SILVANA DE MARI: “È nel deserto che si capisce il valore dell’acqua”

Ho ascoltato spesso questa frase da bambina; ho sempre dato per scontato che fosse un proverbio, un detto diffuso tra il popolo da secoli se non da millenni. In una rapida ricerca per scrivere questo articolo, non ho trovato traccia di questo motto da nessuna parte, quindi sospetto che lo abbiamo inventato noi. D’altra parte i proverbi da qualche parte devono ben cominciare. Non vedo perché la mia famiglia non possa coniarne uno. Quanto nel deserto si capisca il valore dell’acqua era molto chiaro nella mente di Antoine de Saint Exuperì, autore de Il piccolo principe che nel libro “Terra degli uomini” racconta di quando lui e un altro pilota postale ebbero un incidente aereo nel Sahara. Sopravvissero, ma il loro aereo era inutilizzabile e loro si trovavano in mezzo al nulla senza acqua. Non poterono far altro che cercare soccorso a piedi. “O voi che ho amato, addio. Non è affatto colpa mia se il corpo umano non può resistere tre giorni senza bere. Non credevo di essere così prigioniero delle fonti. Non sospettavo un’autonomia così corta. Si crede che l’uomo possa marciare dritto innanzi a sé. Si crede che l’uomo sia libero… Non si vede la corda che lo lega al pozzo, che lo lega come un cordone ombelicale al ventre della terra. Se egli fa un passo di più, muore”, scrive Saint Exuperì. I due si trascinano e si trascinano, mentre giorni infuocati si alternano a notti gelide che però non lasciano all’alba nessuna goccia di rugiada. Finalmente quando sembra che anche loro siano diventati deserto, senza più saliva e con le lacrime asciugate, avvistano delle orme. Le seguono con le ultime forze e trovano infine un beduino. “. Con un semplice movimento del busto, col semplice atto di girare lo sguardo, egli crea la vita, e mi appare simile a un dio…Gli è bastato guardarci. Qui non esistono più né razze, né lingue, né divisioni…C’è questo nomade povero che ha posato sulle nostre spalle delle mani da arcangelo… E adesso beviamo, bocconi, con la testa nel catino, come vitelli. Il beduino se ne preoccupa e ci costringe continuamente a interromperci. Ma appena ci molla torniamo a tuffare l’intero viso nell’acqua. L’acqua! Non hai sapore, acqua, nè colore, né aroma, non ti si può definire, ti si assapora senza conoscerti. Non sei necessaria alla vita: sei la vita stessa. Ci impregni di un piacere che non si spiega solo con i sensi. Con te, rientrano in noi tutte le facoltà alle quali avevamo già rinunciato. Grazie a te si riaprono in noi tutte le fonti inaridite del nostro cuore. Sei la massima ricchezza che esista al mondo, e si anche la più delicata, tu così pura nel ventre della terra. Si può morire a due passi da un lago d’acqua salata. Si può morire nonostante due litri di rugiada in cui siano in sospensione alcuni sali. Tu non accetti la mescolanza, tu non tolleri l’alterazione, sei una divinità ombrosa… Ma diffondi in noi una felicità infinitamente semplice. Quanto a te che ci salvi, beduino del deserto, ti cancellerai tuttavia per sempre dalla mia memoria. Non ricorderò mai il tuo volto. Sei l’Uomo, e mi appari col volto di tutti gli uomini insieme. Non ci hai nemmeno guardati in faccia e ci hai già riconosciuti. Sei il fratello beneamato. E, a mia volta, ti riconoscerò in tutti gli uominiMi appari illuminato di nobiltà e di benevolenza, gran signore che hai il potere di dare da bere. In te, tutti i miei amici e i miei nemici camminano verso di me, e non ho più un solo nemico al mondo.”  Consiglio di stampare queste righe e di rileggerle in uno di quei giorni grigi vuoti di noia e depressione. A casa nostra ci sono i rubinetti, quelle rotelline magiche che ci danno l’acqua tutte le volte che ne abbiamo bisogno. È nel deserto che si comprende il valore dell’acqua e occorre essere talmente saggi da non aver bisogno del deserto per comprendere questo valore. Tutta la nostra vita è un’infinita ricchezza. Proviamo un attimo a pensare come ci sentiremo se avessimo perso tutto, se qualcosa avesse cancellato i nostri affetti, la nostra casa. Immaginiamo come ci sentiremo se ci trovassimo sotto le macerie con la bocca piena di terra. Cominciamo essere felici di ogni stilla d’acqua, di ogni raggio di luce. Se siamo molto spaventati all’idea di perdere qualcuno che amiamo, cominciano a godersi ogni singolo istante della sua vita. Al mattino quando ci svegliamo diciamo grazie. Abbiamo dormito in lenzuola pulite, in una stanza non bombardata. Diciamo grazie per le rotelline da cui esce acqua pulita, per la cucina dove ci prepariamo a tazza di qualcosa di caldo. Riempiamo di gratitudine nostra vita. Non dobbiamo aver bisogno del deserto per trovare la felicità di avere l’acqua.
La frase a casa mia la ripeteva mia madre durante la quaresima. La quaresima è il momento di dominare gli istinti e le voglie, non si poteva rubare la cioccolata. Non avevano dolci. Dovevamo essere più buone, mia sorella ed io. In effetti quando la fine del giorno di Pasqua arrivava il sapore della pastiera e dell’uovo erano incredibili. Aver passato settimane senza fare capricci onestamente ci ha reso più forti. Eravamo diventate soldati. Mio padre tollerava perplesso Mia madre era molto credente, mio padre non lo era affatto. Io ero terrorizzata dal suo non essere credente. Temevo che Signore degli Eserciti avrebbe aperto il cielo e lo avrebbe folgorato. Il Signore degli Eserciti lo folgorò in effetti, ma non nel senso che temevo io. Un giorno in una chiesa fu talmente sconvolto da tutta la bellezza che lo circondava che si rese conto che non poteva essere casuale. E tornò credente. Nell’orrida e ripugnante bruttezza di chiese postconciliari il rischio che questo succeda è molto minore

