DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La lingua in prosa di Leopardi e la sua “poeticità”: la contemporaneità pensiero-parola e la “proprietà dello stile”

La parte conclusiva del saggio sull’epistolario di Leopardi è dedicata all’esame linguistico.

Ciò che interessa puntualizzare a De Sanctis è il fatto che quella di Leopardi è una lingua tecnicamente e formalmente esemplare.

Essa è facilmente comunicativa e presenta un fondamentale accordo con i contenuti di cui l’autore tratta nell’opera.

Questo accordo, che è una condizione richiesta normalmente, secondo De Sanctis, in tutte le opere in genere affinché presentino un’opportuna armonia e logica costruttiva, da Leopardi è rispettato al punto che lingua e contenuti si uniscono nei suoi testi, in un legame tanto stretto che si identificano, coincidono nei propri caratteri fondamentali.

E questo perché le lettere di Leopardi parlano della vita e della personalità dell’autore stesso, che quando scrive riflette in esse, la stessa semplicità ed “eloquenza” che egli presenta, in vita, nel suo carattere e nei suoi atteggiamenti personali.

Attraverso di esse, Leopardi si rivela, infatti, un uomo dalla

             

anima facile, soave, candida, data all’amore,

 

e, aggiunge De Sanctis, un uomo dalla “natura […] eloquente”, il quale scrive lettere che trattano materia comune e quotidiana ma con una nobiltà che risulta naturalmente dal fatto che

 

quando ei ritrae se stesso, la parola s’innalza all’altezza di lui, e prende la faccia e il colore e le attitudini e quasi il più intrinseco e segreto dei suoi pensieri.

 

Questo “riflettersi” fedelmente di Leopardi e manifestarsi, con corrispondenza, in quello che dice, serve a capire i motivi intrinseci e sostanziali per cui lo stile delle sue lettere è caratterizzato da una leggerezza e chiarezza espositiva non rispondente solo a istanze superficiali di tipo espressivo e formale ma pertiene a motivi più intrinseci e sostanziali.

La lingua leopardiana è tutta “creazione” intima e originale di chi scrive e, per questo, si presta bene a essere considerata come valido documento intellettuale, artistico e umano del proprio autore, che vi si esprime implicitamente.

Solo in relazione a questa funzione rivelatrice dell’autenticità e della sincerità dell’ispirazione del testo, la semplicità linguistica delle lettere leopardiane è una caratteristica tale che esse stesse, agli occhi di De Sanctis, assumono un ruolo progressivo tutto moderno nella storia della lingua letteraria italiana.

Proprio perché la loro è una lingua in cui la parola non si sovrappone mai al pensiero, ma “è il pensiero medesimo”, e perché elude ogni forma di estrinseca imitazione di formule verbali magari già cristallizzate, De Sanctis sottolinea come essa vada contro i

 

vecchiumi della fraseologia a imprestito della lingua di convenzione,

 

e li rinnovi in un discorso che mai si adagia su soluzioni formali e argomentative non autentiche.

Quella leopardiana è quindi una lingua prosastica che risulta originale e innovativa perché presenta una limpida chiarezza espressiva, ma soprattutto perché mostra una stretta corrispondenza tra le sue componenti costitutive che assimila stile e contenuti biografici.

La condizione per cui la lingua delle lettere di Leopardi stilisticamente si confà così strettamente al suo autore è misura stessa della sua originalità.

 Basta questo a giustificarne il valore estetico e la validità funzionale nonché l’armonia e l’equilibrio creativo.

Ma c’è dell’altro.

Poiché la vita di Leopardi è condotta tutta in meditazione, e la materia delle sue lettere è, per eccellenza, un ritratto della sua vita e della sua esistenza, l’argomento stesso che esse trattano risulta essere il suo “pensiero”.

Come dice De Sanctis,

 

il pensiero non è in lui cosa astratta, ed estrinseca alla vita, ma ha evidenza di parola e potenza di azione.

 

Parlare della vita di Leopardi significa formulare considerazioni intorno al suo pensiero e fare un discorso che specifichi i principi della sua concezione del mondo e le sue idee.

Un’opera indirizzata a trattare specificamente di lui, come le sue lettere, non può che essere un’opera filosofica e di meditazione.

Tuttavia le lettere leopardiane mancano della freddezza speculativa e intellettualistica del tono tipico del genere filosofico, perché sono scritti in cui è predominante piuttosto una componente sentimentale e affettiva sempre sincera che riconosce centralità alla fisionomia e alla concretezza umana dell’autore, che mai vi si appiattisce in un discorso eventualmente solo dottrinale e teorico.

Leopardi è capace nel suo epistolario così come in tutte le sue opere, di trovare un accordo univocamente sintetico tra istanze scientifico-dottrinali e intellettuali da un lato e, dall’altro, motivi sinceri di ispirazione e pienezza sentimentale dei contenuti che tratta, per il fatto che la sua personalità di artista, nella sua totalità, è al contempo poetica e scientifica.

Per questo si spiega perché Leopardi è eccellente nella capacità di accordare pensiero e parola.

