GIUSEPPE LAVRA: “L’aziendalizzazione della Sanità pubblica e il ruolo crescente dei privati a scopo di lucro ha danneggiato la Medicina, degradato il servizio ospedaliero, leso il diritto alla tutela della salute dei cittadini”

L’aziendalizzazione dei Servizi Sanitari pubblici è concepita a imitazione delle aziende private, danneggiando la Medicina che, a differenza del settore privato, non ha vocazione a misurarsi con la competizione del mondo degli affari.
Aver trasformato in aziende le strutture dove si pratica la Medicina, imponendo ad esse lo spirito e la prassi mercantile, spiega forse come sia stata innescata la crisi della Medicina attuale, di cui sono vittime i pazienti e gli operatori Sanitari.

L’istituzione delle aziende Sanitarie nella Sanità pubblica ha anche favorito l’ingresso degli imprenditori privati nel SSN. Nel mondo della Medicina, oltre all’assistenza Sanitaria è presente anche la ricerca biomedica, che ha un suo ruolo molto rilevante nelle dinamiche relative alla gestione della Sanità. Questo mondo è turbato dai condizionamenti che subiscono i Servizi Sanitari ad opera dell’imprenditoria privata.
La ricerca biomedica e l’assistenza Sanitaria, non possono essere trattate come se fossero aziende che producono beni di consumo. Tantomeno la Sanità può essere lasciata nelle disponibilità degli interessi privati, perché così si pone a repentaglio un diritto prioritario della collettività, che riguarda in special modo la qualità delle cure.

E’ ben noto infatti che le dinamiche del mercato che regolano la produzione aziendalistica dei beni di consumo, mal si prestano ad essere applicate in Sanità. Questa infatti non può essere sottoposta alle comuni regole del mercato, in quanto in Sanità è l’offerta che condiziona la domanda e non viceversa, come invece avviene nelle aziende che producono beni di consumo.
Questo principio dovrebbe indurre i Governi a separare in modo netto la ricerca biomedica e l’assistenza diretta ai pazienti, da qualsivoglia interesse possa condizionare le scelte delle cure delle persone.
Gli stessi operatori Sanitari devono avere la libertà professionale di poter servire unicamente i pazienti.

Per queste ragioni è necessario che in Sanità si stabiliscano regole trasparenti ed eticamente orientate a perseguire la buona funzionalità del sistema.
Purtroppo nella nostra realtà si è verificata un’aziendalizzazione impropria che ha favorito l’ingresso indiscriminato del privato a scopo di lucro nella gestione dei Servizi Sanitari offerti al pubblico. L’approvazione del DLgs 502/92 che, all’Art.9-bis, stabilisce che: «Le sperimentazioni gestionali previste dall’art. 4, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, sono attuate attraverso convenzioni con organismi pubblici e privati per lo svolgimento in forma integrata sia di opere che di servizi, motivando le ragioni di convenienza, di miglioramento della qualità dell’assistenza e gli elementi di garanzia che supportano le convenzioni medesime.» È molto difficile rilevare i «miglioramenti della qualità dell’assistenza» promessi.

La Legge 833/’78, che istituiva il SSN, invece non includeva i privati profit nella gestione del SSN, infatti l’Art. 41recita così: «I rapporti delle Unità Sanitarie Locali competenti per territorio con gli istituti, enti ed ospedali di cui al primo comma che abbiano ottenuto la classificazione ai sensi della legge 12 febbraio 1968, n.132 (Assistenza ospedaliera pubblica), nonché con l’ospedale Galliera di Genova e con il Sovrano Ordine militare di Malta, sono regolati da apposite convenzioni.»
Mentre, al contrario, il D. L.gs 502/’92, prendendo spunto dall’art. 4, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, trasformava le Istituzioni Sanitarie in aziende, aprendo al privato profit.
Al Decreto Legislativo del ’92 seguirono altri due Decreti Legislativi, il 517 del ‘93 ed il 229 del ’99, i quali confermarono quelle scelte e, soprattutto il D. 229/’99 voluto dal Ministro Rosy Bindi, puntualizzò le procedure necessarie per il convenzionamento del privato profit con l’Art.8-bis «Autorizzazione, accreditamento e accordi contrattuali) 1. Le Regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all’articolo 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende Unità Sanitarie Locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8-quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies.»
Inoltre l’Art. 8 quater recita così: «(Accreditamento istituzionale) L’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla Regione alle strutture autorizzate, pubbliche o private ed ai professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente alla loro rispondenza ai requisiti.»

