Adelchi, eroe romantico tra razionalità e tragicità

I personaggi dell’Adelchi, tragedia di Alessandro Manzoni, presentano precise caratterizzazioni psicologiche e sociali. Da un lato ci sono i personaggi “politici”, quelli negativi, che rappresentano la morale comune e che seguono la legge della forza, dell’interesse e della brutalità del mondo, Carlo e Desiderio; dall’altro i personaggi “ideali”, portatori di valori nobili e disinteressati, immuni dalla contaminazione della realtà politica, Adelchi ed Ermengarda. Oltre a questa suddivisione, che riguarda prevalentemente la similarità e l’opposizione tra i personaggi in relazione alla loro moralità, è possibile individuare ulteriori rapporti di somiglianza o di differenza, quando si mettono in gioco le relazioni sentimentali tra di loro. Adelchi, opposto a Desiderio per indole e valori, è legato a lui per amore filiale e perché appartiene alla sua stessa fazione. Ermengarda, principessa longobarda e quindi nemica di Carlo, è però ancora innamorata di lui. Adelchi e Carlo, infine, opposti lungo il corso della tragedia per la loro rivalità che dipende dal contrasto politico tra i gruppi a cui essi rispettivamente appartengono, nella scena finale sono protagonisti di un avvicinamento definitivo e risolutivo. Conclusasi la battaglia, Carlo può smettere i panni del nemico e avvicinarsi compassionevolmente al rivale, riconoscendone la dignità e onorandolo con sacro rispetto e stima.

Si rileva che tra alcuni personaggi appartenenti alla medesima fazione esiste una relazione che spesso è di contrasto, di opposizione, non di somiglianza. Il che contraddice all’identità di prospettive, di aspirazioni e di obiettivi comuni che di solito si prevede tra gli appartenenti ai singoli gruppi politici. Tra Desiderio e Adelchi c’è un legame sentimentale, essendo loro padre e figlio, ma il fatto che essi appartengano alla medesima fazione politica non li rende istituzionalmente concordi. Esistono, insomma, delle motivazioni intrinseche, di tipo sentimentale e psicologico, interne ad alcuni personaggi, che conferiscono loro dei ruoli che non sono quelli che l’istituzione di appartenenza formalmente gli riconosce. Le aspirazioni del personaggio singolo sono dettate da istanze individuali che non coincidono con quelle dell’intera comunità.

All’inizio dell’atto terzo si legge:

 

ADELCHI

[…] Il mio nemico

parte impunito. […]

[…] Ed io sull’empio

che m’offese nel cor, che per ammenda,

il mio regno assalì, compier non posso

la mia vendetta! Un’altra impresa, Anfrido,

che sempre increbbe al mio pensier, né giusta

né gloriosa, si presenta: e questa

certa ed agevol fia.

 

E ancora, subito dopo,

 

ADELCHI

[…] noi guiderem sul Tebro

tutta Longobardia, pronta, concorde

contra gl’inermi, e fida allor che a certa

e facil preda la conduci. […]

Qual guerra! E qual nemico! Ancor ruine

Sopra ruine ammucchierem: […]

[…] – Oh! Mi parea,

pur mi parea che ad altro io fossi nato,

che ad esser capo di ladron; che il cielo

su questa terra altro da far mi desse,

che senza rischio, e senza onor, guastarla.

 

Desiderio ha in mente un piano politico di conquista che prevede un’azione militare contro lo Stato pontificio, facile preda e obiettivo di certo non prestigioso. Adelchi, invece, vorrebbe poter incontrare sul campo il nemico Carlo e vendicarsi contro di lui per l’offesa subita dalla sorella Ermengarda. Lo spirito, il carattere, i sentimenti di Adelchi sono quelli di un uomo che aspira a grandi imprese, a nobili azioni, del tutto diverse da quelle che si stanno progettando da parte del padre e che stanno per compiersi. Per la sua indole, caratterizzata da un animo puro e allo stesso tempo da un temperamento coraggioso ed energico, Adelchi potrebbe essere definito un eroe. Se si intende, però, l’idea di eroe nel senso tradizionale di colui il quale, per le sue qualità straordinarie, si pone come un riferimento mitico e ideale per tutta una comunità, quasi a farsene rappresentante eccellente, in cui tutti possono identificarsi, Adelchi non è un eroe.

