Mentre Giovanni Paolo II era agonizzante, a poche ore dalla sua morte il 2 aprile 2005, partecipando alla trasmissione «Porta a Porta» su Rai1, invitato da Bruno Vespa nella mia veste di musulmano moderato che rincorreva il mito di un «islam italiano» compatibile con la laicità e rispettoso di tutte le fedi, espressi questa mia valutazione su chi avrebbe dovuto essere il prossimo Papa: «Giovanni Paolo II è stato il più grande comunicatore nella Storia della Chiesa, ha riempito come nessun altro le piazze ovunque nel mondo, ma contemporaneamente si sono sempre più svuotate le chiese. Il prossimo Papa dovrà essere in grado di riempire nuovamente le chiese».
Fu così che percepii l’elezione di Benedetto XVI, uno dei maggiori teologi della Chiesa, la scelta più appropriata per rimettere al centro dell’apostolato la certezza dei dogmi della fede, anziché la seduzione mediatica di chi li rappresenta.
Da subito nei suoi confronti provai un’attrazione speciale. Così come per credere in Gesù Cristo, nella sua unicità di vero Dio e vero uomo, bisogna provare quel fascino incontenibile che scuote dalle fondamenta l’insieme della nostra umanità, un incanto simile mi avvicinò a Benedetto XVI, mentre ero ancora musulmano, quando lo individuai come il Papa che più di altri impersonava il sodalizio armonioso e indissolubile tra fede e ragione, che è la vera essenza del cristianesimo, cioè l’adesione al Dio che si fa uomo e che si incarna in Gesù. È un frutto spontaneo che sgorga dalla sorgente interiore da cui si attinge l’insieme dei valori che danno un senso compiuto alla nostra esistenza: nella religione viene indicato come «atto di fede», laicamente possiamo definirlo «innamoramento». Perché solo se si è innamorati si può credere a tutto ciò che sostanzia l’oggetto del nostro amore.
Il cristianesimo fondandosi sia sulla dimensione trascendente della fede sia sulla dimensione umana della ragione, legittima l’uso della ragione per entrare nel merito dei contenuti della fede, per poterli vagliare, criticare, contestualizzare nel tempo e nello spazio, attribuire loro un significato allegorico affinché risultino consoni con lo spirito dei tempi. Da musulmano, il fatto che Benedetto XVI, sin da quando era il Cardinale Joseph Ratzinger, mettesse al centro la ragione, partisse dalla ragione e, accompagnandoci per mano, riuscisse a convincerci della bontà della fede, mi attraeva irresistibilmente. Lo percepii come l’ancora di salvezza in grado di traghettare le anime dubbiose all’approdo sicuro della verità, ergendosi come un faro di certezza che ci illumina dentro indicandoci la rotta da seguire.
Il 13 maggio 2004 da Cardinale tenne nel Senato una Lectio Magistralis su «Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani». Rimasi colpito dalla sua straordinaria lucidità intellettuale nel focalizzare il male profondo dell’Occidente «nell’odio di sé», perché s’indigna e condanna se si oltraggiano l’ebraismo e l’islam, ma giustifica e legittima l’offesa al cristianesimo ascrivendolo alla libertà d’espressione:
«Nella nostra società attuale grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni di fondo dell’Islam. Laddove invece si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale. (…) C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro».
Il Cardinale Ratzinger dimostrò di essere dotato di una perspicacia di pensiero e di una solidità analitica individuando con largo anticipo rispetto ad altri intellettuali il tracollo demografico come la realtà di maggiore criticità dell’Europa ed evidenziando il parallelismo tra la decadenza della civiltà europea e il crollo dell’Impero Romano:
«L’Europa, proprio in questa ora del suo massimo successo, sembra diventata vuota dall’interno, paralizzata in un certo qual senso da una crisi del suo sistema circolatorio, una crisi che mette a rischio la sua vita, affidata per così dire a trapianti, che poi però non possono che eliminare la sua identità. A questo interiore venir meno delle forze spirituali portanti corrisponde il fatto che anche etnicamente l’Europa appare sulla via del congedo. C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente; essi ci portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Essi non vengono sentiti come una speranza, bensì come un limite del presente. Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quelli che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso non aveva più alcuna energia vitale».
