LA POESIA di GIORGIO BONGIORNO: “Querce perenni”

Salivo sempre il mattino
All’oratorio
In cima alla collina
Insieme alle ghiandaie fra i lecci
E ai cinghiali sonnolenti
Nascosti nella macchia
Non di rado l’aquila reale
Disegnava volute trasparenti e solenni
Nel cielo
Ancora incerto tra luna e sole
Con il sospiro della montagna
A pochi passi
Pensavo spesso a mia madre
Come fosse lì a
Camminare con me
Lentamente
A pregare il Signore
A cantare la melodia della speranza
A testimoniare la cantilena della fede
E le note eterne e invincibili
Della vita
E la sentivo sempre vicina
Solida
Dolce
Maestosa
Forte
Orgogliosa
Sicura
Nobile
Mai altera
Come una di quelle querce perenni
Battute da
Mille tempeste
Resistere all’urlo
Dell’ultimo vento di
Tramontana
La rivedevo così spesso
Lassù
E chiamarla e sentire la Sua voce
Era come recitare la fiaba
Del sogno
Dolce e prolungato
Del bambino
Cantare la nenia dei versi
Di quel poeta armeno
Che mi pare dicesse
“La madre è come il pane caldo…”
Era come correre ancora
Dietro il muro di sassi sul sentiero del bosco
Fino al poggio delle rose
Raccoglierle
Vellutate e vermiglie
In un mazzo umido
Di rugiada
Grande come l’amore
Era ancora come ansimare bambino
Nella radura
Sotto i rami dell’olmo
I suoi occhi su di me
E quei colori tenui dell’angelo
Dopo la grande paura
Del temporale
D’estate.

L’uomo è una quercia. La natura non ne annovera di più robuste.
(Isidore Ducasse de Lautréamont)

Sembra che non debbano mai cedere al vento ma, un giorno cominciano a cadere dei rami……

Foto di copertina: La Valle del Gran San Bernardo – Fotografia di Giovanni Quaccia

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

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