Momento importante di sviluppo e consolidamento della posizione intellettuale di De Sanctis, è il suo incontro con l’ideologia mazziniana, avvenuto probabilmente attraverso la lettura degli Scritti letterari mazziniani pubblicati in un’edizione complessiva nel 1847 (si tratta degli Scritti letterari di un italiano vivente Lugano, Tipografia della Svizzera italiana).
L’avvicinamento di De Sanctis a Mazzini coincide con un ampliamento dello sguardo prospettico, delle analisi e delle considerazioni con cui il critico si pone, in particolare, nei riguardi della questione dell’individualismo.
Ricco di suggestioni mazziniane è il discorso introduttivo che De Sanctis fa al suo Saggio sulle opere drammatiche di F. Schiller, scritto nel 1850, in cui esprimendo il suo esplicito rifiuto e la sua netta condanna dell’individualismo, il critico estende il suo rifiuto a tutta l’epoca e a tutta la realtà a lui contemporanea, che dell’individualismo rappresenta il momento di estrema degenerazione.
Convenendo con Mazzini, sembra che De Sanctis voglia suggerire che ogni atteggiamento “individualistico”, distaccato dal mondo, tendente alla chiusura alla vita e alla realtà da parte dell’uomo, è oggi anacronistico, non al passo con lo sviluppo e il progresso dei tempi che invece richiedono un produttivo e fecondo rapporto collettivo e sociale tra gli uomini.
L’auspicio di una “fratellanza” basata sulla condivisione di una stessa prospettiva di rifondazione morale e di ricostruzione della società, porta il critico a considerare deleteri gli eccessi egoistici e ogni forma di “particolarismo” e a sostenere, invece, gli ideali di uguaglianza e di democrazia.
Attraverso uno sguardo complessivo della realtà del tempo, De Sanctis sottolineando, in tono quasi “apocalittico”, la rovina e la condizione di decadenza generale in cui essa si trova, afferma:
L’individualismo è presso al suo termine; tutte le vie per le quali ei si è messo ci conducono inevitabilmente negli affanni del dubbio. Noi assistiamo ansiosi a’ suoi ultimi e funesti effetti nella scienza, nell’arte, nella politica, nella economia, ne’ costumi: scetticismo nella scienza, subiettivismo nell’arte, anarchia in politica, pauperismo in economia, egoismo ne’ costumi; ecco i suoi amari frutti.
E quindi:
L’uomo non ci basta più: lo scetticismo ci rode e ci umilia. I principii che fecero palpitare i nostri padri giacciono vani suoni, e si prostituiscono e mercanteggiano: la scienza è separata dalla vita […]. Noi abbiamo bisogno di fede che tolga l’aridità al nostro cuore, il vacuo alla nostra ragione, l’ipocrisia ai nostri atti […].
In questo passo è evidente la ripresa dei temi fondamentali dello scritto di Mazzini enucleati nella seguente affermazione, dove l’autore mette chiaramente in luce l’idea di una prospettiva futura di miglioramento e di progresso:
la vecchia generazione morrà forse nell’anarchia; ma la nuova cresce alla fede, né si spegnerà prima d’averla conquistata.
Per attuare il proposito di una ricostruzione sociale, è necessario non disperdere né vanificare le forze morali, gli stimoli e le passioni più positivi dell’uomo, ma è opportuno riscattarli affinché egli liberi il suo cuore da ogni aridità e da ogni freddezza e riacquisti entusiasmo e passione per la vita.
A questo scopo, secondo Mazzini, è opportuno innanzitutto eliminare ogni punto di contatto e tagliare ogni linea di continuità con l’illuminismo e con l’immediato passato, in cui il dominio della ragione e la freddezza della filosofia avevano spento ogni ardore e ogni stimolo vitale e avevano proiettato, “individualisticamente”, l’uomo nella sfera astratta della speculazione e della razionalità.
Mazzini auspica la rinascita della società e riconosce le basi dell’epoca moderna nella riconquista della dimensione empirica dell’esistenza e nel risveglio della vita e dei rapporti sociali e pubblici; egli suggerisce la ricostituzione di un ordine politico della società sulla sovranità popolare, e rifiuta ogni autorità autonoma e individuale contraria all’equilibrio democratico della realtà e dell’esistenza.
Perciò egli critica le tendenze individualistiche che sono nient’altro che il retaggio di un’epoca non più attuale in cui l’uomo era “filosofo”, intellettuale, disinteressato e poco partecipe alla vita sociale.
In passato, l’uomo aveva costruito le sue certezze su verità astratte e teoriche, che dimostravano una sua presunta natura “divina” e che davano una spiegazione metafisica della sua esistenza.
L’uomo di cultura, in particolare, era dedito esclusivamente allo studio e alla conoscenza, e credeva in una propria superiore elezione rispetto agli altri, in virtù della quale egli rimaneva libero e disancorato dalla realtà e dalla vita pubblica e civile.
Lo stesso ordinamento della società e la sua organizzazione politica, spesso, riflettendo la configurazione antropologica della realtà, si presentavano caratterizzati da una forte fissità gerarchica e da marcate differenze sociali.
