Dopo la rivoluzione islamica del 1979, il regime iraniano ha continuato a scivolare nelle mani di una potenza sostanzialmente militare, la cui spina dorsale è rappresentata dalle Guardie rivoluzionarie. Tuttavia, molti iraniani ricordano con rimpianto un’epoca, quella dello Scià Reza Pahlavi, quando la libertà di vivere la propria esistenza non era troppo dissimile da quella occidentale. La Rivoluzione iraniana degli ayatollah, che costrinse lo Scià all’esilio, portò il popolo iraniano verso una deriva sociale, con oppressioni lontane anche dai dettami islamici, scandendo una peculiare “ossessione puritana” e introducendo, nella neonata Repubblica islamica sciita, la legge coranica: la sharia. Anche lo Scià Mohammed Reza Pahlavi era musulmano, ma questo non ha mai impedito la “comunicazione tra i sessi” – come scriveva Giovanni Battista Casti nel suo “Relazione di un viaggio a Costantinopoli” – nel suo più ampio significato. E tantomeno la libertà di abbigliarsi a proprio gusto. Ma dal 1979 quel velo che accomuna in vari modi le religioni monoteiste è diventato nell’islam sciita iraniano, sottolineo iraniano, l’ostentazione di un obbligo religioso, la cui non osservanza è considerata una esibizione eretica e blasfema. Eppure, la ventiduenne curdo-iraniana Mahsa Amini, uccisa dalla “polizia morale” il 16 settembre per il suo look poco tradizionale, ha scosso la comunità iraniana, sia quella presente nel Paese che fuori dai confini.
Dalla morte di Mahsa Amini, il numero di iraniani coraggiosi che protestano contro il regime è fortemente in crescita. La donna curda di 22 anni, arrestata il 13 settembre per aver indossato “in modo inappropriato” il velo, è spirata tre giorni dopo, a causa delle violenze esercitate dalla polizia. Così, il decesso della giovane è arrivata a cristallizzare mesi di proteste nelle strade di Teheran contro la teocrazia totalitaria degli ayatollah. Il suo sacrificio ha dato alle donne iraniane il coraggio di compiere gesti inimmaginabili. Sono ormai centinaia a togliersi il velo nei luoghi pubblici, a tagliarsi i capelli in segno di protesta, con il rischio di subire il “trattamento” che ha ricevuto Mahsa. La forte oppressione verso le donne e verso la cultura nel suo complesso non è altro che il segno di una immane debolezza, che vede la sua forza nella violenza, nell’incutere paura e nel non dialogo come l’unico sistema per controllare il popolo. Gli iraniani, mentalmente liberi, sono molti. E il Governo di Teheran è l’emblema di una ipocrisia ideologica, che vede e non vede, che sa e non sa. È noto che nell’intimità delle mura domestiche la vita soprattutto dei giovani (e spesso istruiti) iraniani è diversa da quella condotta fuori dell’uscio. Qui vivono la stessa libertà dei coetanei occidentali: godere dei propri sentimenti, delle proprie gioie, dei vestiti sgargianti, delle calze a rete, delle scarpe eleganti, del trucco. Ma al chiuso e senza clamore, nonostante le frequenti spiate alla Polizia morale da parte di ottusi e rigidi obbedienti al regime, magari livorosi dei sorrisi e delle gioie. Le donne iraniane sono considerate tra le più belle rappresentanti del genere femminile al mondo, però la loro conturbante estetica è completata da un carattere coraggioso. E, come vediamo, indomito.
Dopo la rivoluzione del 1979, la diaspora iraniana è stata una delle più grandi al mondo. Negli Stati Uniti, Paese in cui sono fuggiti centinaia di migliaia di iraniani dopo la fine della monarchia imperiale, Ciro Reza Pahlavi, l’ultimo principe ereditario dell’Iran, ha goduto di una forte popolarità. Negli ultimi anni la sua immagine è accresciuta, essendo diventato il volto del periodo di cui suo padre, Shah Mohammad Reza Pahlavi, fu l’ultimo imperatore. Sabato 24 settembre, in memoria di Mahsa Amini, tra gli iraniani arrivati a Washington per protestare, era presente anche Ciro Reza Pahlavi, figura dal forte significato politico. Ciro è apparso commosso. Ha partecipato a una veglia insieme a un nutrito numero di persone. Intorno a lui uomini e donne sventolavano la vecchia bandiera iraniana, affiancata dagli emblemi imperiali del leone e del sole. Con essi anche la principessa Noor Pahlavi, figlia maggiore di Ciro, che è anche la sua erede dinastica. Era abbigliata con jeans strappati e canotta, severamente vietati in Iran.
