IL PENSIERO DI GIORGIO BONGIORNO: “Rassegnazione: qualche pensiero e qualche indirizzo”

IL PENSIERO DI GIORGIO BONGIORNO: “Rassegnazione: qualche pensiero e qualche indirizzo”

Avevo pensato a certi approfondimenti linguistici ed in particolare a trattare e diffondere in maniera leggera e discorsiva delle espressioni polirematiche i cui esempi ci mostrano quanto il grande pubblico non sia propensoa conoscere le radici di questo fenomeno che costituisce una parte importante del processodi comunicazione che è lo strumento con cui ci rapportiamo alla società che ci circonda e in un ruolo o in un altro ci include.Pensavo che avrebbe fatto piacere, per esempio, conoscere la vicenda di Damocle e l’origine della famosa espressione “Spada di Damocle” ormai perduta nella fossa dei tempi oppure quella della altrettanto diffusa “Ho perso la Trebisonda” e della locuzione “Andare a Ramengo”ecc. Ma di fronte a un certo disinteresse emersoper la polirematica e per le allocuzioni che la rappresentano e la definiscono, vorrei esporre alcune osservazioni nei confronti di un sentimento comune di questi tempi e per varie ragioni a molti strati della struttura sociale e istituzionale del nostro amato paese. Per poi tornare con dedizione alla diffusione della polirematica quale modesto contributo linguisticodi un umile ma determinato “artigiano della parola”. La Treccani riporta la seguente completa definizione del lemma “rassegnazione”: rassegnazióne s. f. [der. di rassegnare]. – 1. non com. Rinuncia a un incarico, a una carica: r. di un mandato; r. delle proprie dimissioni. 2. Accettazione della volontà altrui anche se contraria alla propria; disposizione dell’animo ad accogliere senza reagire fatti che appaiono inevitabili, indipendenti dal proprio volere: soffrire, patire con santa, tranquilla, eroica r.; attende la morte con cristiana r.; è un uomo caparbio e combattivo: la r. non è nel suo carattere. Oriana Fallaci, da combattiva giornalista di trincea, sicuramente dissentiva da una definizione “letteraria “quale quella indicata dalla famosa Enciclopedia. In particolare Oriana sosteneva nei suoi libri: “L’abitudine genera rassegnazione. La rassegnazione genera apatia. L’apatia genera inerzia. L’inerzia genera indifferenza. Ed oltre a impedire il giudizio morale, l’indifferenza soffoca l’istinto di autodifesa. Quello che induce a difendersi, a battersi.” E mi pare che questa espressione (la rassegnazione genera apatia) possa descrivere correttamente il senso della rassegnazione meglio di qualsivoglia altra “didascalia” di comodo. E non soltanto descrivere in generale il senso che si da a questo comportamento sociale ma argomentarne le radici etimologiche e documentarne la genesi fisiologica, economica, psichica e politica. La rubrica “Una parola al giorno” blog di indubbio interesse e di ormai consolidato successo afferma: “ETIMOLOGIA forse dal latinoresignare ‘rompere un sigillo, rivelare’; forse da assegnare, con un prefisso intensivo. Questa parola è fra le più complesse. Infatti ricostruirne il percorso semantico ci mette davanti a una certa frammentazione di significati, a delle soluzioni di continuità che mettono in discussione l’unità dell’etimo. Ma la sua raffinatezza e la sua diffusione meritano lo sforzo.” Ritornerei volentieri in questa mia sintetica osservazione alla passionale definizione di Oriana Fallaci, che meglio descrive, a mio avviso, la complessità dell’etimo attraverso un processosociale di apatia (del resto comune alla realtà socio-politica attuale) che lo contraddistingue e in fondo ne definisce i contorni dialettici e comunicazionali. L’eterodirezione che governa il nostro sistema politico istituzionale viene considerata frutto di una situazione irreversibile e la sua accettazione inevitabile e al di sopra del nostro potere per cui qualsiasi tipo di reazione risulterebbe inutile generazione di entropia. E fin qui si può quindi capire lo sviluppo di una certa dose di iniziale rassegnazione. Completamente errato lo scivolare però nell’apatia, nell’inerzia e nell’indifferenza, conclusioni negative di un processo che deve invece indurre alla ricerca continua di soluzioni alternative e di azioni concrete di contrasto al completamento di questa situazione di indifferenza. La rassegnazione deve essere per la compagine sociale e civile l’ultimo gradino di una serie di produttive attività di mobilitazione volte alla ricerca di una soluzione libera, autonoma e ragionevole del conflitto in atto. È consigliabile e utile quindi offrire un civile contrasto alla presunta inevitabilità di una sconfitta morale, economica e politica impiegando e facendo proprio un altro atteggiamento che la grande Oriana, con ardore, ci ha nuovamente ricordato: “Per non assuefarsi, non rassegnarsi, non arrendersi, ci vuole passione. Per vivere ci vuole passione.” Passione quindi. Altro che assuefazione, sofferenza, indignata indifferenza e rassegnazione. Un ulteriore contributo di riflessione sulla rassegnazione è stato dato da un altro grande giornalista e filosofo americano (Chicago Daily News e Chicago Sun Times) Sydney J. Harris: “La prima grande regola della vita è sopportare con pazienza ciò che ci accade. La seconda è rifiutarsi di sopportare con pazienza. La terza – e la più difficile – essere capaci di distinguere fra le prime due.” L’errore quindi non sta nel riconoscere una fase iniziale in cui regni nella considerazione socio-politica della situazione economica e socio-politica di un paese una certa indole rinunciataria ma nella giustificazione successiva di atteggiamenti rinunciatari che conducano all’indifferenza, all’inerzia e alla passiva e rassegnata accettazione dello status quo sostenuto da forze che agiscono su livelli di interesse e obiettivi del tutto estranei alla realtà che si prende in considerazione. Pare quindi che queste note richiamino in chiaro e secondo le regole che ci siamo date attenzione sulle azioni che la Casa della Civiltà si propone di sviluppare per dare soprattutto risposte concrete in grado di neutralizzare pulsioni di rinuncia che non portino ad inerzie e all’accettazione supina e rassegnata di soluzioni di compromesso che per la verità non le sono proprie.