Ma adesso, le convinzioni del passato sembrano essersi dileguate al contatto con la realtà attuale che è concreta e disincantata e che non concede all’uomo di allontanarsene per seguire vaghi e inaccettabili ideali.
Dice Mazzini:
La filosofia raccolse tutte le sue potenze d’audacia e gridò con Fichte: l’io è uguale a Dio. Indarno. A quel grido di disfida impotente l’universo rispose con un riso di ironia […]. L’ideale non potè tradursi in realtà. E allora tornò lo scetticismo, tornò lo sconforto e l’inerzia.
La conquista da parte dell’uomo moderno, di una dimensione “reale” e materiale dell’esistenza, comporta in chi vive ancora di quegli astratti ideali, un sentimento di afflizione e di angoscia, che spesso coincide con un atteggiamento di disimpegno e di volontaria esclusione dal mondo.
Mazzini va decisamente contro questo atteggiamento, perché esso indica un senso di abbandono agli eventi storici e ai fatti della vita che egli non può accettare in virtù della sua rinnovata “fiducia” nelle umane sorti e nelle possibilità concrete di sviluppo e di cambiamento. Egli auspica che l’uomo si liberi da ogni scetticismo e da ogni angoscia, e che partecipi attivamente, con entusiasmo e rinnovata fede all’esistenza.
De Sanctis, accordandosi con Mazzini, conclude:
la coscienza individuale, restata sola in cospetto del nulla, innalza altari a se stessa: l’universo non è: ella lo crea! […]. Uomo orgoglioso! Ma tu non sai quante lacrime costa il tuo orgoglio. Quando tu non basti a te stesso, quando vai cercando fuori di te qualche cosa, in che si riposi e quieti il tuo animo, vanamente ti guarderai intorno, tu non vi troverai che te stesso. Tale è il lato doloroso dell’individualismo: la vita interiore è la febbre che ci consuma. Ritirati in noi stessi, ci rodiamo miseramente in pensieri sterili e voti […]. Di qui la poesia del dolore e del nulla, canto funebre dell’universo, e pietosa elegia dello spirito che lamenta le illusioni perdute, e ridomanda ciò ch’egli stesso ha distrutto, ed incolpa la natura dell’opera della sua ragione.
Il pensiero di Mazzini, già elitario nel suo tempo, fu superato nel secondo dopoguerra dalla visione gramsciana della società e della cultura. Oggi sono rari gli intellettuali che conoscono Mazzini e Gramsci. Pier Paolo Pasolini fu uno degli ultimi intelletti e poeti che traspose nella sua arte letteraria l’idea estetica gramsciana. Dopo le rare poesie civili di Ungaretti, Quasimodo, Gatto, e i poemetti di Pasolini contenuti ne “Le ceneri di Gramsci” e “la religione del mio tempo” non conosco altri poeti di valore italiani che hanno poi scritto poesie cosidette “civili’. La stessa poesia è diventata un canone letterario dimenticato e anacronistico. Per scrivere in forma poetica dobbiamo vivere in una società e civiltà basata sulla Natura. La vita tecnologica, improntando i rapporti umani sulla praticità e l’utilità, uccide conseguentemente la poesia nei nostri animi.
Ogni civiltà ha il suo genere letterario principe. Nelle civiltà arcaiche dominava la poesia e l’epica. Nel Medioevo si affermò la poesia psicologica. Nel Settecento emerse il romanzo d’avventura. Nell’Ottocento il romanzo storico e verista. Nel Novecento apparse il romanzo giallo. Oggi abbiamo una conversione o esasperazione del giallo in Thriller. Viviamo ormai una vita emotiva deliricizzata, basata sul sospetto e la congiura criminale.
Apprezzo la narrazione della decadenza della poesia , della sua metamorfosi a partire dal Settecento fino alle esasperazioni odierne in cui essa viene percepita e concepita come un ” un canone letterario dimenticato e anacronistico”. Credo che, nonostante l’incombere indiscutibile di una vita emotiva e deliricizzata quale evocata nel tuo commento , caro Gualdo, sopravviva in noi un potente e avvincente richiamo all’interpretazione in chiave lirica dei momenti di riflessione che la natura e il comportamento stesso degli uomini di fronte alle trasformazioni in atto ci offrono. La vita tecnologica, la praticità sottesa e l’utilità che deriva da questa interpretazione ci spingono inesorabilmente verso la degenerazione di Orwell ma io credo fermamente, pur condividendo le tue argomentazioni che noi , anche dal punto di vista della generazione di un accettabile valore letterario e spirituale , abbiamo almeno la possibilità di rifiutare la fine del Grande Reset e di sognare una realtà più vicina a un Grande Risveglio che non all’aberrante nichilismo verso il quale (e questo è un fatto) veniamo violentemente sospinti. E sono abbastanza certo che anche tu rifiuti questa apparentemente inesorabile tendenza a favore di una rinascita dei valori irrinunciabili attorno a cui si concentra di nuovo per fortuna l’attenzione di molti. Grazie
Concordo pienamente con il tuo pensiero.???