Due più due fa quattro. Lo diciamo quando consideriamo due fatti distinti e ipotizziamo possibili connessioni fra loro. Poi scopriamo che le correlazioni ci sono e non danno solo quattro come somma, ma, a seguire, successioni numeriche che potrebbero ricordare le sequenze di Fibonacci.
Non esagero. Ognuno di noi osserva quel che succede attorno. Quando mi trovo dinanzi a un fatto che non capisco, una curiosità irrisolta mi resta in mente, anche per lungo tempo, e mi si riaffaccia alla memoria quando, a sorpresa, qualcosa mi svela l’arcano.
Per decenni ho seguito i fenomeni dell’immigrazione e dell’islamizzazione, perché mi interessavano, come capo d’istituto. E avevo in mente quello che mi aveva raccontato un assessore del Comune di Milano, che mi interpellava come consulente su questioni educative. Erano gli ultimi anni 70, quando l’immigrazione era una realtà di scarso rilievo.
Questo, in sintesi, il racconto dell’assessore: «Qualche anno fa in Consiglio comunale un consigliere lancia la proposta di edificare una moschea. “Ci vuole una moschea a Milano”. Subito un coro entusiastico di sostenitori commenta e appoggia la proposta, mentre il resto dell’uditorio, perplesso e spiazzato, non si pronuncia, in attesa di capire che c’è sotto.
Ma chi tace non si oppone e la proposta cresce e si arricchisce di particolari. A un certo punto -racconta l’assessore- io pongo timidamente una domanda: “L’idea è interessante, ma non è all’ordine del giorno. E poi, vogliamo una moschea sunnita o sciita?”.
La domanda raggela l’uditorio, probabilmente perché i più non sanno la differenza fra le due opzioni e chi ne sa qualcosa non ha idee per motivare una scelta. Il subbuglio si acquieta e non se ne parla più». Fin qui l’assessore.
A me però rimase una curiosità: perché era stata fatta, seppur maldestramente, quella proposta dato che a Milano nei primi anni ’70 i musulmani, ammesso che ce ne fossero, non costituivano un motivo d’interesse?
Tre anni fa, con l’aiuto del “lockdown pandemico”, la lettura di un libro denso di rivelazioni allarmanti, mi fornì per quella mia vecchia curiosità, se non la risposta, delle chiavi interpretative. Titolo: “Qatar Papers”, di C. Chesnot e G. Malbrunot, Editore Rizzoli. Sottotitolo: “Il libro nero dell’islam”. I dati che utilizzo di seguito li ho appresi da quella lettura.
Quando a Milano venne ultimata la costruzione del grattacielo più alto della città, 220 metri di vetro, cemento e acciaio, in prossimità della Stazione Garibaldi, il mutato “skyline” della città indusse l’operoso cittadino milanese a credere che la metropoli vivesse finalmente una rinnovata crescita imprenditoriale all’altezza del nome e dei vanti del capoluogo lombardo. Ogni milanese è fiero della sua città e del suo continuo trasformarsi e il colossale cantiere che dava vita e forma al “Progetto Porta Nuova”, nelle prime decadi del nuovo millennio, non poteva che suscitare curiosità, ammirazione e speranze, anche per le nuove generazioni.
Non era l’unico grandioso cantiere: c’era anche quello che si sviluppava sull’area dell’antica gloriosa “Fiera di Milano”, rasa al suolo dopo la nuova dislocazione della Fiera nella contigua zona di Rho, poi affiancata nel 2015 dal fantasmagorico Expo che tanta attenzione internazionale ha richiamato sulla città, con benefici effetti sull’economia.
Certo è che quel grattacielo alto più del doppio del celeberrimo Duomo gotico, e da questo posto a rispettosa distanza, aveva suscitato una impressione particolare, di certo esaltante. Impressione del tutto diversa invece, fra coloro che non erano addentro alle cose dell’alta finanza, fece la notizia che quel grattacielo, ispirato nella sua forma ad una guglia del Duomo, era parte rilevante e proprietà della Qatar Investment Autority (QIA).
I fondi sovrani dell’emirato del Qatar, si erano assicurati infatti la più grande transazione immobiliare a livello europeo, per l’ammontare di oltre due miliardi di euro, con l’acquisizione dell’intero “Progetto Porta Nuova”, costituito da un buon numero di edifici modernissimi, alcuni realizzati e altri in progetto, fra cui, pare, 25 grattacieli.
Uno Stato arabo, paragonabile per estensione alla Corsica, aveva messo le mani sul cuore ultramoderno e pulsante della città. Quanto fin qui brevemente narrato, costituiva un evento conseguente e connesso a processi economici e politici che da tempo interessano l’espansione degli interessi finanziari dei sauditi e degli Emirati del Golfo in ogni continente ed in particolare nell’Occidente europeo. Il mondo arabo musulmano detiene una massa enorme di risorse finanziarie, frutto dei giacimenti di petrolio e di gas, ma non solo, e, ad iniziare dalla seconda metà del secolo scorso, sempre più attivamente tende ad investire quelle risorse proprio nei paesi dell’Occidente cristiano, assai avanzati nei settori economici e tecnologici, nonché nell’organizzazione dello stato sociale, ma decisamente colpiti da una preoccupante crisi demografica, dovuta alla denatalità.
