Quasi scomparso il segno divino del Natale
Dimenticato da tutta quella luce insolente
Che invade le nostre città
Sfiora addobbi festosi
Oggetti occhieggianti
Dai riflessi di vetrine colorate
Nelle piazze
Grandi abeti impiccati a morte
Soffocati da lampade e nastri dorati
Fantocci rossastri e lunghe barbe bianche
A scalare balconi vuoti
Le chiese piene di gente frettolosa
Indifferente
L’inchino di un mendicante
La insistente cantilena di una zampogna
E in un angolo
Quasi nascosto
Il presepe della mia infanzia
E quel tenue soffuso odore di incenso
Della benedizione
Senza la fiamma e il respiro di tutte quelle candele
Icone immortali
Solenni piccole miniature
Sapore buono di vecchi valori
Intensi e magici
Messaggi di pace
Ricordo le lunghe ore
Nella chiesa del quartiere a guardare quelle figure
Immobili
Semplici
Incollate sui sentieri di acquerello
Mi hanno seguito fino ad ora
Angeli celati nel fondo dei pensieri
Qualche volta guardo il cielo e cerco quelle stelle lucenti
Le stesse che hanno illuminato la mia infanzia
Risento quella nenia di preghiere
Quei cori sempre uguali della domenica
L’eco di litanie distanti
Cerco nella lucida storia del sogno
Di riscoprire al tepore del camino
Quella bella favola dell’anima
Che mia madre
Mi insegnava a vivere
Nella nebbia meridiana di questo tardo autunno
Sull’irta geometria di filari spogli
Ritornano alla mente
Le ore di attesa dell’inverno
Quei lontani quadri di vita
Il profumo della legna di robinia
I colori vivaci del tizzone scoppiettante
I compiti di aritmetica con le calze di lana
Qualche macchia di inchiostro sfuggita
Alla penna distratta
I giochi interminabili della parrocchia
E quel caro presepe
Disteso
Come una cascata verde
A fianco dell’altare
.
.
Foto di copertina: “La Sacra Famiglia” dal web
Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.
È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.
Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.
“Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.
Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.
Uno sguardo indietro e riaffiorano tutti i ricordi del Natale da bambina, dove non c’era la corsa ai regali di adesso ma al presepe più bello con l’acqua che correva lungo il ruscello creato ad arte, i pastori e le pecorelle più verosimili alla realtà che spostavo lungo l’attesa della nascita del Bambin Gesù per farli arrivare prima alla capanna !!!
Grazie Buon Santo Natale
Quanta verità narrata, anzi, sussurrata con amara dolcezza Giorgio!
Leggere i tuoi versi è stato come essere catapultata indietro al Natale nella cascina dei nonni, nelle montagne bergamasche. Mi hai fatto commuovere, caro Giorgio. E anche molto riflettere.
Sursum corda
Cara Andreina le tue riflessioni sono la sacra risposta allo stimolo di questi ritagli di esistenza per cui ha ancora senso la nostra umana speranza Grazie