Ma davvero i conservatori sono marziani, alieni di un’etnia sommersa, fino a ieri clandestina, oggi addirittura al governo della nazione? No, non è affatto così. E non mi riferisco solo alla storia politica italiana e al partito conservatore latente che serpeggia da sempre nella storia d’Italia, annidato per decenni nel partito-regime, la Democrazia Cristiana.
Il miglior giornalismo letterario e civile del nostro paese ha avuto uno spiccato tratto conservatore. Sette firme riassumono il nostro grande giornalismo: in primis, il decano Giuseppe Prezzolini, che fondò le prime riviste culturali del Novecento così importanti nella storia civile del nostro Paese. E poi Panfilo Gentile, Curzio Malaparte, Leo Longanesi, Ennio Flaiano, Giovannino Guareschi, Indro Montanelli. Temperamenti diversi, stature differenti, ma accomunati dalla stessa indole: furono conservatori. Conservatori liberali furono pure i grandi direttori, Luigi Albertini del Corriere della sera, Alberto Bergamini del Giornale d’Italia che fu il primo vero quotidiano conservatore italiano; e Giovanni Ansaldo de Il Mattino.
Prezzolini non cominciò da conservatore ma da innovatore della cultura italiana, insieme al suo sodale Giovanni Papini. Ma a differenza di Papini, Soffici e della scoppiettante ciurma che si raccolse intorno, Prezzolini era freddo, realista, disincantato, a volte cinico; anche se affiancò il nazionalismo, lanciò il giovane incendiario Mussolini, partecipò alla festa crudele dell’interventismo. Ma prevalse nel tempo il suo distacco, la sua inclinazione a osservare da lontano la storia e le sue follie. Fino a che, in età veneranda, scoprì la sua indole di conservatore e vi dedicò ormai novantenne un celebre Manifesto dei Conservatori.
Di Prezzolini si considerò allievo Indro Montanelli. Da giovane fu fascista e ribelle, sulla scia di Berto Ricci, assunse via via nel tempo quel distaccato realismo che maturò poi con gli anni in conservatorismo. Uscì dal Corriere della sera, diventato troppo progressista, e a 65 anni fondò un nuovo quotidiano conservatore, Il Giornale. Conservatore un po’ anarchico, come Prezzolini.
Suo caro nemico fu Curzio Malaffare, di dieci anni più vecchio: lui, l’arcitaliano, esordì come conservatore, anzi reazionario, strapaesano e controriformista, oscillò durante il fascismo tra estremismo e antifascismo, per poi concludere la sua vita in modo sorprendente, tra Togliatti e la Cina comunista. Ma i suoi scritti segnano la parabola di un conservatore irrequieto.
Amico di entrambi fu Leo Longanesi, l’espressione più vivace del giornalismo conservatore in Italia. Lo fu anche durante il fascismo, dove oscillò tra adesione e fronda, ma si rivelò compiutamente conservatore nel dopoguerra, quando fondò la casa editrice Longanesi e Il Borghese, il più significativo settimanale conservatore italiano. Conservatore ironico e irriverente, a tratti preda dell’amarezza, condivise l’ironia e la malinconia con Ennio Flaiano, lanciato proprio da Longanesi come autore, che ebbe un ruolo importante anche nel cinema. Flaiano, a differenza di Longanesi, era lontano dalla destra conservatrice, fu un conservatore impolitico, impermeabile al fascismo e all’antifascismo, ai cattolici come alla sinistra.
Decisamente conservatore nel senso più classico, fu Giovannino Guareschi, scrittore popolare tra i più tradotti nel mondo, fondatore del settimanale Candido, che ebbe un ruolo importante nella storia politica e nell’affermazione dell’anticomunismo. Guareschi rappresentò l’anima rurale, paesana, cattolica, monarchica e tradizionalista del nostro Paese; nobilitò il conflitto tra democristiani e comunisti nella saga pop di don Camillo e Peppone, fu disegnatore efficace, autore di successo e rappresentò il mondo antico di Dio, patria e famiglia. Infine, meno famoso dei suoi colleghi citati, fu lo scrittore e giornalista Panfilo Gentile, un conservatore antesignano della critica ai radical chic, che lui definiva snob e alle “democrazie mafiose” degenerate in partitocrazie e cupole ideologico-affariste. Firma de Lo Specchio (altro settimanale conservatore) autore di saggi e di pamphlet affilati, mai stato fascista e tantomeno di sinistra, fu un elegante polemista e un critico del progressismo.
Mi sovvengono altri autori del giornalismo conservatore, come le storiche firme de Il Tempo, quotidiano cattolico-conservatore romano, Nino Badano ed Enrico Mattei (omonimo di Mattei dell’Eni), e Giovanni Artieri e Roberto Gervaso, il cattolico, vivente, Vittorio Messori.
Tornando ai magnifici sette vorrei far notare che quattro di loro ebbero vita breve, non superarono i sessant’anni (Longanesi, Guareschi, Malaparte) se non di poco (Flaiano), mentre furono longevi Prezzolini, che raggiunse i cent’anni, Montanelli, che varcò la soglia dei novanta e Gentile, ultraottantenne anche se si atteggiava a venerando già da tempo. Davanti alle vite brevi dei primi quattro ti sfiora il dubbio che abbiano lasciato incompiuta la loro opera. Dubbio che si conferma se si considera la fertile vecchiaia degli altri tre. Prezzolini in tarda età scrisse il suo Manifesto dei conservatori, e altre opere pregevoli, come Dio è un rischio e Cristo e/o Machiavelli. Montanelli in età da pensione, che non avevano raggiunto i suoi sodali Malaparte, Longanesi e Guareschi, fondò il Giornale e lo diresse per vent’anni, continuò a scrivere opere storiche di grande divulgazione e articoli, risposte ai lettori e interventi pubblici, lucido fino alla fine. Anche Panfilo Gentile scrisse i suoi pamphlet più famosi e polemici quando era già vecchio. E questo acuisce il rimpianto per gli anni rubati a chi tra loro morì più giovane. Chissà cosa ci siamo persi…
Infine un appunto: non c’è bisogno di andare in Inghilterra dal pur benemerito Roger Scruton per dirsi conservatori in Italia; c’è una lunga e bella tradizione nostrana, anche ben oltre il giornalismo.
La Verità – 13 novembre 2022
I magnifici sette conservatori nostrani