Se c’è qualcosa di minimamente consolatorio per l’Italia è che le peggiori ideologie di cui si fa portavoce sono sempre di importazione. Non sono concezioni autoctone.
Sul femminicidio, tutto parte dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza di genere, nei confronti delle donne e la violenza domestica, sottoscritta ad Istanbul l’11.05.2011, da 24 Stati europei e ratificata dal Parlamento italiano il 19.06.2013.
Vi si professano definizioni strutturalmente ancorate alla storia dei movimenti femministi (violenza domestica) e si ampliano verso il nuovo obbiettivo del superamento dei cosiddetti «stereotipi di genere», che poi sfocerà nella famosa teoria del gender.
L’Italia ha recepito tale Convenzione con la legge 14.08.2013, n. 93, cosiddetta “Legge contro il femminicidio”. Ma, le reali finalità di questa legge non sono quelle che appaiono.
Partendo dall’idea (di indiscutibile condivisione) di contrasto alla violenza sulle donne, la legge prepara un piano di omologazione culturale, che, guarda caso, partendo dalla scuola, sulla scia della lotta alla discriminazione, porti alla equipollenza di qualsiasi orientamento affettivo o sessuale.
In parallelo a ciò, l’azione pedagogica, così congegnata, descrive il maschio come un essere pericoloso per le donne e la famiglia come il luogo della violenza. Anche qui (come nel Disegno di Legge Zan) si è proceduto con la costruzione di una falsa emergenza (violenza sulle donne), per introdurre surrettiziamente un indottrinamento collettivo, inevitabilmente rivolto alla decostruzione della famiglia (e del suo potenziale riproduttivo) ed all’isolamento dell’individuo.
In Italia, nel 2013, non vi era alcuna emergenza di Ordine Pubblico riferita a reati contro le donne. E’ sufficiente esaminare la Relazione che il Ministero dell’Interno trasmise al Parlamento, sulle attività delle Forze di Polizia (consultabile al link: http://www.interno.gov.it/sites/default/files/relazione_al_parlamento_2014.pdf).
Solo leggendo questa relazione, in un capitolo interamente dedicato alla «violenza di genere» e al «femminicidio», si scoprono dati davvero sorprendenti: la maggior parte delle vittime, di qualsiasi genere di reato, è di sesso maschile, il 58,42%, contro il 41,58 del sesso opposto.
La tendenza è confermata anche per i cosiddetti «reati di genere», laddove il numero di vittime maschili, 51,11%, è maggiore del numero delle vittime femminili, 48,89%. Non solo, ma lo stesso trend della violenza sulle donne è in costante decrescita, dal momento che già nel periodo 2013-2014, passava dal 49,33%, al 48,89%, a differenza della violenza di genere sugli uomini che è aumentata dal 50,67% del 2013, al 51,11% del 2014.
Gli omicidi di donne sono un fenomeno stabile, tendenzialmente in calo qualsiasi sia l’anno preso come riferimento: oscillano fra i 160 (1998) e i 131 (2010). Nel 2019 gli omicidi sono 315 (345 nel 2018): 204 uomini e 111 donne (Report ISTAT anni 2018-2019).
Non esiste, dunque, nessun motivo che possa giustificare gli allarmismi di una presunta recrudescenza della violenza sulle donne (Cfr. T. Scandroglio, «Femminicidio? I dati sulle violenze dicono il contrario», vedi quotidiano on line “La Nuova Bussola Quotidiana”, del 10.03.2016).
C’è un altro dato che non viene mai analizzato come dovrebbe. La maggior parte dei casi di violenza si innesca alla fine di un rapporto (separazione, divorzio, fine fidanzamento/convivenza etc.), ma nessuno si permetterebbe mai di concludere che la separazione e il divorzio fomentano la violenza ed il femminicidio. Al contrario si descrive la famiglia come il luogo della violenza, tal ché proprio la separazione ed il divorzio sono rappresentati come strumenti di salvezza.
Concludo con una mia ultima osservazione, che non vuole essere assolutamente misogena, ma soltanto riequilibratrice dei rapporti uomo-donna.
Puntare i riflettori esclusivamente su un dato unilaterale, tacendo del tutto su quello opposto, è azione mistificatoria ed ispirata a mala fede.
Perché parlare solo di violenza sulle donne e non accennare mai alla violenza delle donne?
I risultati sarebbero davvero impresentabili.
Nell’ultimo quarto di secolo, nel nostro paese, è mutata la composizione per genere degli autori degli omicidi e anche il divario di genere fra gli autori di omicidio è diminuito. La quota delle donne sul totale delle persone arrestate o denunciate per questo delitto è più che raddoppiata, passando dal 3,9 per cento, nel 1992, al 9,1 per cento nel 2016, superando anche l’11 per cento nel 2014 (ricerca tratta da archivio del Ministero dell’Interno). Nell’ultimo quarantennio, dunque, nei paesi occidentali, vi è stata una tendenza alla convergenza fra la criminalità femminile e quella maschile.