La parola nel momento stesso in cui riflette il suo pensiero, è soprattutto

 

schietta e viva rappresentazione del suo stato,

 

perché la sua scrittura biografica è opera al contempo di speculazione intellettiva e poetica, che quando Leopardi scrive, assolve a una propria funzione confessionale nei confronti dei contenuti stessi della speculazione mentale del poeta.

Tuttavia, quest’atto sincero non è solo complementare a quello della elaborazione mentale del pensiero, ma si produce, poeticamente, nell’atto stesso in cui il poeta pensa e medita.

Il momento puramente intellettivo non precede, in Leopardi, quello della sua manifestazione concreta sotto forma di parole, ma si relaziona ad esso, piuttosto, secondo un rapporto di contemporaneità e coincidenza.

Il critico, infatti dice:

 

La sua parola è il pensiero medesimo, se egli è vero che il pensiero preesiste a quella solo logicamente, e che nel perfetto scrittore la parola èssi sposata al pensiero prima ancora ch’e’ si accorga dell’arcano connubio.

 

E, in ulteriore conferma di quanto detto,

 

Poi che questo spirito solitario non si nutre e non si alimenta di altro, che di se stesso ei vi si profonda tanto, che gli si toglie ogni altra vista d’intorno: donde quella che io chiamerei “proprietà dello stile”; per la quale egli non è mai altri che lui. Sempre nello scrivere de’ più tu trovi alcuna cosa che non è loro: reminiscenze di parlato e di scritto, di studi, di libri sovente di se medesimi in altri tempi e condizioni della vita. La parola è sempre in essi alcun che di estrinseco e come di soprapposto al pensiero: questo chiamano ornamento ed eleganza, e non è che improprietà, testimonianza di poco sano giudizio e d’ingegno falso. […]. Servi della consuetudine, la quale rubaci a poco a poco tutt’ i piaceri della vita, e gittaci nella noia e nel vuoto […].

 

De Sanctis introduce la categoria di “proprietà dello stile” per definire la principale delle caratteristiche “formali” della prosa leopardiana e ribadisce, così, dandone precisa definizione, la qualità per cui essa riflette la specificità individuale e inconfondibile della personalità leopardiana.

Leopardi, quando scrive, è tutto se stesso, non ricorre agli “altri”, non attinge agli esempi, fraseologici o lessicali, disponibili; né, tantomeno, la sua può essere intesa come una scrittura di “racconto”, che tratti freddamente materia o episodi del passato; essa si “produce” nel momento stesso in cui è attiva la sua meditazione concettuale e teorica.

Il suo discorso si proietta costantemente al presente e nasce tutto nell’atto stesso in cui lo si scrive: la parola va di pari passo col pensiero.

Esiste una contemporaneità creativa, nella prosa di Leopardi, tra pensiero e scrittura, per cui la scrittura tratta sempre del suo pensiero, da cui egli “non toglie mai il suo sguardo”, perché esso è al centro della sua stessa condizione esistenziale, che, si ribadisce, è quella di una vita condotta in meditazione.

Si può concludere che la caratteristica principale del modello di prosa che Leopardi ci fornisce è quello di una scrittura che ha la stessa qualità della sua attività in versi, che per questo è considerata moderna, cioè per il fatto che essa nasce da un atto creativo lirico e d’ispirazione poetica.

Nel momento stesso in cui Leopardi scrive, anche se lo fa in prosa e non in versi, egli fa opera di invenzione.

Basta questo al critico per dimostrare che il poeta soddisfa pienamente alle sue potenzialità poetiche e artistiche anche in questo suo tipo di produzione, non secondario alla lirica ma prezioso supporto ad essa nello studio del suo pensiero, delle idee e nella comprensione unitaria della sua personalità.

 

 

Partendo da un discorso intorno a un motivo apparentemente secondario di studio, qual è l’esame delle forme stilistiche della lingua prosastica di Leopardi, si giunge a riscoprire e a confermare, ritrovandoli implicati anche in questo tipo di indagine, i caratteri stessi della sua poetica. Ogni manifestazione letteraria del poeta è il risultato creativo di una personalità che rimane coerente con la sua individuale specificità intellettuale, sentimentale e poetica e con la sua capacità creativa, che fa di sé la sua costante fonte di ispirazione.

De Sanctis riconosce il carattere lirico e soggettivo dell’ispirazione poetica leopardiana e confermandolo nello studio dello strumento primo della sua comunicazione, qual è la lingua, lo individua come misura di eccezionalità e grandezza del poeta.

La base concettuale e filosofica del pensiero leopardiano si esprime proprio attraverso la poesia, manifestazione sincera della sua individualità; la questione critica intorno alla prosa leopardiana e alla sua lingua rafforza in De Sanctis l’idea che l’ispirazione poetica soggettiva e lirica di Leopardi sia la misura umanistica di una sua superiorità ideologica rispetto al suo tempo.

Chi capisce Leopardi lo fa perché riesce a non ridurlo e banalizzarlo alla figura di semplice “contemporaneo”, dichiarando la sua essenziale “classicità” nel momento stesso in cui egli si afferma come poeta attuale e moderno.

 

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