Pur ricoprendo la carica “conservatrice” di «Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede», il Cardinale Ratzinger nel suo prodigarsi da fine intellettuale per tendere la mano a chi è ateo o agnostico, si spinse al punto da sostenere che anche chi non crede in Dio dovrebbe vivere come se Dio ci fosse. Era il primo aprile 2005 a Subiaco, nella sua ultima conferenza pubblica prima di essere eletto Papa:
«Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita “veluti si Deus daretur”, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».
Il culmine della mia “attrazione fatale” fu quando il 12 settembre 2006 Benedetto XVI nella Lectio Magistralis pronunciata nell’Università di Ratisbona, rievocando le parole dell’Imperatore e Santo bizantino Manuele II Paleologo (1350 – 1425), condannò Maometto, denunciò l’espansionismo islamico tramite la violenza, bocciò l’islam perché incompatibile con la ragione. Le sue parole mi convinsero perché corrispondono alla realtà storica e si fondano su una logica incontrovertibile. Il passo che scatenò la condanna degli islamici, ma anche la critica dell’Europa e perfino della stessa Chiesa, è il seguente:
«Mostrami ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva a diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava».
Benedetto XVI argomentò così il legame indissolubile tra fede e ragione e il perché, di conseguenza, essendo l’islam incompatibile con la ragione, non può essere considerato una vera fede:
«L’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima. “Dio non si compiace del sangue – egli dice – non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte”..».
Poi arrivò il giorno più bello della mia vita. Nella notte della Veglia Pasquale, il 22 marzo 2008, ricevetti il battesimo, la cresima e l’eucarestia dalle mani del Papa Benedetto XVI nella Basilica di San Pietro. Ricevere il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile. Per me, che ero stato musulmano per 56 anni, è stato uno spartiacque nella mia vita, un fatto storico, unico e indimenticabile, che ha segnato una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Maturai la decisione di abbandonare l’islam prima della mia conversione al cristianesimo. Dopo essere nato musulmano, dopo aver lungamente perseguito il sogno di un «islam moderato», dopo essermi più di altri prodigato per un «islam italiano» compatibile con le leggi laiche dello Stato e con i valori che sostanziano la nostra civiltà, mi ritrovai ad essere reiteratamente condannato e minacciato di morte da altri musulmani nel nome di ciò che Allah prescrive nel Corano e di ciò che ha detto e ha fatto Maometto. Allora dovetti prendere atto che i musulmani come persone possono essere moderati ma che l’islam come religione non è moderato.
Benedetto XVI, scegliendo di essere lui a celebrare il mio battesimo, dimostrò di essere sia un autentico pastore della Chiesa sia un coraggioso paladino della libertà. Egli volle inviare un messaggio chiaro e forte alla Chiesa e ai cristiani, per dire loro che il Papa deve far prevalere la missione di testimonianza e di conversione alla fede in Gesù su qualsiasi altra considerazione politica o legata alla sicurezza. Fu lui a decidere di impartirmi i sacramenti di iniziazione al cristianesimo, a dispetto della mia condanna a morte in quanto «nemico dell’islam» e poi «apostata», esplicitamente da parte dei terroristi islamici e implicitamente da parte dei cosiddetti «musulmani moderati».
Benedetto XVI si rivelò un autentico testimone di libertà tout court, dandoci l’esempio di come si debba esercitare pienamente il diritto alla piena libertà religiosa, compresa la libertà di un musulmano di convertirsi al cristianesimo, a maggior ragione quando si è a casa propria, in terra cristiana, nella culla del cattolicesimo. Il suo messaggio è stato cristallino: come potremmo noi cristiani essere credibili come testimoni della fede in Gesù e come paladini della libertà religiosa nel mondo, se avessimo paura e rinunciassimo ad essere pienamente noi stessi persino a casa nostra?
