Resilienza: lemma impiegato in diversi settori e concetto noto da anni nella pratica manageriale legata al cambiamento e alla capacità delle aziende e dei loro manager di adeguarsi alle discontinuità generate su tutti i fronti dallo stesso, è stato di recente scoperto dagli amanti del “politically correct” e applicato a tutte le tematiche comportamentali del variegato panorama degli attuali scenari nazionali e internazionali.
Accade sempre così di tutti i contesti in cui bisogna creare o riscoprire, anche se tardivamente e talvolta a sproposito, definizioni calzanti e innovative. È stato così per il fenomeno delle start up, scoperto dagli esperti di sviluppo economico dei nostri illuminati governi e dai loro “velinisti” dei grandi media solo 30-35 anni dopo che da altre parti era nato, si era sviluppato e aveva raggiunto persino una certa maturità.
Peccato che a fronte dell’invasione dialettica di questo “nuovo” significante non vengano prese adeguate misure di preparazione degli operatori dei vari settori ad una adeguata e strutturata reazione nei periodi di emergenza del paese.
Abbiamo infatti notato, con il consueto disappunto e sperimentata delusione, come il nostro Paese si sia trovato in una situazione sanitaria di assoluta emergenza senza che le stanze della politica abbiano potuto mostrare di aver adottato opportune scelte metodologiche riguardo a tutte le fasi di pianificazione e cioè senza la dovuta resilienza del sistema esecutivo del paese. Anche qui si è cominciato a parlare di resilienza necessaria solo quando ormai le mancate risposte avevano assunto dimensioni distruttive più vicine al naufragio che non a una faticosa ma risolutiva esibizione di efficace resilienza nazionale.
E oltre a riconoscerne la impellente necessità, che di per se sarebbe stato un tardivo ma utile vantaggio, non si è saputo rispondere adeguatamente in più di un anno alle fasi successive di “sviluppo” della pandemia ma ci si è persi in una frammentata, confusa e inefficace convergenza di misure di governo in cui la promessa virtuosità del decentramento amministrativo regionale ha agito come la principale causa del frenante irrigidimento e quindi dell’aumento delle criticità della soluzione prospettata. Oltre ad esibire quindi tardivamente e spesso a sproposito la parola resilienza occorrerebbe quindi lavorare per una adeguata preparazione di operatori e infrastrutture atte a fronteggiare sfide di tali dimensioni e in seguito tutte le sfide che questa tragica azione della pandemia avrà provocato e generato nel fragile tessuto socioeconomico del paese.
Dovrebbe essere nel frattempo risultato chiaro quindi alle centinaia di esperti ingaggiati dall’esecutivo e all’esecutivo stesso che resilienza significa anche “duro lavoro” (per non ripetere il famoso motto “lacrime e sangue”) per controbilanciare le fragilità proprie del nostro sistema con opportune azioni di recupero, senza dover scivolare nella svendita coatta e nella cessione non solo dei diversi livelli di sovranità già conferiti ad altre sedi istituzionali ma anche di tutti quei tesori virtuali e reali di cui forse ancora per poco disponiamo.