La quaresima è la traversata del deserto. La Bibbia è piena di deserti. C’è il deserto di acqua su cui naviga Noè per quaranta giorni. Alla fine la colomba porta un ramoscello di olivo, l’arcobaleno riempie il cielo e Dio promette agli uomini che il diluvio non si ripeterà. Mosè è stato quarant’anni nel deserto, un tempo così lungo era necessario perché un popolo di schiavi non poteva vivere nella terra d’Israele. Gli schiavi devono essere purificati dal loro essere schiavi. Il peccato è una schiavitù. Ogni dipendenza maligna lo è. La quaresima serve a liberar sene. 40 giorni senza cellulare, 40 giorni senza fumare, 40 giorni senza essere lagnosi. 40 giorni mangiando di meno: in quaresima è richiesto anche questo. Adesso tutti ci spiegano che il digiuno è una metafora, non è una metafora, i pasti devono essere più piccoli secondo regole precise. Poi si può rinunciare a qualcosa, lo zucchero, il fumo, i social. È una maniera di essere un soldato. Ti senti un guerriero sotto lo sguardo di Dio. È bellissimo. La parola cattivo nasce dal latino captivo, catturato. Le dipendenze ci levano la libertà, la quaresima ce la restituisce. Dio ci purifica con il deserto, con il dolore. Il dolore è una crisi, e ogni crisi può spingerci nel baratro, o avvicinarci a Dio. Noi abbiamo paura del dolore. Preghiamo che Dio non ci induca in tentazione, che non ci provi. Anche Cristo chiede che il calice sia allontanato, ma poi aggiunge “Sia fatta la tua volontà”. Gesù Cristo passa quaranta giorni nel deserto e poi quaranta ore nel sepolcro. Ed erano quaranta, non trentanove o quarantuno, quaranta, indicato dalla lettera mem. In ebraico ogni lettera ha tre significati: sé stessa, un numero, e un significato ideografico. E la lettera mem con la sua forma raccolta e squadrata era il pozzo dell’acqua, il mare che raccoglie le terre, era la lettera della madre. Quaranta era indicato con la lettera mem, la stessa lettera con cui cominciava maym, la parola acqua. Il deserto, aveva avuto per loro la compassione dell’acqua. Miriam, la sorella di Mosè, colei che lo aveva salvato neonato, quando il popolo attraversa il Mar Rosso che si era aperto, ballò e danzò. Secondo un’interpretazione del Talmud, Miriam dava l’acqua al popolo grazie a un pozzo miracoloso, che la seguiva. Alla sua morte l’acqua mancò e Mosè batté la roccia col bastone perché sgorgasse. Con il suo bastone, batteva sulle rocce e l’acqua sgorgava, fresca pulita, sufficiente a tutto il popolo d’Israele. Il deserto era il luogo dove si capiva il valore dell’acqua. Il deserto era il luogo in cui, restando solo con la propria ombra, un uomo trovava la strada verso il cielo. La quaresima è il periodo della rinuncia, del sacrificio, che viene dal latino sacrum facere, ma una rinuncia lieve, non aspra e dolorosa, un deserto temprato con l’acqua. Essere malati è come traversare un deserto.

La malattia, sempre, è un deserto, il luogo dove si comprende il valore dell’acqua, dove le priorità vengono brutalmente ristabilite. È necessario che ci sia sempre la benedizione della compassione.

Le prime due pioniere della morte per disidratazione si sono chiamate Terry Sclavo ed Eluana Englaro.

È nel deserto che si capisce il valore dell’acqua.

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