Da tempo volevo scrivere di questo mio paese
Del giorno remoto del commiato
Di quella valigia piena di speranze
Di quella banchina degli affetti
Di quel mattino d’autunno
Di quel treno nero e sbuffante
E di quella stazione
Che ho ancora davanti agli occhi
Io
Nato una domenica di guerra
In un casale al limite della campagna
Con l’afa delle estati sempre nella pelle
E il brivido della galaverna
Nelle albe gelide di quella nebbia
Che ti sentivi addosso
Mi chiedevo spesso perché queste radici
Fossero sempre là
A inseguirmi
Negli sguardi dei miei
A richiamarmi a quelle case
A quelle pietre
A quelle pareti sbrecciate
A quelle strette di mano
A quelle emozioni
A quei rimpianti
A quelle giovani
Innocenti
Lontane storie
Che parevano voler sfidare il tempo
E mi chiedevo ancora
Se fosse mera nostalgia
Inquietudine
Mestizia
O passione
Quel groppo in gola
Che mi prendeva
A sentire ogni tanto qualcuno da casa
E a viver lontano
Orgoglioso viandante
Immerso nel nuovo
Senza quei vecchi colori
Quelle voci amiche
Quei sorrisi
Nella indifferenza
Di quei palazzi lucidi e brillanti
Di quella gente
nella frenetica corsa
Delle città del mondo
Scuri in viso lasciamo passare senza goderne, infinite ore piacevoli e serene; ma quando poi arrivano quelle brutte, riguardiamo con vana nostalgia alle prime.
ARTHUR SCHOPENHAUER
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Foto di copertina: Ferrovie dello Stato Italiane – Locomotiva a vapore
Al traino di un treno locale. Anni ’60
Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.
È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.
Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.
“Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.
Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.