Egli non può essere rappresentativo delle aspettative e delle ambizioni della comunità, perché essa si impronta su una realtà e su un agire pratico che sono diversi da come l’animo giusto e nobile del protagonista si prospetta debbano essere. La condizione esistenziale del protagonista si individua in un rapporto di contrasto, non di esemplarità rispetto agli altri. Adelchi è eroe solo nella misura in cui si distingue da tutti gli altri per una sua superiore elezione morale e spirituale che lo rende l’unico uomo eccellente in una società degradata e in crisi.

Adelchi è un eroe “pensoso”. Il suo rifiuto del negativo si isterilisce nel chiuso dell’interiorità, nella pura contemplazione della propria sconfitta e nella degradazione delle proprie aspirazioni. Egli, però, non è mai travolto da quella foga ribelle, tipicamente romantica, che rischia di scomporre un atteggiamento pacato e razionale che, in lui, invece, non viene mai meno. La razionalità e la capacità di meditare su se stesso e di acquisire una pacata e oggettiva consapevolezza della propria dimensione esistenziale, gli permettono di redimersi dal dissidio interiore che lo condanna all’inazione nella realtà e che viene superato in un definitivo e oggettivo giudizio disilluso, ma sereno, sul mondo.  L’emblematicità poetica che Adelchi assume nell’ottica ideologica del Manzoni si specifica alla luce di un’osservazione che tiene conto di due aspetti fondamentali della sua poesia e della sua tecnica rappresentativa realizzati nell’Adelchi.

Da un lato è significativo il rispetto della dimensione costruttiva dell’opera, all’interno della quale i contenuti del messaggio etico – morale universale, che l’autore intende esprimere, non prevaricano sul piano della storia e dello sviluppo della vicenda, ma vengono ad essa coordinati, sfuggendo così da ogni apriorismo giustificazionistico che intacchi l’attendibilità oggettiva di quello che si dice. Adelchi si farà portavoce eletto delle convinzioni cristiane del Manzoni non prima della fine, nella sua meditazione conclusiva, quando, al termine di un percorso di crescita e di maturazione individuale, che è seguito, progressivamente, nelle sue varie fasi, egli mostrerà piena consapevolezza del messaggio stesso e lo rivelerà, in punto di morte, al padre in lacrime. Dall’altro lato è da sottolineare la funzione didattica che Manzoni conferisce alla Tragedia. Adelchi è l’uomo che vuole farsi modello per tutta la società a cui Manzoni indirizza l’opera. Egli è l’individuo che esce dalla logica “viziata” del mondo e che lo fa attraverso un atto di comprensione e di intelligenza della realtà. Il fatto stesso di acquisire razionale consapevolezza della realtà, consente al protagonista di collocarvisi in una posizione cosciente e imparziale che gli permette di scorgere nel mondo una legge superiore, inconoscibile, che fa sì che le cose vadano sempre in una maniera incontrollabile, al di fuori della specifica e individuale volontà dell’uomo.

L’istanza comunicativa che muove l’autore a riconoscere all’opera una funzione pedagogica e che sta alla base della riscrittura stessa, da parte sua, del genere tragico, nasce dalla volontà di esprimere, pur nella pessimistica denuncia dell’impossibilità di cambiare il mondo, retto dal male e angosciato dal dolore, il possibile sbocco costruttivo dalla trama intricata della realtà, che egli riconosce nel singolo individuo e nelle potenzialità del suo pensiero e del suo intelletto. L’uomo che capisce e si rende consapevole di come vanno le cose nella realtà, che si ferma e si contempla, senza, così, farsi coinvolgere vorticosamente dagli eventi, ha in sé lo strumento fondamentale della sua salvezza.

Significative, in tal senso, le parole rivolte da Adelchi al padre, sul letto di morte, alla fine dell’atto V:

 

ADELCHI

Cessa i lamenti,

cessa, o padre, per Dio! Non era questo

il tempo di morir? Ma tu, che preso

vivrai, vissuto nella reggia, ascolta.

Gran segreto è la vita, e nol comprende

Che l’ora estrema. Ti fu tolto un regno:

deh! Nol pianger; mel credi. Allor che a questa

ora tu stesso appresserai, giocondi

si schiereranno al tuo pensier dinanzi

gli anni in cui re non sarai stato, in cui

né una lagrima pur notata in cielo

fia contra te, né il nome tuo saravvi

con l’imprecar de’ tribolati asceso.

