Rovesciamo la frittata. Sento dire in giro, e accade abbastanza spesso, che Giorgia Meloni sta facendo esattamente quello che avrebbe fatto Mario Draghi, Enrico Letta o chi volete voi, in tema di Nato, armi all’Ucraina, direttive europee, linea economica, ecc,; dunque a cosa vale avere la destra al governo? Sono d’accordo sulla premessa, avendo anzi avvertito sin dall’inizio e anche prima, al tempo del voto, che sarebbe andata così. Ma provo a rovesciare le conclusioni e dire: preferisco che la stessa linea, che avrebbero tenuto Draghi, Gentiloni, Letta & C., la porti avanti la Meloni piuttosto che loro. Lo preferisco perché preferisco l’interpretazione di “destra” dello stesso copione, a quella tecnocratica o di sinistra; perché preferisco chi almeno proviene da una storia diversa, ed è più attenta almeno sul piano delle intenzioni e dei discorsi, ai temi della sovranità, della nazione, della tradizione; ed è avversa, almeno nelle intenzioni e nei discorsi, al predominio del politically correct e di tutta l’ideologia e la prassi che ne consegue. Da lei posso ancora sperare almeno minime cose positive; da loro no, vanno in un’altra direzione.
Se vogliamo, è la solita, vecchia teoria del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, anche se poi la vera questione è capire che liquido c’è dentro quel benedetto mezzo bicchiere, se è nettare o urina. Ma è l’unico criterio realistico per giudicare la situazione, e non sbrigarsi con un giudizio apocalittico e sconfortato.
Come avrete forse capito, il mio ideale sarebbe ben altro e ben più alto; e come forse avrete notato, non sono per niente d’accordo su molte di quelle posizioni assunte, soprattutto in politica estera. Anche a me capita di osservare, quando vedo imperversare la tirannia del conformismo progressista, che nulla è cambiato con l’avvento della destra al governo, e nulla sta per cambiare. Tutto si ripete come prima, stessi temi e stessi interpreti.
Però immaginare altre scelte, soprattutto in politica internazionale, significa poi vedere la Meloni buttata fuori dal governo: perché viviamo davvero sotto una cappa e se non sei allineato e coperto, ti fanno fuori in poco tempo dal governo, sguinzagliano i cani più feroci per sbranarti, costringerti a chiedere aiuto o farti fuggire a gambe levate.
A voler fare un primo bilancio di questi primi quattro mesi, che sono comunque un lasso di tempo troppo breve per giudicare un governo, io trarrei un’impressione complessivamente positiva, relativamente ad alcuni punti. Dunque, siamo contenti che dopo il governo tecnico sia tornata la politica, almeno come immagine, cornice e frasario. E che sia tornata con un timbro di destra, seppure su un foglio bianco.
La Meloni mostra di essere accorta, non scivola su bucce di banana, studia e lavora seriamente, mostra davvero – come gli riconoscono gli avversari- di essere capace. Ha schivato le accuse di fascismo e nazional-populismo, sa comunicare direttamente ed efficacemente, risulta affidabile e credibile quando parla, non va mai sotto o sopra le righe (un po’ meno i suoi uomini, alcuni veramente modesti). A volte si accanisce con alcuni del suo partito, un tempo della sua stessa parrocchia (es. Fabio Rampelli): ma chi come lei è in una posizione di forza potrebbe mostrare maggiore magnanimità e avrebbe tutto da guadagnare. Tiene a bada il malcontento di alcuni suoi alleati, sa dialogare con le opposizioni, si confronta con alcuni settori della società civile. Nel complesso tiene diritta la barra, sta sempre sui problemi, con equilibrio e senso pratico, mostrando anche una certa competenza, o quantomeno di aver studiato. Spicca in solitudine. Funziona bene nei rapporti internazionali, ha superato la difficile prova di essere accettata. I torti che l’Italia subisce, li avrebbe subiti anche con Draghi o altri, perché quando sono in gioco gli interessi nazionali, ad esempio francesi o tedeschi, non c’è premier che tenga. Magari avrebbero trattato Draghi con più riguardo, avrebbero fatto la foto con lui in prima fila, ma non avrebbero certo abdicato ai loro interessi.
Rispetto invece alla situazione interna, salvo qualche comizio per galvanizzare le “maestranze” e gli italiani, con qualche apericena identitario, la Meloni segue una linea di spoliticizzazione e di neutralizzazione dei conflitti. Non interviene dove si creano zone calde e radicalizzazioni bipolari (tipo Sanremo, temi civili e biopolitici, piazzate, risse e polemiche sui diritti); tende a raffreddare anziché riscaldare le tensioni, e a sopire i contrasti. Interamente presa dalla manutenzione del governo, affida solo a qualche fervida orazione la sete di rivoluzione conservatrice. Certo, col tempo qualcosa dovrà pur fare che rechi un segno concreto e una traccia che di lì è passata la destra al governo. Certo, il grande politico sa essere un po’ volpe e un po’ leone, per dirla con Machiavelli; deve sapersi destreggiare – parola santa – tra la prudenza e l’audacia, capendo quando è il momento di spingere sull’una e quando sull’altra. Finora ha prevalso la prudenza, ma siamo ancora nella fase di rodaggio, dunque è comprensibile; poi si dovrà saper usare anche l’audacia. Nonostante tutto, avvertiamo nell’aria meno ostilità di quando c’era Berlusconi al governo; ma i tempi della politica sono ormai labili e fugaci, la curva del consenso è assai breve, i rischi sono dietro l’angolo; in un momento si passa dalla magia del consenso alla maledizione della sfiducia.
Abbiamo tentato un realistico, veritiero check-in nel chiaroscuro, un tagliando al governo in corso d’opera. Ma siamo ancora in una fase sperimentale. Da noi al sud, con la bella stagione, ci sono i cartelli con la scritta “Meloni alla prova”. Vale anche per Giorgia e non solo per i cocomeri.
La Verità – 22 febbraio 2023