Un problema, questo, cui l’imponente immigrazione da altri continenti ha parzialmente sopperito, anche a costo di rilevanti e pericolosi contraccolpi sociali. Mentre l’immigrazione in Europa di filippini, indiani e soprattutto di cinesi è stata seguita da processi di integrazione generalmente accettabili, l’immigrazione dai paesi arabi e musulmani in genere, è stata segnata localmente da circoscritti problemi di difficoltosa integrazione, pure al livello delle seconde e terze generazioni, nonché complicata periodicamente da episodi gravi di terrorismo, intolleranza e violenza per incompatibilità di vario segno con le popolazioni autoctone.
Ne è derivata una situazione problematica a livello politico e sociale in alcuni paesi meta di immigrazione, talvolta a livello di rapporti internazionali col mondo arabo, al cui espansionismo economico, politico e religioso non fa certo comodo la cattiva pubblicità che l’estremismo islamico violento riverbera indiscriminatamente su tutto il mondo musulmano.
O forse, no: perché sempre più tendo a pensare che quell’immagine violenta si presta oggi ad essere utilmente riconvertita. La diffusione dell’islamismo integralista dà al mondo musulmano la possibilità di dichiarare una propria presa di distanza dal terrorismo e contestualmente ciò lo induce a garantire, nei paesi occidentali in cui gli arabi sono interessati ad investire, una sorta di vigilanza e collaborazione “amichevole” affinché la mala pianta jihadista venga tenuta sotto controllo.
Come se l’islam dicesse all’occidente: se mio fratello volesse minacciarti, io potrei tenerlo a bada. Potrei. Per altro verso, il fiume di denaro che la finanza dei paesi islamici riversa sull’Europa costituisce pur sempre un argomento assai convincente per gli operatori economici occidentali. E anche per il potere politico, da sempre connesso con quello economico.
Non c’è sicuramente un solo partito politico, credo, che non conosca come, dove, quanto, quando e da chi venga esercitata questa sorta di colonizzazione economica dell’Occidente. Sarebbe inoltre sciocco credere che politica locale e nazionale, di qualsiasi colore, non abbia i suoi rapporti con la realtà sopra descritta, per i più diversi fini, che si spera leciti e istituzionalmente corretti. Dove c’è denaro, c’è chi lo vuole e chi lo offre. E chi ne ha da investire lo usa anche per spianare la strada ai propri affari confidando sul potere “osmotico” del denaro che attraversa qualsiasi barriera. “Pecunia non olet”. E induce a chiudere un occhio su tante questioni piccole e grandi.
Se nel centro di Milano, nel “quadrilatero della moda” girano a frotte turiste arabe di nero vestite e col volto coperto, e talvolta pure con guanti neri e occhiali da sole (affinché non si vedano mani e occhi nudi?), nessuno farà notare a quelle signore che la legge italiana non consente di circolare in pubblico col volto coperto. In un luogo ben vigilato del centro, segnalai, un giorno in cui avevo tempo da perdere, ai rappresentanti dell’ordine pubblico in servizio stradale la violazione di legge rilevabile nel viavai di persone col volto coperto, ma la risposta di un impassibile agente fu: «Non ne abbiamo viste».
La risposta citata chiarisce, in modo emblematico, quanto la colonizzazione arabo-musulmana del mondo occidentale proceda nell’assoluta consapevolezza e corresponsabilità della politica, dei poteri pubblici, dell’amministrazione locale centrale, e dei servizi di sicurezza.
Tutti sanno tutto, ma non il cittadino “medio”, il quale anche quando formuli ovvi interrogativi, non ottiene risposte. Prevale il lasciar correre, lasciar fare, far finta che. E così si spiega il fatto che vengano costruite moschee in un paese, come l’Italia, che a tutt’oggi non ha riconosciuto ufficialmente l’islam come religione. C’è la libertà di culto. Ma i principi costituzionali in materia di culto, se riferiti all’islam, appaiono disattesi nei confronti di una religione che propugna principi e comportamenti inconciliabili col nostro sistema giuridico.
Viceversa, le ragioni che fanno proliferare le moschee sono evidentemente altre e non tutte acclarabili. Va ricordato però che all’accettata penetrazione della presenza islamica nel mondo cristiano non fu estranea la posizione assunta dalla Chiesa Romana col Concilio Vaticano II , sottolineata da precise raccomandazioni contenute nel documento conciliare “Nostra Aetate”, tendente a vincolare i cattolici ad atteggiamenti concilianti nei confronti dei musulmani. Ciò non produsse peraltro lo sviluppo di un dialogo interreligioso auspicabile e forse indusse, al contrario, un processo che alcuni hanno chiamato di graduale e tendenziale sottomissione all’islam, così efficacemente prefigurato nel romanzo di Michel Houellebecq “Submission”, più profetico che fantapolitico.