Da giorni l’imperatrice Farah Diba, madre di Ciro Reza Pahlavi, pubblica su Internet e sui social network sia comunicati stampa, sia video a sostegno delle proteste iraniane. Nell’agosto del 2021 il principe ereditario Ciro Reza, pochi giorni dopo che l’ultraconservatore Ebrahim Raïsi aveva prestato giuramento come nuovo presidente, disse che era convinto che il regime che depose suo padre nel 1979 fosse sull’orlo del collasso, aggiungendo, “quello di cui gli iraniani hanno bisogno ora è un sostegno più forte da parte dell’Occidente”, anche alla luce del voto che ha visto oltre la metà degli elettori disertare le urne.
Le proteste in Iran sono forti e costose a livello di vite umane. Si parla di un numero che va dalle 35 alle cinquanta vittime. Molto probabilmente i pasdaran e l’esercito iraniano, con il tempo, riusciranno a soffocare anche questa ribellione, dopo averne represse molte negli ultimi quarant’anni. Infatti, il regime iraniano è sopravvissuto a molte sfide, sia a quelle arrivate dall’esterno – dai nemici iracheni e statunitensi – o alla contestazione dei risultati delle elezioni presidenziali del giugno 2009, dove il riformista Hossein Moussavi, verosimilmente vincitore delle elezioni, fu estromesso da Mahmoud Ahmadinejad, espressione del regime. I mullah hanno sempre giocato sporco, ma con successo, le proprie carte, soffocando nel nascere ogni protesta.
Tuttavia, è evidente che senza un aiuto esterno e un forte e incisivo consenso interno, i Pahlavi non potranno rientrare, né tantomeno si potrà realizzare un avvicendamento al potere con la forza di una opposizione asfissiata. Ma è anche vero che le forti donne iraniane dovranno essere in qualche modo ascoltate da chiunque riuscirà a governare. Intanto, la vita delle donne e degli uomini “laici” continuerà dentro le mura domestiche. Le vetrine di abbigliamento femminile, non solo di Teheran, proseguiranno a esporre e vendere abiti sgargianti, intimi, sensuali, in contrasto con “l’obbligatorio hijab o con il facoltativo chador” che, anche se indossati con la forza, non riusciranno mai a umiliare né l’estetica, né il carattere delle iraniane. E, meno che mai, il loro sorriso.
Dalla morte di Mahsa Amini, il numero di iraniani coraggiosi che protestano contro il regime è fortemente in crescita. La donna curda di 22 anni, arrestata il 13 settembre per aver indossato “in modo inappropriato” il velo, è spirata tre giorni dopo, a causa delle violenze esercitate dalla polizia. Così, il decesso della giovane è arrivata a cristallizzare mesi di proteste nelle strade di Teheran contro la teocrazia totalitaria degli ayatollah. Il suo sacrificio ha dato alle donne iraniane il coraggio di compiere gesti inimmaginabili. Sono ormai centinaia a togliersi il velo nei luoghi pubblici, a tagliarsi i capelli in segno di protesta, con il rischio di subire il “trattamento” che ha ricevuto Mahsa. La forte oppressione verso le donne e verso la cultura nel suo complesso non è altro che il segno di una immane debolezza, che vede la sua forza nella violenza, nell’incutere paura e nel non dialogo come l’unico sistema per controllare il popolo. Gli iraniani, mentalmente liberi, sono molti. E il Governo di Teheran è l’emblema di una ipocrisia ideologica, che vede e non vede, che sa e non sa. È noto che nell’intimità delle mura domestiche la vita soprattutto dei giovani (e spesso istruiti) iraniani è diversa da quella condotta fuori dell’uscio. Qui vivono la stessa libertà dei coetanei occidentali: godere dei propri sentimenti, delle proprie gioie, dei vestiti sgargianti, delle calze a rete, delle scarpe eleganti, del trucco. Ma al chiuso e senza clamore, nonostante le frequenti spiate alla Polizia morale da parte di ottusi e rigidi obbedienti al regime, magari livorosi dei sorrisi e delle gioie. Le donne iraniane sono considerate tra le più belle rappresentanti del genere femminile al mondo, però la loro conturbante estetica è completata da un carattere coraggioso. E, come vediamo, indomito.
