Senza casa
Sono amico degli alberi del bosco
Della rugiada dei prati
Dell’acqua limpida dei ruscelli
Del vento impetuoso
Sulle vette imbiancate
Dalla prima neve dell’autunno
Cerco i fiori più belli
I colori più lucenti
Il mio dono alla dama incantata del castello
Ridono quando cammino senza meta
Valletto fedele e paziente
Credulo e amoroso
Con il volto di maschera grigia
E il trucco liberatore
Il mio nido di losanghe multicolori
Audaci e tenere
Le note vibranti di pifferi e tamburi
Danzano garrule fra la gente indifferente
Al fascino inquieto della luna
E si frangono inerti sulle pendici del monte
Il fiero galoppo di cento cavalli
Tamburi ignari nella sabbia della battigia
Si spengono in lontani impercettibili nitriti
I corvi messaggeri del tramonto gracchiano intorno
Alle mura ancora umide dell’ultima pioggia
Qualcuno si posa curioso sui merli
Disegnati nel cielo della notte
Resto solo a guardare nella pianura
Il campanile della pieve
I casali sparsi nella prima nebbia
Lo spicchio della mia anima sola
Appesa quasi alle nuvole
Una stella confusa fra le tante
Nella folla spensierata
Intanto è tutto diventato più
Buio
Nel borgo distratto
Nessuno adesso vede
Gli occhi umidi
del mio pianto sottile
Vagare nel sogno magico
Di questo lungo giorno di festa
Lo sente invece quella donna lontana
Oltre l’orizzonte
Dove altere e instancabili volano le cicogneile

Arlecchino è savio o matto? È intelligente o balordo? Sono domande impossibili, perché la maschera si muove su un piano diverso. Anzi ciò che turba è la doppiezza o polivalenza della maschera.
(Giorgio Strehler)

Foto di copertina: “La Maschera di Arlecchino” di Gaetano Minale detto il Molisano

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

Lascia un commento

error: Questo contenuto è protetto