L’Avvenire, 23 settembre 2022 – Ottantatremila. Se la scuola italiana vuole tornare davvero ad essere inclusiva, accogliente e su misura di bambino, deve ripartire da questo numero. Sono stati infatti 83 mila i ragazzi bocciati nell’ultimo anno scolastico. Non per demerito, studio scarso, impreparazione. No. Semplicemente, perché non hanno frequentato la loro classe un numero di giorni sufficienti per poter essere valutati. Hanno fatto troppe assenze, oltre il limite massimo consentito, pari indicativamente a un quarto dell’orario annuale. Ragazzi che non vanno a scuola, ragazzi che restano a casa, ragazzi che rinunciano a partecipare a un prezioso momento di formazione educativa e sociale. Alle elementari, alle medie, alle superiori.
Un fatto impensabile, fino a pochi anni fa. L’abbandono scolastico è diventato, dunque, un elemento di contesto imprescindibile. A Nord come a Sud. «Dove sono finiti questi nostri figli? Chi se ne farà carico, se non sappiamo dove sono e perché non vengono a lezione? », si domanda Marco Rossi Doria, un passato come maestro di strada a Napoli e poi come Sottosegretario all’Istruzione nei Governi Monti e Letta, un presente come Presidente dell’impresa sociale “Con i Bambini”. «È un numero esorbitante e quel che più preoccupa è che non ci sono strategie di recupero» continua.
In che senso?
«Ci sono 500 milioni per la lotta alla dispersione scolastica, c’è un piano lanciato a luglio dal Ministero dell’Istruzione per garantire percorsi di recupero ai ragazzi interessati. Ci sono risorse del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) e altri fondi europei a disposizione. Ma è tutto fermo».
Perché?
«Abbiamo due ordini di problemi: da un lato spetta alle scuole, nella loro autonomia, muoversi attraverso i dirigenti scolastici, dall’altro tocca al Ministero dare indicazioni chiare. Se uno studente viene bocciato, va previsto un piano di recupero. Ci vuole coerenza tra annunci e fatti concreti: la mano destra deve sapere cosa fa la sinistra e viceversa».
Teme che il fenomeno della dispersione scolastica possa essersi ampliato ulteriormente con l’avvio del nuovo anno scolastico?
«Non abbiamo dati a disposizione adesso, ma di certo il fenomeno legato ai cosiddetti fallimenti educativi e formativi era già cresciuto prima del Covid, con una concentrazione preoccupante nel biennio della scuola superiore. È da vent’anni che servono interventi concreti e questo non interessa solo la scuola, ma tutta la società civile».
Anche il Terzo settore, però, attraversa una fase critica, vista la carenza di vocazioni educative…
«È vero, ma un’alleanza tra realtà sociali e mondo dell’istruzione è fondamentale. Con progetti ad hoc si raggiungono molti più ragazzi. Non possiamo lasciare l’iniziativa a singoli dirigenti scolastici, per quanto meritevoli e volenterosi. Quanto alla carenza degli educatori, tanti di loro hanno lasciato le realtà non profit per entrare proprio nel mondo della scuola. Il vero problema è che, a fronte di una penuria di figure professionali di questo tipo, sono aumentati bambini e ragazzi poveri».
La povertà educativa nel Mezzogiorno è un’emergenza dimenticata?
«Non è solo un problema del Sud, l’Italia è un territorio articolato e complesso. Per tanti professori, insegnare nelle lande desolate dell’esclusione sociale, nei paesi abbandonati e nelle periferie delle grandi città, è un compito difficile. Lo scandalo resta la mancata regia, prevista dall’articolo 118 della Costituzione, territorio per territorio. È il momento di mettere d’accordo tutte le agenzie educative, famiglia compresa. Siamo di fronte a una crisi educativa a tutto tondo. Chiunque andrà al governo, sappia che dovrà affrontarla sin da subito».
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La scuola e i dirigenti, nella loro autonomia, cercano di evitare le bocciature dovute a un numero di assenze oltre il limite consentito stabilendo delle deroghe al regolamento e analizzando le situazioni singolarmente. Questo però non risolve il problema, che nella maggior parte dei casi si ripresenta negli anni scolastici successivi, fino all’abbandono definitivo. Attribuire la causa del problema esclusivamente alla scuola e a questa delegare il compito di risolverlo è riduttivo e non considera le cause a monte. Nella maggioranza dei casi il fenomeno dell’abbandono e collegato allo svantaggio socioeconomico, culturale e al disagio abitativo della famiglia d’origine. L’istruzione scolastica non è più considerata un valore e tantomeno un investimento a garanzia di un riscatto sociale, di un progetto lavorativo futuro. Le prime vittime dei messaggi ed esempi negativi che sviliscono il valore dell’istruzione e denigrano l’impegno scolastico sono oggi proprio quei giovani che vivono nella propria famiglia varie forme di disagio e l’angoscia della disoccupazione, sempre più diffusa. Davanti alle innumerevoli problematiche giovanili, la politica si rifugia nella retorica di parole inutili e non tenta altra cura che quella delle chiacchiere. Occorre investire per ricostruire la persona e la società. Il tessuto sociale con prospettive lavorative e di un ambiente di vita dignitosi, la persona con l’impegno educativo, rivalutando il valore dell’istruzione, dell’accoglienza, dell’ascolto e dell’attenzione. I giovani sono il futuro, dobbiamo far sì che possano tornare a guardare al loro futuro con serenità, a fare progetti, perché oggi sentono di non avere un domani nella nostra società e questo è molto grave. Quando si pensa di non avere un futuro si smette d’investire in esso.