Dobbiamo prendere atto che il Parlamento italiano, approvando i tre Decreti legislativi degli anni ’90 di cui sopra, trasformò le Unità Sanitarie Locali in aziende e aprì il SSN al privato profit. In tal modo lo Stato, con le sue Leggi, ha ritenuto di esporre il SSN alle dinamiche tipiche del mercato, creando commistione tra pubblico e privato a scopo di lucro.
Va anche ricordato che la gestione della Sanità compete alle Regioni, come prevedono i DPR 3, 4, 8 e 10 del 1972 con i quali furono istituite le Regioni.
Nel 2001 fu implementata l’autonomia regionale con la modifica del Titolo V della Costituzione, con cui le Regioni a Statuto ordinario assorbirono dallo Stato, anche il potere di legiferare in materia Sanitaria.
Tali scelte furono adottate per ragioni politiche e non per migliorare la Sanità. Infatti i quattro D.P.R. del ‘72 soddisfecero le esigenze riguardanti la sinistra storica del Paese che, pur avendo alti consensi non trovava accordi per entrare in maggioranza nei Governi nazionali.
Invece con l’istituzione delle Regioni, la sinistra storica del Paese poteva finalmente assumere responsabilità di Governo a livello locale.
Anche la modifica del Titolo V fu decisa per ragioni politiche per poter soddisfare la richiesta di federalismo regionale della Lega Nord.
Proprio mentre veniva istituito il SSN con la Legge 833/’78, si verificava la frammentazione regionale dello Stato, dando vita a venti Sanità diverse. Inizialmente e per un breve arco di tempo i Governi Regionali affidarono la gestione Sanitaria alle Unità Sanitarie Locali (USL), costituite in Comitati di Gestione, presieduti da un Presidente.
Ma, con i Decreti legislativi degli anni ’90 le USL furono trasformate in Aziende Sanitarie Locali (ASL), la cui gestione fu affidata alla figura monocratica del Direttore Generale, dotato di pieni poteri.

Nel contempo, intorno alla fine degli anni ’80, ebbe inizio la proliferazione e la diffusione di molte specialità mediche e chirurgiche sia d’organo che d’apparato le quali, in una nuova visione centrata sulle specializzazioni mediche e il riduzionismo culturale della Medicina, diedero un forte impulso alla crescita delle potenzialità diagnostico-terapeutiche della Medicina, specie col contributo della tecnologia. Questi fattori coincisero con la rapida crescita dei costi dei Servizi Sanitari che, in breve tempo, innalzarono la propria percentuale dei bilanci economici regionali fino a circa l’80%.
Tale crescita costituì il maggiore impegno gestionale dei Governi regionali e, va detto, anche un fattore di forte attrazione nei confronti dell’imprenditoria privata. L’esplosione dei costi innescò la problematica della sostenibilità economica del SSN, che probabilmente fu anche il pretesto per avviare l’operazione dell’aziendalizzazione.
In realtà però, queste novità determinarono anche forti disordini nei bilanci delle ASL, determinando anche un ulteriore incremento della spesa Sanitaria e degli sprechi. Inoltre, in presenza di queste rilevanti innovazioni, la nostra Sanità si avviò di fatto ad imitare il modello statunitense, introducendo anche un principio strisciante di discriminazione per censo in ordine alla possibilità di accedere alle cure.
Tutto ciò si poneva in netta controtendenza rispetto all’universalismo ed al solidarismo che la Legge 833 invece tutelava.
Non era difficile prevedere allora che un siffatto modello, avrebbe anche generato gli stessi alti costi come nella realtà statunitense, dove la Sanità costa un quinto (20%) del PIL nazionale, mentre i costi dei modelli Sanitari europei, mediamente, sono al di sotto di un decimo (10%) del PIL nazionale. In un tale modello gestionale va anche considerato il mancato rispetto dell’innato diritto alle cure delle persone tutte, compresa la fascia dei cittadini più poveri.

La misura dell’entità dell’impennata dei costi della Sanità si può misurare con alcuni dati riferiti al conto economico consolidato dalle AASSLL negli anni ’90-‘95 in miliardi di lire. Infatti il Fondo Sanitario Nazionale nel ’92 è di 87.612 miliardi di lire; nel ’93 è di 99.900 miliardi di lire; nel ’94 è di 103.684 miliardi di lire e, nel ’95, è di 96.135 miliardi di lire.
Ma per avere un’idea della vera entità del salto della spesa che si determinò in quegli anni, si possono confrontare i 96.135 miliardi di lire del ’95 ai 110 miliardi di euro del 2008 (1mld di lire= 516.456,90 euro = circa ½ mln di euro). In sostanza si può osservare che l’esplosione dei costi è stata tale per cui, nell’arco di poco più di un decennio, si è avuta una quasi triplicazione del Fondo Sanitario Nazionale, mentre fino ai primi anni ’90 oscillava con variazioni modeste.
Non vi sono dubbi che il processo di aziendalizzazione del SSN, abbia trasformato la nostra Sanità, in una realtà interamente dominata dal fattore economico-finanziario.