Ma veniamo al dato tanto più scabroso, quanto più taciuto.
Scontando secoli di sottomissione, le donne, da sempre, non potendo rivolgere la loro istintività violenta verso gli uomini (per ovvie ragioni di forza fisica), hanno imparato ad interiorizzarla, non a reprimerla. Ebbene, più deboli delle donne ci sono solo i figli, spesso considerati l’unico ambito su cui poter esprime il loro potere o sfogare la loro rabbia.
Ecco perché le madri uccidono i figli.
Non raramente le donne uccidono i figli, anche per «vendicarsi dei mariti» (come sottolinea la filosofa Iris Murdoch), secondo la nota sindrome di Medea. Le statistiche dell’Ami (Associazione Matrimonialisti Italiani), che prendono in esame i dati dell’ISTAT (www.istat.it), riportano come dal 1970, al 2008 si siano consumati 378 infanticidi, con la media di circa 9,9 all’anno.
Gli autori degli infanticidi (da zero, a sei anni) sono nel 90% dei casi le madri.
Dal 2001 al 2008, vi sono stati 58 infanticidi, commessi dalle madri.
Si tratta di 58 infanticidi in 7 anni, ovvero 8,28 infanticidi all’anno.
Non andrei oltre, per non cadere nel tranello luciferino di esacerbare la rivalità uomo-donna. L’uomo e la donna, in quanto esseri umani, sbagliano certamente, ma non è giusto e non è corretto criminalizzare nessuno dei due. Occorre, invece, esaltarne le differenze e la loro innata potenzialità di amore, verso di loro e verso le loro creature.
Si vede allora come tutto quanto descritto non faccia che confermare il sospetto che la falsa “emergenza femminicidio” sia stata costruita ad arte per altri fini, assai meno nobili di quelli che vengono sbandierati.
Stefania Celenza
(5 novembre 2022)
E’ vero, purtroppo. Oggi il pensiero unico domina e sovrasta le menti, le parole, le scelte, le azioni. Il pensiero unico è di una pericolosità impressionante, perchè nasconde, dissimula, mistifica. Il pensiero unico entra nelle viscere anche delle migliori persone, nella massima buona fede. Ci si trova a pensarla come tutti, ci si trova a pensarla come si vuole che la si pensi, senza essercene accorti. Chi osa, oggi, dire che le politiche contro la violenza alle donne non sono altro che una colossale bufala? Chi può osare dirlo? Come si può esprimere la propria opinione, su questo, senza essere tacciati di maschilismo, fascismo e tanti altri “ismi”….?
La salvazza è solo quella di mettere al sicuro il nostro cervello. Essere noi stessi i guardiani di ogni nostro singolo pensiero.
Cara Stefania, sono totalmente d’accordo su ciò che hai scritto.
Aggiungo, la violenza sulle donne è una falsa emergenza per sterilizzare ed estinguere la nostra civiltà.
La responsabilità più grande del processo di estinzione è del femminismo.
Non quello di emancipazione ma quello di liberazione (quello per intendercidelle donne che vanno in piazza a bruciare il reggiseno e, cito testualmente, quelle che “hanno ritrovato il senso della loro esistenza dialogando con la propria vagina”. A casa mia si definirebbero delle pazze scatenate)
Questo sciagurato femminismo così come le campagne per l’aborto, non sono movimenti spontanei, ma sono movimenti sponsorizzati da milioni di dollari dai soliti noti, Gates e company, che hanno l’ossessione di sterilizzare le donne per il bene della Terra. Lo hanno fatto in Africa e vogliono farlo con le donne occidentali.
Ebbene, Il femminismo crea nelle donne odio per la maternità, odio isterico per il maschio brutto, cattivo e violento, odio per la civiltà cristiana, odio soprattutto per se stesse.
Sono donne che odiano le donne e che considerano l’uomo, che sia il padre o il marito, un potenziale stupratore o assassino. Sono donne che considerano l’eccezione, un uomo che uccide una donna, la norma.
Ebbene, vorrei dire a queste donne: curatevi e fate pace con voi stesse.
Trovo ineccepibile e documentato il rilievo di Stefania Celenza, che ha il merito di riportare alla verità una narrazione spesso riportata ed interpretata per fini non certo nobili.
Parità di genere non significa certo guardare ad un solo piatto della bilancia, ma avere rispetto per entrambi con delicatezza e compartecipazione al loro unico e vitale ruolo comune.
Condivido con ammirazione.