti sconosciuti, ed abbiamo visto tutti come la storia sia poi andata a finire.

A parziale discolpa dei discografici, va detto che i Beatles si presentarono all’audizione stanchi e nervosi e che non cantarono i migliori brani del loro repertorio, evidentemente male consigliati dal loro manager.

La stessa Decca stava per respingere anche i Rolling Stones, due anni più tardi, e solo per intercessione di George Harrison (scherzi del destino…), decise di metterli sotto contratto, per paura di commettere un altro errore di valutazione marchiano come quello che in cui erano incorsi con i Beatles.

Nel mondo della cosiddetta musica colta credete che le cose siano andate  (e vadano tuttora) diversamente? Certo che no.

Gioachino Rossini, alla prima del “Barbiere di Siviglia” a Roma, il 20 febbraio 1816, assaggiò l’amaro gusto dell’insuccesso anche a causa di molti sfortunati avvenimenti che concorsero a rendere ridicola la recita: infatti, mentre il Conte d’Almaviva cantava la sua serenata a Rosina, una corda della chitarra si ruppe ed un gatto nero attraversò all’improvviso il palcoscenico, suscitando l’ilarità generale.  Ad onor del vero, un ruolo importante in questo fiasco fu giocato soprattutto dalla presenza a teatro dei sostenitori di Paisiello, (il primo ad avere scritto un’opera sullo stesso soggetto), che mal digerivano il remake del pesarese e che non mancarono fin dall’inizio di esprimere il loro disappunto con sonore contestazioni.

Oggi “Il Barbiere di Siviglia” è una delle opere più presenti nei cartelloni di tutto il mondo: ma chi l’avrebbe mai detto la sera della prima?

Il “Fidelio” di Ludwig van Beethoven (l’unica opera scritta dal Maestro di Bonn e rappresentata per la prima volta con il titolo originario di “Leonore” a Vienna nel 1805) non incontrò subito il favore del pubblico anche a causa della sua eccessiva lunghezza. Beethoven non si perse d’animo e non pensò minimamente di accusare gli spettatori di insensibilità verso la sua musica: i tre atti di “Leonore” diventarono due, dopo i tagli apportati dal compositore, e l’opera fu così nuovamente proposta nel 1806, ma, ancora, senza successo. A questo punto il lavoro fu ritirato dallo stesso Beethoven e tenuto da parte fino al 1814, quando, dopo una profonda revisione del libretto, fu riproposto nella sua terza versione e, questa volta, con il titolo di “Fidelio”.

Lo stesso Maestro scrisse, a proposito di questa opera: “Di tutte le mie creature, il “Fidelio” è quella la cui nascita mi è costata i più aspri dolori, quella che mi ha procurato i maggiori dispiaceri. Per questo è anche la più cara; su tutte le altre mie opere, la considero degna di essere conservata e utilizzata per la scienza dell’arte”.

Come potete vedere, un atteggiamento ben diverso da chi, oggi, sembra cronicamente afflitto dalla sindrome del genio incompreso.

Alla prima della “Clemenza di Tito”, nel 1791, l’ultimo anno della sua breve vita, l’autore, uno dei più grandi geni musicali di tutti i tempi, Wolfgang Amadeus Mozart, si sentì dire da Maria Luisa di Borbone, moglie dell’Imperatore Leopoldo, che l’opera era “una porcheria tedesca”.

Igor Stravinsky, nel 1913, alla prima parigina de “La Sagra della Primavera”, fu travolto dalle contestazioni del pubblico che fischiò sonoramente il balletto, che, come tutti sanno, conobbe poi un prepotente trionfo internazionale.

“Madame Butterfly” di Giacomo Puccini, rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano nel 1904, fu un fiasco suggellato da “grugniti, boati e muggiti” del pubblico.

Il compositore toscano apportò delle modifiche e tre mesi dopo l’opera fu riproposta con successo a Brescia.

E’ del tutto spiegabile anche il flop di Giuseppe Verdi con l’opera buffa, “Un giorno di regno” (1840), se si pensa che proprio durante la sua stesura, il Cigno di Busseto perse tragicamente in pochi mesi sia la moglie che i due figli, trovandosi quindi in uno stato d’animo non certo ideale per scrivere musica su un soggetto comico.

