SILVANA DE MARI: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”

Réddite quae sunt Caésaris Caésari et quae sunt Dei Deo. Questa frase del Vangelo è presente nei tre Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca), nel Vangelo apocrifo di Tommaso e nel frammento detto Vangelo di Egerton, alcune pagine ritrovati in Egitto nella prima metà del secolo scorso  Nel Vangelo di Tommaso la frase è  completa con le parole «e date a me ciò che è mio». Gesù risponde così alla domanda se sia lecito no pagare il tributo ai romani. La domanda non è innocente, serve per creare un tranello. Se Lui risponderà che non è lecito, diventerà un ribelle gli occhi dei Romani, si risponderà che è lecito, diventerà un traditore agli occhi degli ebrei. Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio può avere due fondamentali significati: un significato generico di dare ognuno il merito che gli spetta,  oppure un significato preciso di separazione del potere temporale da quello spirituale. La storia d’Europa è stata caratterizzata dal contrapporsi del potere spirituale e di potere temporale. Spesso è stato uno scontro: Papi sono stati imprigionati, schiaffeggiati, deportati, uccisi. Un  imperatore si è trascinato scalzo nella neve. Un re ha trascinato il suo regno nel fango e nel sangue, oltre che nell’eresia, per sposare la sua amante. Enrico VIII di Inghilterra fondando la religione anglicana il cui capo è il re ha di fatto inglobato il potere spirituale e creato un leviatano. Leviatano è il nome di un terrificante e biblico mostro acquatico usato dal filosofo Hobbes per indicare un potere statale assolutamente totalitario, granitico. Finché i poteri sono due in contrasto l’uno con l’altro, la verità e la giustizia hanno sempre qualche possibilità di sgattaiolare. Il cristianesimo è basata sull’amore per Dio e per gli altri. Non è la realtà del Cristianesimo, è la sua ispirazione. Nel Cristianesimo non siamo persone perbene, ma siamo persone che sanno cosa vuol dire essere perbene.  Siamo peccatori che, però, almeno siamo peccatori  che sanno di essere peccatori. Dove questo afflato non ci sia, le cose vanno peggio.  Dove il potere è uno solo, verità e libertà saranno schiacciate, chi cercherà di difenderle sarà deriso e prima e annientato poi. Questo è successo quando Cesare ha preso tutto, nelle due terrificanti religioni atee del XX secolo, comunismo e nazismo, che non sono stati movimenti politici, ma movimenti religiosi messianici e salvifici, sono stati il leviatano. Lo stato deve occuparsi di giustizia. La Chiesa si occupi di carità. La Chiesa si occupi di misericordia. La Chiesa si occupi, come ha sempre fatto, di lenire il dolore del mondo. Le istruzioni su come si lenisce il dolore del mondo sono contenute nella parabola del buon samaritano. Un uomo è stato aggredito dai briganti e giace a terra impossibilitato a muoversi con ferite evidenti, reali, invalidanti.  Non si è messo volontariamente su un barcone così da assicurare un naufragio e farsi mantenere a vita da appartenenti a un’altra nazione. È oggettivamente stato massacrato di botte. La carità va  fatta a coloro che sono oggettivamente sofferenti,  deboli, disperati. Dichiarare come bisognosi in fuga dalla guerra e dalla fame tizi che non lo sono, non configura la carità. La Chiesa cattolica, o perlomeno i suoi vertici, si è alleata nel disastroso crimine di fingere che un’immigrazione fatta al 90% da maschi islamici in età militare, che spende una media di 5000 $ a testa per raggiungere le nostre coste sia un’immigrazione di bisognosi in fuga. Nel cristianesimo solo coloro che credono in Cristo sono fratelli,  resi dalla fede in Lui figli di Dio. Il primo compito di un cristiano davanti un non cristiano è l’ evangelizzazione. Quando l’Italia fu travolta dai barbari, i cristiani li hanno convertiti, in questa maniera sono nati i popoli nuovi dell’Europa. Un cristiano che si trova di fronte a un islamico e non lo converta, o almeno non ci provi, ha completamente violato il cristianesimo, ne è completamente fuori e se nessuno converte l’Europa diventerà una repubblica islamica.  Il buon samaritano cura il ferito con i suoi mezzi. Lo medica con il suo olio e il suo vino, lo conduce in una locanda dove  paga il locandiere coi suoi soldi. Non cura il ferito con i soldi della comunità, non impone una carità coatta a persone che non la vogliono, e che sono  costrette a finanziarla, perché altrimenti si trovano in casa gli uomini della finanza che sono uomini armati. La carità non deve essere appannaggio dello stato. La Chiesa nel secoli ha soccorso con i soldi suoi, con il denaro di chi, come il buon samaritano, lo dona. Ora tutta la nazione è impoverita per mantenere maschi islamici in età militare. Se qualcuno osa protestare è accusato di malvagità, di intollerabile e nauseante cattiveria, anche perché il denaro che gira attorno a questa molto pelosa carità sono da capogiro, e ogni tanto se ne trova in giro  qualche sacco o qualche trolley. Uno dei primi diritti di un cittadino è godere del denaro che ha guadagnato. Lo Stato, uno stato decente, deve rendere conto di ogni centesimo che  spende e non ha il diritto di spendere denaro se non nell’ interesse dei cittadini che lo stanno finanziando. Uno stato non fa beneficenza. Il buon samaritano affida il ferito al locandiere. Non lo porta a casa propria. Essere stati aggrediti, essere vittime, è una disgrazia, non una nota di merito. Il buon samaritano non ha nessuna informazione su questo tizio, nessuna prova che sia una persona perbene e non si fa entrare in casa propria, dove ci sono moglie e bambini, un estraneo perché permette a sconosciuti di entrare dove ci sono persone deboli non è una forma di carità,  ma un crimine, quello di fare entrare il lupo nell’ovile e la volpe nel pollaio. Nella gestione dell’immigrazione chiesa e stato diventano il leviatano. La Caritas riceve cifre favolose dallo stato, e la Chiesa mette l’immigrazione in ogni omelia, sia a Lampedusa che a Lesbo c’è un’istigazione all’immigrazione selvaggia. Non si fanno i Presepi per la paura di offendere i nuovi venuti, ma se un immigrato è offeso dalla religione degli indigeni non è un immigrato, ma un colonizzatore.  Il secondo caso dove lo Stato e la Chiesa, o meglio le sue gerarchie attuali, si sono fusi per creare un leviatano è la gestione dell’epidemia covid 19. Le terapie domiciliari sono state intralciate, quando non vietate, ed è stato consigliato un farmaco pessimo cioè la tachipirina. Nel Natale 2020 gli impiegati del Vaticano si sono visti regalare non un Rosario o una medaglietta della Madonna e nemmeno un panettone, ma una confezione di paracetamolo, nome d’arte tachipirina. Questa serviva anche per chiarire che la cosa importante era la pandemia, più importante di Dio, della nascita del figlio di Dio, della gioia di mangiare tutti insieme un panettone. Il Vaticano è stato il primo stato a imporre l’obbligo vaccinale ai dipendenti, l’obbligo cioè di usare  farmaci ricavati dal dolore della morte di cosiddetti feti abortiti, in realtà neonati prematuri vivisezionati, e che può causare morte e terrificanti effetti collaterali.  Presepi con i Magi che portano Pfizer, con le infermiere che lo iniettano raccontano che sia un gesto d’amore un farmaco fatto col dolore di due bimbi che non hanno avuto il diritto di vivere e nemmeno quello di non soffrire, per non parlare di miocarditi e abbattimento del sistema immunitario. Il documentario, Gli Invisibili, di Paolo Cassina è stato censurato da You tube. Nel lungometraggio i danneggiati da vaccino raccontano la loro tragica storia, le loro vite distrutte, la salute persa per sempre, atleti ridotti a disabili. Gli infermieri nel Presepe, i Magi che portano vaccini, non solo mentono e nascondono il dolore, ma impediscono al credente di concentrarsi sulla grandezza che gli sta mostrando il Presepe, Dio che si incarna, per inchiodarlo a un’ipocondria permanente che si risolve solo con l’iniezione di farmaci molti dubbi. La Chiesa ha dato tutto a Cesare. Non c’è più nessuno a difendere le pecore. Il famoso fumo di Satana già avvistato da Paolo VI ha fatto il nido e si sono schiuse le uova. La storia però è come un libro fantasy: è quando tutto sembra perso che finalmente la Grazia irrompe. Noi, come sentinelle, aspettiamo l’aurora.