Gli investimenti finanziari del Qatar, inoltre, non si limitano al settore immobiliare, né in Italia, né nel resto d’Europa, come è emerso con la pubblicazione di “Qatar Papers”. Con l’acquisizione della compagnia aerea Meridiana, poi Air Italy, la Qatar Airways per esplicita ammissione del suo amministratore delegato mirava nel tempo a sostituirsi all’Alitalia (ora ITA Airways), incapace di risolvere la propria crisi, forse perché potenti interessi esterni ne condizionavano la ripresa. L’assetto attuale del trasporto aereo nazionale potrebbe essere solo una fase propedeutica ad altri passaggi, che vedremo.
Sorvolo, per ora, su altre operazioni di “shopping” d’alto bordo che il Qatar conduce, peraltro alla luce del sole, sul nostro mercato nazionale e su quello europeo, utilizzando anche espedienti pubblicitari come quello di far comparire il nome della Qatar Airways sulle magliette di importanti squadre di calcio.
Parallelamente ai citati investimenti, l’interesse del Qatar punta in egual misura e pari attenzione alla componente umana dei fedeli e cioè alla comunità islamica crescente sul suolo italiano, numericamente rafforzata ogni anno dal flusso migratorio. Un interesse che il Qatar coltiva “sotto tono” rispetto ai suoi affari finanziari.
E mentre vigila sulla presenza musulmana in Italia, non trascura lo stesso fenomeno nel resto dell’Europa, attraverso una fitta rete di associazioni, agenzie e operazioni finanziarie condotte in modo da non incappare nei rigori delle leggi locali.
In questo ambito di dissimulata espansione, una dura concorrenza al Qatar viene esercitata dall’Arabia Saudita e dal Kuwait, in conseguenza di non sopite ostilità. E direi, per fortuna, perché se il mondo islamico fosse unito a livello di intenti e di risorse, forse l’Europa sarebbe già stata comperata e sottomessa. L’altrui disunione per ora ci salva. Non per molto. In ogni caso l’espansionismo politico che punta a saldarsi con ambiti religiosi islamici diffusi in tutto il vecchio continente, in Italia si è già concretizzato con il finanziamento di quarantasette tra moschee, centri culturali islamici e “centri di memorizzazione del Corano”, più numerosi quindi che in qualsiasi altro paese d’Europa.
L’espansionismo qatariota su base religiosa non è manovrato a livello di alta finanza, bensì, in modo accorto e poco appariscente, da una ONG, denominata Qatar Charity. Il nome “Charity” può sorprendere, ma non dovrebbe. Il principio dell’aiuto caritatevole, dell’elemosina, dell’obolo per i poveri codificato a livello religioso nell’islam (la zakat), ha un altissimo significato etico e identitario.
E zakat, estensivamente, è tutto quello che torna a maggior gloria di Allah e dell’islam, ivi compresa l’espansione mondiale del predominio islamico in cui ogni credente è personalmente e consapevolmente coinvolto. Puntare sulla zakat serve a porre in ombra l’aspetto guerresco di un islam che in passato si è imposto con la spada e ora mira invece ad esaltare, attraverso una strategia “soft power”, i meno appariscenti aspetti “buonisti” e umanitari dell’islam, puntando ad una captatio benevolentiae della mentalità occidentale, ammorbidita dall’amorevole radice cristiana, anche laddove questa risulti quasi obliata.
Il massiccio afflusso migratorio islamico, particolarmente diretto verso l’Italia, rafforza ed esige il necessario ricorso alla zakat, attraverso la raccolta di denaro e la distribuzione di aiuti, utili sia come sostegno concreto alle basilari esigenze di quotidiana sopravvivenza, sia come rete di collegamento e mezzo di coesione della Umma in viaggio verso nuovi lidi. L’ampliarsi e il moltiplicarsi delle comunità musulmane in terre di infedeli, costituisce l’imprescindibile base umana fondante del dominio mondiale dell’islam, in cui la volontà di Allah si realizza concretamente per mano dei fedeli.
Questo, che è il senso e il fine del credo islamico, diventa strumento fortissimo di potere a disposizione di chi questa espansione sulla terra intende guidare e condurre verso le mete codificate dalla dottrina coranica.
E’però pur sempre una guerra, fatta di denaro e di uomini. E masse di uomini (e donne e bambini) tante volte nella storia sono stati usati come strumenti inconsapevoli di non dichiarati disegni altrui.
Non è il Qatar che mobilita i migranti, ma di fatto si avvale della loro penetrazione in Europa. Ai migranti, caricati sui barconi e mandati allo sbaraglio in mare aperto nel Mediterraneo, è assegnata da altri manovratori di umani destini, la parte che in guerre del passato toccava alla fanteria, alla “carne da cannone” sospinta verso un fronte che, pure con perdite, doveva sfondare con la forza del numero.
Completando così l’accerchiamento dell’Occidente, con le banche e con le barche. Producendo quell’abbraccio mortale, che il potere finanziario e la forza numerica dei fedeli dell’islam tenterà di rinserrare attorno a questa parte del mondo, la nostra, e alla sua civiltà.
Vittorio Zedda
3 dicembre 2022