Il clamoroso insuccesso suonò per Verdi come una definitiva stroncatura, tanto che il Maestro si ritirò a Busseto, deciso a lasciare per sempre la composizione. Il teatro scaligero, però, nonostante tutto, gli commissionò un’altra opera: il “Nabucco”. Poco convinto dalla proposta, il compositore portò comunque il libretto a casa, lo buttò sul tavolo e, come per magia, le pagine si aprirono proprio al punto del celeberrimo coro “Va’ pensiero…”.

Scattò una scintilla e Verdi, ispirato da questi versi, si mise al lavoro con entusiasmo riprendendo così la carriera di compositore per sua e nostra fortuna.

Potrei citare moltissimi altri casi di insuccessi tramutati poi in trionfi, e, in tutte queste circostanze, potrei sempre (o quasi) sottolineare l’atteggiamento di umiltà e di autocritica dei compositori, che non pensarono nemmeno per un momento che il pubblico dovesse per forza tributare alle loro opere un successo che poi sarebbe arrivato solo dopo tormentati ripensamenti e sofferte modifiche alle partiture.

E qualche compositore, per arrivare ad affermarsi, mise definitivamente nel cassetto alcune sue creazioni accolte freddamente o decisamente male dal pubblico, per dedicarsi ad altri lavori, ideati però con criteri diversi da quelli che avevano ispirato le opere che erano state stroncate.

Nessuno di questi grandi maestri pensò di ingraziarsi il giudizio dei posteri: a loro bastava il favore del pubblico dell’epoca, ma non per questo il loro processo creativo, intellettualmente onesto, può essere considerato come il frutto di compromessi e di concessioni ad un gusto estetico superficiale.

Chissà come sarebbero trattati oggi questi compositori se fossero ancora vivi e pubblicassero i loro lavori su Facebook o su Youtube. Chissà quanti “mi piace” riuscirebbero ad ottenere e chissà quante feroci critiche riceverebbero, senza il vantaggio di essere … morti, perché, siamo sinceri, un compositore vivente è un bersaglio facile, salvo pochissime fortunate eccezioni, e non viene in mente a nessuno di onorarlo dedicandogli associazioni ed intitolandogli strade, se non dopo secoli dalla sua scomparsa. Quando poi tutti (ma proprio tutti) hanno la facoltà di esprimersi, fra l’altro protetti dall’anonimato garantito dalla rete, qualche strafalcione viene sempre fuori: è fisiologico. E’il bello (o il brutto) della democrazia, e qualcuno era andato giù duro, definendo addirittura “legione di imbecilli” tutti i commentatori della rete, in nome di un elitarismo tipico di certi intellettuali.

Di una cosa però sono sicuro: credo che Mozart, Beethoven o Rossini, una volta letti i commenti sui loro ipotetici quanto improbabili profili di Facebook, non si esalterebbero per quelli elogiativi e nemmeno si offenderebbero troppo per quelli negativi (perché ce ne sarebbero, credetemi…), ma mediterebbero su come fare per migliorarsi, come del resto fecero ai loro tempi.

Perché loro, su una torre d’avorio, non sono mai saliti…

3 commenti su “Fiaschi d’autore…

  1. Carissimo Stefano sono senza parole davanti all’immensa cultura con la quale ci erudisci ogni volta. Non è solo quello che scrivi ma come lo scrivi. Le curiosità, gli aneddoti, le Opere dei grandi Maestri,
    dove passato e presente si intrecciano in un unica superlativa danza.
    Grazie per il tuo incessante e prezioso contributo.

  2. Molti interessante e bello il racconto sugli insuccessi ed errori dei Maestri di ieri trasformati poi dopo revisione in opere immortali. Raccontati da Stefano con cognizione personale e piacevole brio, come fossero qui oggi a mostrarci le loro debolezze ma anche la grande forza dei geni, la determinazione e l’umiltà, nel rispetto della propria arte ed ispirazione e del pubblico a cui comunicare emozioni e bellezza senza esaltazioni del proprio Ego.
    Grazie Maestro.

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