Giova ricordare a tale proposito le parole di Benedetto XVI pronunciate il 17/11/2012 nell’ambito della Conferenza promossa dal Pontificio Consiglio per gli operatori Sanitari: «È questo un impegno di nuova evangelizzazione anche in tempi di crisi economica che sottrae risorse alla tutela della salute. Proprio in tale contesto, ospedali e strutture di assistenza debbono ripensare il proprio ruolo per evitare che la salute, anziché un bene universale da assicurare e difendere, diventi una semplice “merce” sottoposta alle leggi del mercato, quindi un bene riservato a pochi.»

Col decennio di riforme Sanitarie degli anni ’90 emerse chiaramente la volontà politica di penalizzare le Strutture a gestione diretta, realizzando drastici tagli di Servizi Sanitari pubblici.
Infatti nel 1995 la dotazione delle risorse umane dei Servizi Sanitari pubblici, era di 676.099 unità che, nel 2013, si ridusse a 547.594 unità, di cui peraltro ben 138.644 unità operavano nelle strutture private (fonte Ministero Salute). Da questi dati si evince che, in circa 8 anni, fu sottratto alle strutture pubbliche oltre un terzo delle risorse umane (676.099 meno 263.149).
Inoltre, tra il 2009 e il 2018, son stati chiusi 360 Reparti nelle Strutture pubbliche da cui nel 2020 le strutture pubbliche diventano 516 e le strutture private diventano ben 488 (fonte Min. Salute). Anche i posti letto per acuti, tra il ’94 e il 2019, hanno subito tagli passando dai 354.387 ai soli 173.517 posti letto, con un abbondante dimezzamento dei precedenti 354.387 (fonte Min. salute).
Questi dati danno conto dell’entità dei tagli operati nelle Strutture Sanitarie pubbliche dai Governi regionali sul SSN e della contestuale crescita delle Strutture private operanti in regime di convenzione.
La tendenza della volontà politica è ulteriormente riscontrabile anche nei recenti dati del MEF, riportati nel documento di Monitoraggio Spesa Sanitaria 2020, che si riferiscono al quadriennio 2016–2019. Tali dati ci confermano che la spesa per le strutture private accreditate e convenzionate si è espansa di un ulteriore 19,15% (un quinto!), mentre la spesa per le strutture a gestione diretta è aumentata solo del 6,8%.

La trasformazione delle USL in Aziende Sanitarie, determinata dai Decreti Legislativi degli anni ’90, non ha risparmiato neanche il personale del SSN, che ha subito pesanti modifiche normative con le quali si emarginavano le componenti professionali più culturalmente qualificate per favorire l’imprenditoria privata.
In tal modo si modificavano di fatto gli equilibri relazionali interni e la composizione stessa degli stakeholder tra gli operatori Sanitari.
L’introduzione dei nuovi soggetti, attraverso la loro capacità d’influenza, hanno sostanzialmente condizionato le scelte programmatiche e gestionali delle aziende Sanitarie, ivi compresa la ricerca in Medicina. Infatti i nuovi soggetti, occupando di fatto lo scenario, hanno posto fine anche alla titolarità sui brevetti dei professionisti-scienziati della ricerca scientifica biomedica, che sono passati ad una titolarità aziendalistica-imprenditoriale, determinando il passaggio della proprietà del brevetto dall’Autore scientifico alla proprietà d’impresa. In questo modo anche i brevetti a prevalente rilevanza collettiva venivano abbandonati alla piena e assoluta disponibilità dell’aziendalismo privato, escludendo lo scienziato responsabile della ricerca stessa.
Non può sfuggire che l’opera professionale di un autore offre precise garanzie, in quanto tale opera in Europa è assoggettata a precisi vincoli di natura etica e deontologica. Ma il nuovo contesto determina invece, sia nell’assistenza che nella ricerca, una prevaricazione del potere economico a danno dell’intero sistema Sanitario.

