Cari amici buongiorno e buon inizio di settimana. Noi auspichiamo che l’annuncio dell’abolizione della “Polizia morale” in Iran, costituita nel 2005 per far rispettare il codice islamico di abbigliamento per le donne, possa essere l’inizio di un processo che sfoci nel riscatto della pari dignità delle donne e, più in generale, nell’affermazione dei diritti fondamentali di tutti alla vita e alla libertà, tutt’ora negati e repressi in seno alla teocrazia islamica che si è imposta in Iran dal 1979.
È chiaro che siamo di fronte a una crisi interna al “regime degli ayatollah”. È possibile che sia in corso un regolamento di conti tra i conservatori e gli ultra-conservatori, tra quanti divergono non sul piano dei dogmi della fede, ma su ciò che è opportuno fare per salvaguardare la sopravvivenza della “Repubblica Islamica”.
Il 3 dicembre il “Supremo Consiglio per la Sicurezza nazionale”, nell’ammettere per la prima volta a livello ufficiale che sono più di 200 le persone che hanno perso la vita nelle proteste in corso in Iran, ha minacciato «tolleranza zero» nei confronti degli oppositori del regime islamico: «Per quanto riguarda i manifestanti, la Repubblica islamica dell’Iran li ha trattati con la massima tolleranza. Ma il piano del nemico per il prosieguo delle rivolte e la pazienza strategica del sistema ha causato gravi danni. Il Supremo Consiglio per la Sicurezza nazionale agirà in modo più deciso e le forze di Sicurezza e di Polizia con tutta la loro forza e determinazione non permetteranno più ad alcuni facinorosi con il supporto di agenzie di intelligence straniere di mettere in pericolo la sicurezza pubblica. Pertanto, qualsiasi disturbo dell’ordine pubblico e assembramento illegale a qualsiasi livello e luogo sarà affrontato con decisione e senza tolleranza».
Però il 4 dicembre il Procuratore generale dell’Iran, Mohamad Jafar Montazeri, ha annunciato l’abolizione della “Polizia morale”, sostenendo che «non ha niente a che fare con la magistratura». Tuttavia ha precisato che «portare lo hijab (il velo islamico) in modo sbagliato, specialmente nella città santa di Qom, è una delle principali preoccupazioni della magistratura e della nostra società rivoluzionaria, ma va notato che l’azione legale è l’ultima risorsa e le misure culturali precedono qualsiasi altra».
Montazeri ha inoltre annunciato che a breve, entro 15 giorni al massimo, il Parlamento e il Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale annunceranno la loro opinione sulla questione dell’hijab obbligatorio.
Al momento è necessaria la cautela prima di fare di pervenire a delle conclusioni certe. I segnali che ci arrivano dall’Iran sono contradditori.
La casa di famiglia dell’arrampicatrice iraniana Elnaz Rekabi è stata demolita, come rappresaglia per aver gareggiato a capo scoperto ai Campionati asiatici di arrampicata sportiva in Corea del Sud.
È stata fermata e poi rilasciata Farideh Moradkhani, la nipote della Guida suprema della Repubblica Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei, che è ingegnere e attivista per i diritti dell’uomo, dopo aver accusato il regime islamico di essere «omicida e sterminatore di bambini».
In un appello di circa 6.000 artisti iraniani, residenti fuori e dentro l’Iran, si chiede il boicottaggio internazionale delle istituzioni culturali gestite dalla Repubblica islamica, condannando la «repressione di Stato sempre più brutale, violenta e mortale» contro i manifestanti antigovernativi, donne, studenti, uomini.
Per contro 223 parlamentari hanno chiesto alla magistratura di avviare processi mirati in cui si evidenzia per i ribelli, il reato di «fare guerra contro Allah» e quello di essere considerati «nemici di Allah», reati che possono portare anche alla pena di morte. Sono già sei le condanne a morte ufficiali, tra queste vi è quella contro il noto rapper Tomaj Salehi molto amato dai giovani e non solo: «Noi siamo i morti che non vogliono morire», aveva cantato schierandosi contro il regime islamico.
Il Governo guidato dal Presidente ultraconservatore Ebrhaim Raisi lo scorso luglio, denunciando una perdita di valori progressiva, disse che era in atto il «Progetto castità e hijab», con cui la “Polizia morale” ha incrementato ispezioni nelle metro e sugli autobus, e molte donne sono state arrestate, torturate e uccise perché non indossavano o indossavano male il velo.
Le sommosse erano esplose due mesi fa dopo l’uccisione di Mahsa Amini, 22 anni, all’interno di una caserma della “Polizia morale”, arrestata per aver indossato male il velo.
Ad oggi sono quasi 500 le vittime delle proteste di piazza, di cui 63 minori e 18000 gli arresti di manifestanti, 4 dei quali sarebbero già morti per impiccagione.
Cari amici, lo sviluppo della situazione interna alla teocrazia islamica ci conforta comunque, perché tocchiamo con mano che sotto le ceneri di un regime in crisi arde la fiamma di una umanità che può essere anestetizzata ma che non muore mai, di una civiltà che permea il substrato del comportamento sociale e che riaffiora non appena l’inciviltà del sistema di potere tirannico islamico registra delle crepe.
Il messaggio che ci conforta è la certezza che il Davide che è dentro di noi, prima o dopo, sconfiggerà il Golia che nelle contingenze della Storia riesce a soffocare la nostra umanità e a sottometterci a delle leggi contrari alla morale naturale.
Resta l’incognita dei tempi e dei modi con cui gli iraniani consapevoli, fieri e liberi potranno realizzare con successo il loro legittimo sogno di affrancarsi dalla tirannia di un sistema di potere islamico.
Andiamo avanti a testa alta e con la schiena dritta, forti di verità e con il coraggio della libertà. Con l’aiuto del Signore insieme ce la faremo.
Magdi Cristiano Allam
Fondatore della Casa della Civiltà
Lunedì 5 dicembre 2022
Anche le suore coprono il capo, e sono obbligate se vogliono rimanere nell’ordine, e devono anche rimanere caste, non è anche questa una forma di tirannia…?
Si, ma non sono costrette, è una loro libera scelta e qualora dovessero pentirsi, potranno riprendere la vita secolare senza alcuna conseguenza. Non mi sembra pertinente proporre confronti. Con immutata stima e affetto. Lia
Il velo islamico è da sempre simbolo di sottomissione, non religioso, ma politico. Molte donne lo indossavano per compiacere i loro uomini, altre di malavoglia, costrette per consuetudine. Viva Dio, finalmente ha avuto inizio la rivolta delle donne iraniane che sta mettendo in crisi l’islam. Dobbiamo sostenerle , tutti.