Alla fine della cerimonia religiosa mi trovai al cospetto del Papa in compagnia del mio padrino di battesimo Maurizio Lupi. Lui si limitò a un sorriso lieve, di una serenità assoluta di chi è in pace con se stesso e con il Signore. Ma il suo assistente, Monsignor Georg Gänswein, che stava alla sua sinistra, con un sorriso intenso esclamò: «Abbiamo vinto!» Se c’è qualcuno che ha vinto, significa che c’è qualcuno che ha perso. Chi aveva perso lo capii appena varcato la porta della Basilica per andare ad abbracciare la mia «Guida spirituale» Monsignor Rino Fisichella. Apparve il Cardinale Giovanni Battista Re, all’epoca «Prefetto della Congregazione per i vescovi», che rivolgendosi ad alta voce e con un fare vagamente minatorio a Monsignor Fisichella, gli disse: «Se Bin Laden dovesse farsi vivo, sapremmo a chi indirizzarlo!»
Successivamente, da varie fonti, ebbi la certezza che fino all’ultimo istante il vertice amministrativo dello Stato del Vaticano esercitò forti pressioni su Benedetto XVI per dissuaderlo dall’essere lui a darmi il battesimo, per paura delle rappresaglie da parte degli estremisti e dei terroristi islamici. Ma il Papa non ebbe mai alcun ripensamento. È un fatto specifico e concreto che evidenzia come Benedetto XVI abbia dovuto scontrarsi con poteri interni al Vaticano che, al fine di tutelarsi sul piano della sicurezza, arrivarono a concepire che il Papa non dovesse adempiere a quella che è la sua missione: portare Cristo a chiunque liberamente lo scelga.
Ed è un caso emblematico dello scontro tra la Chiesa universale, che opera nella trascendenza e si sostanzia di spiritualità, e un Vaticano terreno che si barcamena nella contingenza e fa i conti con la materialità al pari di qualsiasi altro Stato. Questo è il nodo da sciogliere ed è la sfida che, prima con le sue dimissioni e ora con la sua morte, Benedetto XVI ci ha lasciato. La Chiesa è a un bivio: salvaguardare la sua dimensione trascendente, ancorata alla sua missione spirituale, sostanziata dalla sua testimonianza universale, incarnata nei dogmi della fede assoluta e nei valori non negoziabili, oppure cedere alla ragion di Stato per auto-perpetuarsi costi quel che costi, correndo il rischio di perdere la propria anima e di tradire il cristianesimo.
Ho conosciuto e amato Gesù sin da bambino leggendo i Vangeli e cogliendo la bontà delle opere dei religiosi e dei laici cristiani nelle cui scuole ho studiato e vissuto in collegio per 14 anni al Cairo, la mia città natale. Ma è stata l’ineguagliabile testimonianza di Benedetto XVI, incarnando in modo magistrale il sodalizio tra fede e ragione, a farmi toccare con mano il fascino irresistibile di Gesù, vero Dio e vero uomo, che vive insieme a noi. Il suo acume intellettuale, il suo spessore culturale e la sua maestria filosofica si sono tradotti in un patrimonio teologico unico, tale da elevarlo a «Padre» e «Dottore» della Chiesa, così come lo è Sant’Agostino.
Più che ciò che ha fatto, il lascito di Benedetto XVI è in ciò che ha detto e ha scritto. Da «statista», come Capo dello Stato del Vaticano, ha mostrato i suoi limiti e si è rassegnato alle dimissioni; da Papa, come Capo della Chiesa universale, ha avviato il riscatto del primato della fede cristiana, denunciando la «dittatura del relativismo», che nega l’esistenza stessa della verità, come il male assoluto che ha permeato anche la stessa Chiesa; condannando l’islam come religione in quanto incompatibile con la ragione e in contrasto con i valori che sostanziano l’essenza della nostra umanità; rimettendo al centro della missione della Chiesa l’evangelizzazione, per portare la fede in Gesù Cristo ovunque nel mondo, a partire dal recupero dell’Europa scristianizzata, destinata a scomparire demograficamente, politicamente ed economicamente proprio perché rinnega le proprie radici e tradisce la civiltà cristiana che le ha consentito per duemila anni di essere il centro del potere spirituale, culturale e materiale del mondo. Nel giorno dell’addio alla vita terrena, Benedetto XVI è stato e resterà il mio vero Papa.