Con le innovazioni apportate negli anni ’90 furono anche ridefiniti i ruoli professionali del personale del SSN, determinando una netta restrizione dell’autonomia professionale specie del medico. Tale indirizzo politico arrivò a istigare una sorta di contrapposizione tra la figura del medico rispetto ad altri operatori Sanitari, arrivando a teorizzare la realizzazione di una sorta di task shifting tra le competenze professionali dei medici e quelle di altri professionisti sanitari.
A tal proposito è sufficiente ricordare il famigerato Comma 566 approvato dal Parlamento italiano nel dicembre 2014, ancora oggi vigente. Tale illogica distopia determinò molta confusione nella realtà dei contesti operativi, che solo parzialmente è stata contemperata dal buonsenso di tanti operatori e dalla prassi operativa consolidata nel tempo e anche alla buona volontà degli operatori Sanitari.
Tuttavia la buona volontà degli operatori sanitari non è stata sufficiente al fine di contenere l’impatto devastante che hanno avuto queste norme scellerate sull’organizzazione, determinando somma confusione e caos.
Le stesse rappresentanze del mondo medico, nei decenni scorsi, non hanno colpevolmente reagito in modo adeguato contro questa sorta di “incertezza del diritto” introdotta in modo spregiudicato e a puro scopo demagogico. Purtroppo questi aspetti che hanno riguardato i medici in particolare, hanno dequalificato in concreto i contesti organizzativi. Tutto ciò è stato esiziale per il nostro SSN, comportando un crescendo di disservizi di cui stanno pagando le conseguenze soprattutto i cittadini e da troppo tempo.

Con la promulgazione delle norme qui richiamate la classe politica ha commesso errori di assoluta gravità tale da portare alla destrutturazione del SSN che, fino agli ultimi anni ’80, era invidiato nel mondo. Quella stessa classe politica non ha saputo cogliere l’occasione offerta dalla pandemia per risanare il SSN, nonostante le gravi insufficienze dei Servizi Sanitari messi a nudo dalla pandemia stessa e le ingenti risorse economiche avute a disposizione.
Invece dobbiamo stigmatizzare che, anche dopo la pandemia SARS-CoV-2 il SSN si ritrova ancora con i PS/DEA da Terzo mondo (le 6/7 ore di attesa per essere visti dal medico in PS, il sovraffollamento e stazionamento di giorni e giorni dei malati ricoverati in area DEA, i circa 20.000 decessi/anno per neoplasie in più nell’ultimo triennio, la drammatica carenza di risorse umane, lo scandalo dei medici a gettone forniti dalle cooperative, dei medici importati da Cuba e il 40% circa dei medici del SSN determinati a fuggire quanto prima dagli Ospedali).

Per porre fine a questa triste e inaccettabile situazione è necessario mettere mano ad una riforma Sanitaria seria e responsabile, con la quale si definiscano chiare regole per realizzare un nuovo SSN efficiente e di qualità.
Per questo è necessario avere il coraggio di cambiare rotta rispetto all’ultimo trentennio, correggendo tutte le distopie generate dalle riforme degli anni ’90. Bisogna impostare un nuovo e diverso SSN, procedendo all’eliminazione delle “aziende” Sanitarie, affidando la gestione delle strutture Sanitarie a un Consiglio di Amministrazione che affida le proprie decisioni a un Direttore Sanitario che le renda effettive, bisogna procedere all’accentramento nello Stato delle norme che regolano la Sanità, riscrivendo da capo le norme riguardanti il personale dipendente, nel rispetto dei ruoli e delle competenze professionali di tutti gli operatori Sanitari e, infine, vietando l’affidamento dei Servizi Sanitari pubblici, a gestione diretta, ai privati con scopo di lucro.

Giuseppe Lavra

2 commenti su “GIUSEPPE LAVRA: “L’aziendalizzazione della Sanità pubblica e il ruolo crescente dei privati a scopo di lucro ha danneggiato la Medicina, degradato il servizio ospedaliero, leso il diritto alla tutela della salute dei cittadini”

  1. Purtroppo il percorso di smantellamento della sanità italiana è così avanzato che sembra impossibile fermarlo, soprattutto alla luce dei “rimedi” che vengono proposti per il futuro. C’è da augurarsi di rimanere ben in salute fino all’ultimo secondo di vita!

    1. Come non essere concorde con questa lucida critica al Servizio Sanitario Nazionale, manipolato e asservito ai voleri di un partitismo di stampo mafioso?
      Vorrei anche evidenziare un grottesco paradosso. Il personale medico e paramedico viene formato nelle strutture e università pubbliche, che finanziamo noi cittadini con le nostre tasse. Poi, dopo una certa gavetta nel comparto sanitario pubblico, esso viene reclutato e cooptato da strutture ospedaliere private, al quale concede maggiori stipendi e privilegi. Insomma, noi cittadini finanziamo la formazione di una classe medica che poi, passando nel comparto privato, dobbiamo pagare ancora di tasca nostra, invece di usufruirne in maniera non dico del tutto gratuita ma almeno agevolata.

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