MARCELLO VENEZIANI: “Siamo diventati un popolo di struzzi”

Dopo l’ondata dei populisti, dei protestatari, degli scontenti, cosa siamo adesso? Un popolo di struzzi. Tra obblighi da seguire senza obiettare, realtà da non vedere, verità da tacere, falsità da ingoiare, rassegnazioni pubbliche e private, finzioni per sopravvivere e per non comprometterci, impossibilità di cambiare gli eventi e volontà di sfuggire i problemi, non affrontare le questioni più spinose che ci toccano più da vicino o più in profondo siamo diventati struzzi. Viviamo da struzzi, facciamo la gara degli struzzi. Cosa fanno gli struzzi? Una cosa proverbiale e tre vere. La cosa proverbiale, ma non del tutto vera, è ficcare la testa nella sabbia per non vedere. Le altre tre cose vere sono fuggire a zampe levate appena annusano un pericolo, o al contrario immobilizzarsi, schiacciarsi al suolo, testa e collo inclusi, fino a sembrare cespugli. O infine, digerire tutto, anche i sassi, ovvero accettare ogni cosa, grazie a uno stomaco proverbiale. 

Nel libro di Giobbe si dice che Dio ha negato allo struzzo la saggezza e non gli ha dato in sorte il discernimento. Infatti lo struzzo non sa distinguere tra un mangime o un sassolino, becca e ingoia tutto. 

Lo struzzo umano non ha spirito critico, di fronte alle situazioni di pericolo fugge o si rassegna, si butta per terra per passare inosservato o ingurgita e digerisce ogni cosa. Stiamo parlando di noi sotto le mentite piume dello struzzo. Lo struzzo è il nom de plume per mascherare la nostra identità e fuggire dalle responsabilità e dall’affrontare le situazioni. Dopo le ondate di rabbia e di protesta degli anni scorsi, viviamo i giorni dello struzzo, non vogliamo affrontare la realtà che non ci piace, preferiamo sottrarci, non vedere. Siamo struzzi nella sfera pubblica come in quella privata. Dopo aver descritto un paese di malinconici, di spaventati, di scontenti, oggi i rapporti sugli italiani, come quelli che fanno l’Istat o il Censis, dovrebbero dire che il nuovo status prevalente è lo struzzismo. Siamo struzzi in tema di guerra e di Ucraina, perché dissentiamo dalla linea ufficiale sposata da destra a sinistra ma non lo diciamo; siamo struzzi in tema di vaccini e di pandemia, perché non vogliamo parlarne più; siamo struzzi sul cambiamento politico e sul malessere sociale, perché abbiamo esaurito le alternative e non sappiamo più cosa dire. Facciamo poi gli struzzi per non dire veramente cosa pensiamo davanti al codice ideologico e morale di divieti e ipocrisie, di cancellazioni e pregiudizi, imposti nella vita di ogni giorno dal politically correct. Siamo struzzi perché ci asteniamo dal dire le cose che vediamo nella realtà, sapendo che non possiamo dire quel che realmente pensiamo da sempre, perché contravviene al canone. Tutta l’ideologia pubblica della nostra società, nonostante i governi patriottici, ci esorta alla struzzagine o alla struzzeria, scegliete voi la parola giusta. Taci, scappa, schiacciati a tappetino, infila la testa nella sabbia, ingoia pure i sassi, ma non dire, non fare, non pensare quel che realmente ti verrebbe voglia di fare di dire e di pensare; è il manuale delle buone maniere, ovvero il catechismo di servilismo e omertà che ci viene impartito. Non cittadini ma struzzi. E struzzi siamo a casa nostra, coi nostri figli, nei nostri rapporti coniugali e nelle nostre relazioni sociali. Non vogliamo vedere per quieto vivere, per comodità e per egoismo; per non turbare la nostra pace o per farci gli affari nostri e non dedicarci a chi ci sta vicino. Quante volte il nostro lasciar fare, la libertà che riconosciamo a chi ci sta a cuore, l’occhio che chiudiamo o a volte tutti e due, non nascono da indulgenza, rispetto della vita altrui, dei loro diritti e della loro libertà, ma solo perché è più spinoso, più difficile, più pesante dire di no, affrontare la realtà, assumersi le conseguenze di un rifiuto.  

Facciamo gli struzzi perché siamo perdutamente individualisti, pensiamo solo a stare meglio noi. E quando dico che diventiamo ogni giorno di più struzzi non uso il plurale a caso, lo faccio perché includo pure me stesso. Faccio lo struzzo per non stare sempre in guerra col mondo, per farmi piacere anche quel che non mi piace, perché non voglio essere sempre contro. E faccio lo struzzo nella vita privata, nei rapporti affettivi, faccio finta di non vedere, di non capire; non dico tutto quel che penso, in apparenza per non ferire, per non dispiacere; ma in realtà perché costa molto di più dire la ruvida verità perché devi poi caricarti delle conseguenze, è duro impegnarsi a modificare le cose, ci vuole pazienza, capacità di reggere agli urti, di ascoltare e farsi ascoltare, assumersi un ruolo. 

E allora facciamo gli struzzi. Lo facciamo per tirare a campare, un po’ per stanchezza e persuasione di sconfitta, un po’ per umanissima viltà. Non è la prima volta che struzziamo, anzi alterniamo periodicamente cicli di ribellione a cicli di rifugio nello struzzismo.  

Quanto potrà durare questa gara degli struzzi? Per quanto tempo possiamo far finta di non vedere, di non capire, di non dissentire? O tireremo fuori la testa dalla sabbia quando sarà ormai troppo tardi e avrà poco senso recriminare oppure obbiettare? Intanto registriamo quest’altra mutazione antropologica, anzi zoologica, magari comprensibile, ma di cui non andare certo orgogliosi. Salve o popolo di struzzi.

(Panorama, n.8)

Siamo diventati un popolo di struzzi

 

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