2 commenti su “IL PENSIERO DI GIORGIO BONGIORNO: “Rassegnazione: qualche pensiero e qualche indirizzo”

  1. Apprezzo il tuo commento e ovviamente ne condivido in pieno la logica. Soprattutto condivido la sfida del superamento della rassegnazione che è un gradino al di sotto della disperazione ma rende ancora possibile la salvezza. Purtroppo il nemico numero uno è il Grande Reset orchestrato da forze ben individuate che non badano a spese per diffondere il loro virus sociale e raggiungere i loro scopi il cui significato ci è purtroppo molto chiaro. E’ vero: il grigio non ci appartiene e credere nel miracolo può senza dubbio aiutare.
    Sursum corda!

  2. Mi spiace ma avevo scritto un lungo commento di approvazione allo scritto di Giorgio, ma pare che un errore nel website, nel database, abbia fatto saltare lo scritto, che qui non vedo.
    Non posso replicarlo per mancanza di tempo e memoria.
    Comunque la polirematica nel mio vecchio vocabolario non c’era. Approfondiro’.
    Sulla disperazione, termine dai contorni molto sfumati, spesso aggettivata, pur umana, non può essere fine(nemmeno la morte lo è, per chi crede), ma una porta chiusa che dobbiamo o sfondare se possibile o spingerci a cercare un nuovo passaggio per la Via, la Verità, la Vita, verso il Tutto, l’Umano e il Divino in noi.
    Verso la vita eterna, garantita dal nostro DNA e i suoi geni, integri e programmati, non modificabili né negoziabili, senza i quali non ci sarebbe futuro singolo e collettivo.
    Meglio scegliere un giorno da leoni che cento anni da pecore. Meglio VIVERE da uomini liberi e consapevoli, che SOPRAVVIVERE da pecore disperate od abuliche. Il Grigio non ci appartiene!!

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