3 commenti su “SILVANA DE MARI: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”

  1. Io adoro Silvana per questa sua grande e ferma fede. Mi ricorda che non dobbiamo perdere la speranza. E come le sentinelle noi veglieremo in attesa dell’arrivo dell’alba.
    Stamattina durante l’omelia Don Enrico Roncaglia ha detto che, con la morte dell’ultimo Papa Cattolico, siamo nel tempo della “sepoltura” della chiesa. Ed anche lui ha detto che non dobbiamo disperare, poiché come Cristo, anche la Chiesa risorgerà, più pura e splendente di prima. Nel frattempo però noi cristiani non dobbiamo distrarci o perderci dando ascolto alle più disparate novità.
    Allora come le sentinelle, o come le vergini sagge, vegliamo nella notte, affinché quando l’alba, o lo sposo, arriverà, non ci trovi impreparati.

  2. Se la chiesa si fosse ricordata di questo fondamentale insegnamento dato da Gesù: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, ci saremmo risparmiato il disastro spirituale e socio-economico di questi tre ultimi anni.

  3. Bellissimo articolo di Silvana che condivido totalmente e a cui mi aggiungo nella invocazione e nell’auspicio finale:Siamo fino alla fine sentinelle dell’Aurora!
    Aggiungo solo all’esegesi iniziale sul dare a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio, che oltre ad una interpretazione generale di giustizia ed una storico politica di separazione dei poteri, io vedo una terza interpretazione, che riguarda il personale, la spiritualità e la coscienza. Cioè se diamo prevalenza, sullo stesso piano, al lato politico sociale o a quello spirituale di fede, rischiamo di creare in noi e poi nella società un conflitto insanabile, una lacerazione interna, una scissione del nostro Io. Come uscirne? Cristo lo sottende, credo, facendo capire che c’è un terzo elemento a cui elevare il conflitto, che non è più su un piano orizzontale, di scontro, ma verticale. Mi riferisco a quello scritto in Qoelet nella Bibbia, cioè il TEMPO, debito e consequenziale del “C’è un tempo per ogni cosa, sotto il sole. C’è un tempo per vivere ed uno per morire… ecc.” Dedicando un tempo per ogni cosa i conflitti acquistano ognuno un proprio spazio, una propria dimensione, una loro giusta causa, risolvibili senza schizofrenie dell’ IO. Così servire Dio e servire Cesare, in giusta causa, diventano mezzi di doveri civili e spirituali soddisfatti.
    Per il resto adoro Silvana quando ci parla del Buon Samaritano, mettendo giustizia come puntini sugli i, al suo conportamento.
    Esegesi magnifica che andrebbe predicata proprio nelle Chiese e dalla Chiesa se ancora appartenesse a Cristo.

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