Godi che re non sei, godi che chiusa

All’oprar t’è ogni via: loco a gentile,

ad innocente opra non v’è; non resta

che far torto, o patirlo. Una feroce

forza il mondo possiede, e fa nomarsi

dritto: la man degli avi insanguinata

sminò l’ingiustizia; i padri l’hanno

coltivata col sangue; e omai la terra

altra messe non dà. Reggere iniqui

dolce non è; tu l’hai provato; e fosse;

non dee finir così? Questo felice,

cui la mia morte fa più fermo il soglio,

cui tutto arride, tutto applaude e serve,

questo è un uom che morrà.

 

Il tono della pagina manzoniana risulta complessivamente sostenuto e vibrante. A questo effetto concorrono sia il lessico, per la presenza di vari termini aulici, di latinismi, come fia, al verso 349, oprar, al verso 352, oppure iniqui, al verso 359, sia la sintassi, con i lunghi e articolati periodi, sia l’uso dell’enjambement, che oltre a conferire un senso di maggiore unità e compattezza al discorso, consente anche la sottolineatura emotiva di alcuni termini (ad esempio, ora estrema, ripetuto peraltro due volte nel corso dei versi 343 – 345).

Gli aspetti stilistici più significativi, però, sono altri. Rispetto alla poesia drammatica di origine o di stampo classicistico, si evidenzia, soprattutto, la tendenza alla riduzione delle inversioni sintattiche, la scarsa presenza delle esclamative e delle interrogative. Il tratto più evidente di questo dialogo è il suo essere un momento di riflessione: la drammaticità nasce da un andamento ragionante e pacato. Come conferma della significativa novità che questo tipo di procedimento rappresenta, si noti come nel seguente breve estratto dalla commovente pagina foscoliana dell’incontro tra Jacopo e Parini nella lettera del quattro dicembre delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, sia, invece, fortemente pregnante, pur essendo questo un brano in prosa, la presenza di continue interruzioni del periodo e la realizzazione di un procedimento tipicamente a climax ascendente nell’uso del lessico e della punteggiatura, per dare il senso dell’accrescimento del pathos e dell’intensificarsi rapido della densità emotiva del discorso: «A quelle parole io m’infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? Morremo? Ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore».

 

4 commenti su “Adelchi, eroe romantico tra razionalità e tragicità

  1. Straordinario Davide. Una lezione impeccabile.
    L’ho apprezzata tantissimo. È impressionante leggere oggi brani che sono stati oggetto di studio negli anni della scuola e la consapevolezza diversa con la quale si legge e si riflette sugli stessi da adulti. Grazie.

    1. Ringrazio te per avermi letto, Susanna. Hai colto uno degli elementi di maggior fascino della letteratura: i testi cambiano cambiandone i lettori, pur mantenendo la loro oggettività storica. La sfida è proprio quella di saper riconoscere del Passato ciò che non può essere messo in discussione, cioè i suoi contenuti non negoziabili.

  2. Ringraziamo l’amico Davide Ficarra per questa magistrale esposizione narrativa e critica della tragedia di Alessandro Manzoni, il cui protagonista Adelchi simboleggia l’eroe che è tale in quanto pienamente e integralmente se stesso nell’integrità della sua morale, nel rigore del suo comportamento e nella determinazione del suo operare. Un eroe che va controcorrente e che si scontra con il pensiero e la prassi dominante. L’eroe di cui oggi, in questa epoca buia della nostra civiltà decaduta, abbiamo massimamente bisogno per rinascere interiormente e riscattarci come comunità.
    Questa lezione magistrale di Davide Ficarra conferma che solo conoscendo il nostro passato noi possiamo capire il presente e progettare un futuro qualitativamente migliore. Adelchi ci fa toccare con mano delle similitudini con il degrado della nostra epoca e ci insegna che la Storia si ripete perché, nel bene e nel male, siamo noi uomini a forgiare la Storia con le virtù e i vizi che ci sono connaturati e che manifestiamo in modo similare nel corso di millenni.
    Magdi Cristiano Allam

    1. Grazie dell’intervento, Magdi. Condivido in pieno la tua analisi e le osservazioni che offri in merito all’esemplarità del personaggio manzoniano e al valore intrinsecamente pedagogico che Manzoni riconosce alla sua opera, auspicando che i suoi lettori ne ricavino il messaggio profondo che tu stesso hai bene precisato. La Storia è magistra vitae. Solo nel passato troveremo le risposte alle domande che il nostro Presente ci pone.

Rispondi a Davide Maria Rosario Ficarra Annulla risposta

error: Questo contenuto è protetto