Auguro alle donne che l’8 marzo si spenga lentamente, fino a passare inosservata. Per fortuna, la festa della donna va scemando col passare degli anni. E giustamente. Un tardivo omaggio al femminismo, una concessione retorica alle festività astratte (il Bambino, il Malato, l’Handicappato, il Gatto, l’Anziano) e poi tante cefalee per via di quelle insopportabili mimose. Dell’8 marzo sopravvive una triste magnata per sole donne che fa tanto semel in anno licet insanire (una volta all’anno è permesso impazzire), come ormai convengono molte reduci da questi riti stanchi di branco. Rito comprensibile tanti anni fa, non ora che ogni giorno prevalgono tavoli di donne ai ristorante e al bar. Quelle auto piene di donne in libera uscita, quei locali che sembrano come l’isola mitica di Aiaia, abitata solo da donne, cominciano finalmente a far pena anche a voi. Un rito assurdo e logorato che non corrisponde alla realtà quotidiana. Che senso ha celebrare la Donna in genere, come facevano i giacobini della Rivoluzione francese coi loro calendari pieni di feste astratte? Dedichiamo allora una festa mondiale al Genere Umano, o se vogliamo essere meno razzisti, agli Esseri Viventi? Via, ognuno ha la sua festa personale, le sue ricorrenze, le sue occasioni. Magari in origine quella festa aveva un significato di emancipazione, riconoscimento e rispetto per le donne. Non serve nemmeno a scoraggiare la violenza alle donne, che prosegue imperterrita.
Ma i problemi delle donne oggi non risalgono semplicemente alle ataviche ragioni che furono alle origini dell’8 marzo, come il maschilismo e la natura matrigna che li costringe alla maternità, ma ad altri problemi nuovi: ad esempio perché le donne sono diventate numericamente superiori ai maschi e quindi con più concorrenza; perché il culto consumistico-televisivo della bellezza e della gioventù massacra i tre quarti delle donne, dal mito delle veline e all’antimito delle rifatte; perché le separazioni, alla fine, danneggiano più le donne che gli uomini, e l’arco anagrafico di appetibilità di una donna è inferiore a quello dei maschi. O perché lavorando fuori casa le loro frustrazioni antiche di casalinghe non sono finite, ma si sono riversate altrove e accumulate a quelle del lavoro. Altre nevrosi, altre depressioni colpiscono oggi le donne: è cambiato solo il luogo e la forma dell’infelicità, come della felicità. E poi non conta nulla la mortificazione corrente della maternità, della femminilità, della bellezza femminile, della maggiore sensibilità delle donne?
Tutte queste considerazioni ci portano lontano dallo spirito antagonistico, sessista e floreale dell’originario 8 marzo. Sbucciamo le donne dalla retorica della loro festa che mi pare ormai tardiva, un poco rococò e tanto retrò. Quanto alle quote rosa riservate alle donne, lasciamo perdere, sono una mortificazione della donna e si possono applicare all’infinito, quote azzurri per garantire i giovani, quote fucsia per gli omotrans, quote nere per i migranti, quote per ogni genere di vero o presunto svantaggio. W il diritto alle pari differenze.