Dopo la rivoluzione del 1979, la diaspora iraniana è stata una delle più grandi al mondo. Negli Stati Uniti, Paese in cui sono fuggiti centinaia di migliaia di iraniani dopo la fine della monarchia imperiale, Ciro Reza Pahlavi, l’ultimo principe ereditario dell’Iran, ha goduto di una forte popolarità. Negli ultimi anni la sua immagine è accresciuta, essendo diventato il volto del periodo di cui suo padre, Shah Mohammad Reza Pahlavi, fu l’ultimo imperatore. Sabato 24 settembre, in memoria di Mahsa Amini, tra gli iraniani arrivati a Washington per protestare, era presente anche Ciro Reza Pahlavi, figura dal forte significato politico. Ciro è apparso commosso. Ha partecipato a una veglia insieme a un nutrito numero di persone. Intorno a lui uomini e donne sventolavano la vecchia bandiera iraniana, affiancata dagli emblemi imperiali del leone e del sole. Con essi anche la principessa Noor Pahlavi, figlia maggiore di Ciro, che è anche la sua erede dinastica. Era abbigliata con jeans strappati e canotta, severamente vietati in Iran.
Da giorni l’imperatrice Farah Diba, madre di Ciro Reza Pahlavi, pubblica su Internet e sui social network sia comunicati stampa, sia video a sostegno delle proteste iraniane. Nell’agosto del 2021 il principe ereditario Ciro Reza, pochi giorni dopo che l’ultraconservatore Ebrahim Raïsi aveva prestato giuramento come nuovo presidente, disse che era convinto che il regime che depose suo padre nel 1979 fosse sull’orlo del collasso, aggiungendo, “quello di cui gli iraniani hanno bisogno ora è un sostegno più forte da parte dell’Occidente”, anche alla luce del voto che ha visto oltre la metà degli elettori disertare le urne.
Le proteste in Iran sono forti e costose a livello di vite umane. Si parla di un numero che va dalle 35 alle cinquanta vittime. Molto probabilmente i pasdaran e l’esercito iraniano, con il tempo, riusciranno a soffocare anche questa ribellione, dopo averne represse molte negli ultimi quarant’anni. Infatti, il regime iraniano è sopravvissuto a molte sfide, sia a quelle arrivate dall’esterno – dai nemici iracheni e statunitensi – o alla contestazione dei risultati delle elezioni presidenziali del giugno 2009, dove il riformista Hossein Moussavi, verosimilmente vincitore delle elezioni, fu estromesso da Mahmoud Ahmadinejad, espressione del regime. I mullah hanno sempre giocato sporco, ma con successo, le proprie carte, soffocando nel nascere ogni protesta.
Tuttavia, è evidente che senza un aiuto esterno e un forte e incisivo consenso interno, i Pahlavi non potranno rientrare, né tantomeno si potrà realizzare un avvicendamento al potere con la forza di una opposizione asfissiata. Ma è anche vero che le forti donne iraniane dovranno essere in qualche modo ascoltate da chiunque riuscirà a governare. Intanto, la vita delle donne e degli uomini “laici” continuerà dentro le mura domestiche. Le vetrine di abbigliamento femminile, non solo di Teheran, proseguiranno a esporre e vendere abiti sgargianti, intimi, sensuali, in contrasto con “l’obbligatorio hijab o con il facoltativo chador” che, anche se indossati con la forza, non riusciranno mai a umiliare né l’estetica, né il carattere delle iraniane. E, meno che mai, il loro sorriso.
“INDIA XXX siete autorizzati al rullaggio, pista in uso 22, QNH 1015…..” Questa era la comunicazione radio della torre di controllo di Pisa che principiava una missione indimenticabile. Era il 16 febbraio del 1979 e staccammo le ruote del nostro infaticabile C130H dalla pista dell’aeroporto di Pisa, alle ore 19.15, per uno di quei voli particolari che la brigata è spesso chiamata a compiere. Destinazione aeroporto di Teheran in IRAN con scalo tecnico ad Ankara in Turchia……”. E’ così che inizia il racconto che sto scrivendo su un volo che mi portò a Teheran quando si insediò Komeini. Una missione perigliosa oggetto di un articolo sui giornali nazionali che tenne in apprensione l’opinione pubblica: titolavano “equipaggio di Pisa in pericolo della vita”. A riceverci al ritorno dopo 17 giorni il Ministro della Difesa di allora che ci ringraziò stringendo la mano ad ogni componente dell’equipaggio.
Eh si caro Marco hai risvegliato in me un recondito ricordo della mia vita da pilota militare. Allora gli Iraniani lasciarono un mondo per tuffarsi in una altro completamente diverso e retrogrado: dalla monarchia alla teocrazia. Chissà se la rivolta continuerà o sarà soppressa, come altre precedenti, nel sangue e nel silenzio. Un dato è certo: non si può che essere solidali con il coraggio e la determinazione delle donne iraniane. Onore a Mahsa Amini con l’augurio che il suo sacrificio non sia vanificato e strumentalizzato da chi nel mondo, e per mire strategiche, ne voglia trarre profitto.