Il Corriere della Sera, 5 dicembre 2022 – Che cosa sta succedendo alla «polizia della morale» in Iran?
«Non è ancora chiaro — replica Azar Nafisi, autrice di Leggere Lolita a Teheran, che anche in viaggio da Parigi a Roma segue costantemente le dichiarazioni che giungono dalla Repubblica Islamica —. Non c’è un potere in Iran che possa dirsi responsabile per la polizia della morale. Chiedono ad un alto funzionario della magistratura e lui dice che non è stato il sistema giudiziario a istituirla e che bisogna domandare a chi l’ha creata. Questo mostra quanto controllo abbia perso il regime: non può prendere una decisione sulla sua stessa polizia della morale. Ogni funzionario è responsabile per quello che succede in quel governo, non possono semplicemente dire: “Non siamo responsabili”».
Il funzionario in questione, il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri, ha detto che la polizia della morale è stata chiusa dalle stesse autorità che l’hanno creata, negando che si tratti della magistratura. Nello stesso giorno, Ensieh Khazali, vicepresidente per le donne e la famiglia, ha detto in un programma radiofonico: «Non abbiamo affatto una Gashte Ershad (letteralmente pattuglie di orientamento, cioè la polizia della morale). Si tratta di una polizia della sicurezza sociale che si occupa di tutte le questioni contro la legge e può occuparsi della nudità, anch’essa un crimine».
«Non è parte della magistratura, non è parte della polizia… Nessuno vuole prendersi la responsabilità: e questo mostra quanto sia debole il regime. Non può decidere su uno dei suoi stessi organi. È una delle cose più folli che abbia mai sentito».
Perché debole? L’ultima parola non spetta alla Guida Suprema Ali Khamenei?
«Khamenei dovrebbe avere l’ultima parola e, in molti casi, va all’estremo usando ogni mezzo possibile per cementare il regime, ma c’è un disaccordo interno che è fonte di debolezza. Nel regime vedo due tendenze estreme nel modo di reagire a queste proteste degli ultimi due mesi: uno consiste nel negare la propria responsabilità o anche atteggiarsi a opposizione, l’altro di adottare la linea della repressione più dura come se i manifestanti fossero corpi estranei all’Iran. Queste contraddizioni indeboliscono il regime. In teoria Khamenei ha il potere, ma nell’azione concreta non sappiamo chi ce l’abbia e, in rami diversi, le persone agiscono in modo diverso».
Il procuratore generale Montazeri ha aggiunto che bisognerà trovare altri modi per applicare le restrizioni sui comportamenti sociali, senza quindi indicare che ci siano al momento cambiamenti sull’obbligo del velo. Però venerdì è stato annunciato che il Parlamento e il Consiglio supremo della rivoluzione islamica studieranno la questione dell’hijab nelle prossime due settimane. Cosa si aspetta? «È troppo tardi per fingere che ci sarà qualche tipo di riforma all’interno del sistema. E il governo ha fatto dell’hijab il suo problema centrale. Lo hanno fatto loro. Sono loro che hanno sostenuto che, se le donne girano per strada vestite come vogliono, significa che il regime è finito. E adesso è ciò di cui hanno paura. Non possono fare le riforme. Come faranno? Se domani dicessero “niente più hijab” e “niente più polizia della morale” significherebbe niente più Repubblica Islamica». Di fatto dopo le proteste, la polizia della morale non si vede più come prima e molte donne stanno violando l’obbligo. Non è una vittoria se la Gashte Ershad viene abolita? «È vero che se viene abolita è una sorta di vittoria, ma non è quello che i manifestanti stanno chiedendo. Non dicono di abolirla o di essere più flessibili sull’hijab. Dicono: “Non vi vogliamo”. Lo scontro con il regime è legato al fatto che i manifestanti non vedono alcun futuro per se stessi nel sistema. Hanno bisogno di un nuovo sistema nel quale poter creare il proprio futuro. Ed è per questo che lo slogan è “Donne vita — dicono vita: non una cosa politica — e libertà”. È troppo tardi».
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