Magdi Cristiano Allam
Tanti sono stati i commenti espressi ieri su Papa Benedetto XVI, ma io stavo aspettando il tuo, perché tu, più di altri, hai sentito fin nel più profondo quell’aura speciale, che ha sempre avvolto questo “nostro” autentico Papa, che come pochi ha saputo coinvolgere la ragione nella ricerca della fede e che aveva iniziato a riempire le chiese di nuovo. Forse è proprio per questo che lo hanno sempre ostacolato e oltraggiato.
Grazie per questo tuo ricordo che, insieme a quello di Marcello Veneziani, ha rivestito questa perdita di una luce imperitura!
La dipartita di Benedetto XVI deve renderci ancor più fermamente convinti nella prosecuzione del nostro cammino di uomini in grado di riconoscere e affermare con coraggio le verità di fede e ragione al centro della sua grande testimonianza in quanto papa e, forse soprattutto, in quanto teologo.
Splendida testimonianza Magdi. Quello che ci dici viene dal profondo del tuo cuore e ci arricchisce. Il tuo coraggio di cambiare religione è avvenuto per mano della massima figura che incarna tutti i cristiani. Un dono ineguagliabile e carico di significato per il mondo intero, almeno per quella parte di mondo che cerca di leggere i messaggi e non di subirli. Permettimi di dire che secondo il mio modestissimo avviso la famosa lettera delle così dette “dimissioni”, rappresenta il coraggioso modo di Benedetto XVI di mandare il suo ultimo forte messaggio a tutta la Cristianita’. Un messaggio forse enigmatico per molti, forse addirittura incompressibile ed inaccettabile. Staremo a vedere e ne scopriremo la validità nelle future mosse dell’ antipapa e del futuro Conclave. Noi comuni mortali non possiamo altro che aspettare e sperare di vedere la luce e credere nel miracolo, come tu dici.
Ti ringrazio Magdi della tua testimonianza. Benedetto XVI ha dimostrato di essere un grande testimone della fede e della libertà.
Dall’episodio che ci hai narrato riguardo alle parole pronunciate dal Cardinale Giovan Battista Re nella Basilica di San Pietro dopo il tuo Battesimo mi ha fatto comprendere quanto già allora la Chiesa si fosse davvero allontanata dagli insegnamenti di Cristo e quanto forti debbano essere state le pressioni subite da Benedetto XVI, in tutti i campi.
Riguardo alle sue “dimissioni” , che all’inizio mi avevano sconcertato, concordo con Euro e credo che siano state l’unico modo che aveva per richiamare l’attenzione sulla situazione della Chiesa.
Canonicamente sembra proprio che siano invalide, e non lo dice solo Cionci, ma anche altri giuristi, tra i quali Estefania Acosta, ad esempio. Nessuno all’interno della curia romana ha tuttavia trovato il tempo di andare a fondo della questione, lasciando la Chiesa nella più totale confusione.
Benedetto era in sede impedita. Ora siamo in sede vacante. Credo che questa verità sia destinata ad emergere e sarà devastante per i cristiani.
Preghiamo con tutte le nostre forze e non abbiamo timore a professarci Cristiani veri, anche a costo di essere solo un piccolo resto, come ha profetizzato Papa Benedetto. Un piccolo resto ma fedele all’insegnamento di Cristo.
Un grande tributo a un grande papa. Grazie Magdi per il tuo splendido ricordo nell’ articolo che ci hai donato.
Forte e commovente ricordo di Magdi, di fatti personali e di Storia che rimarrà viva nel percorso della Chiesa. Un grande Uomo e grande Papa. Un Padre, in particolare per Magdi, e per tutti noi. Un faro di ragione che si sostanzia e comunica con la Fede, portando a Gesù Cristo, all’Uomo perfetto, Figlio del Padre.
Belli i ricordi personali e i conflitti Vaticani ed il coraggio di Pietro, testimone di Cristo senza tradimenti, voce che grida nel deserto di una Europa senza memoria, senza speranze e coraggio, perche non sa più chi è, cosa è e dovrebbe essere.
Una luce che ha illuminato Magdi, dando un senso pieno alla sua Vita e così dovrebbe essere per tutti noi. Piango con lui un Padre, che ci ha insegnato la Via, la Verità, la Vita.
Riposi nel Signore e ci assista sempre, sulla stessa strada!