STEFANIA CELENZA: “Conversazione sull’aborto”

Le strade della vita sono davvero sorprendenti, mettono insieme persone, creano incontri inaspettati, talvolta inverosimili. Sono diventata molto amica di una donna che ho conosciuto durante le battaglie contro il green pass e contro l’obbligo vaccinale. Abbiamo cominciato a condividere molto altro di più, rispetto a quando ci incontravamo alle suddette manifestazioni, abbiamo scoperto di avere valori, principi e pensieri comuni. Una intesa perfetta. Un giorno, però, non so come, il discorso è capitato sull’aborto. Immediatamente si sono palesate le alte frontiere che ci dividevano. Ho scoperto di avere una amica femminista. Una femminista attivista degli anni 70, ma ancora tenacemente e fortemente convinta. Di solito, quando parlo di questo argomento, mi trovo tra coloro che la pensano come me e finiamo col darci sempre ragione. Non mi era mai successo di confrontarmi con una vera femminista. Parlare con la mia amica (rimasta naturalmente tale, anche dopo questa rivelazione) mi ha 1 dato l’impressione di fare, parafrasando Oriana Fallaci, una “intervista con la storia”. I suoi argomenti erano così vivaci, così sentiti, così appassionati da farmi percepire nettamente, come attuale, il clima sessantottino. Ma sopratutto ho potuto interloquire, su un argomento primario per ogni donna, con qualcuno che la pensa in modo deltutto opposto al mio. L’amica, che chiamerò Lucia, per convenzione, mi ha parlato, con immutato orgoglio, del collettivo femminista, da lei fondato nella sua città, di trasmissioni radio, da lei tenute, che trattavano della “condizione della donna”, di conferenze, di ascolto, di accoglienza delle donne che “venivano, chiedevano, raccontavano”. Poi, come il più sacro dei dogmi, Lucia ha parlato dell’aborto. “Quando ancora non c’era la legge che tutelava l’interruzione di gravidanza, c’erano i ginecologi “obbiettori” [sic !] che facevano le interruzioni a pagamento, ma noi, come collettivo, portavamo GRATIS le donne che avevano deciso di interrompere la gravidanza a ………. dalla famosa ostetrica ……. che, rischiando la professione le aiutava ad interrompere”. Ascoltavo Lucia, in uno stato di torpore trasecolato, straripante di repliche, di obiezioni e di domande, troppe per poterle esternare. L’eccesso di contraddittorio mi creava afasia. Ma Lucia era troppo esaltata dai suoi ricordi per accorgersi del mio imbarazzo e continuava “Già allora, nel 1974, ero per la libertà di scelta [si riferiva al collegamento con la attuale libertà di scelta sul vaccino], non ho mai giudicato le donne che lo facevano. Noi abbiamo lottato per togliere le donne dalle mani delle =mammane= e per avere una legge che ci permettesse di scegliere”. Incurante di avere definito con il 2 termine spregiativo di =mammana= colei che poco prima aveva decantato come una eroina che rischiava la professione, Lucia aggiungeva “ho conosciuto Dacia Maraini, Lucia Paoli, ho seguito il processo del Circeo, con l’avvocato Lagostena, ho cantato con gioia nei cortei, ho fatto con orgoglio il gesto della vagina con le mani, perché volevamo essere non la moglie di …, non la donna di …., ma persone !”. Più Lucia proseguiva e meno mi sentivo adeguata a rispondere. La distanza fra me e lei diventava abissale, tale da non poter essere colmata, perché quell’abisso erano le nostre stesse vite che, a quanto pare, avevano avuto percorsi profondamente diversi. Le contraddizioni della sua narrazione, così fedele alla ideologia del tempo, mi apparivano chiare ad ogni passaggio, come quello sul momento del parto. Dopo aver lottato per “ospedalizzare” l’aborto, per ovvi motivi di tutela sanitaria, Lucia mi ha raccontato delle loro lotte per la “RIPRESA DEL PARTO”, laddove per ripresa si intendeva sottrarre il parto alla ospedalizzazione, per riportarlo in casa, nella sua naturalità, perché fosse vissuto con gioia e consapevolezza. La mia reazione continuava ad essere la afasia. Che dire poi dell’argomento sessualità, da Lucia sbandierato anch’esso come un diritto delle donne, da vivere in modo partecipato e non subito. “I mass media continuavano a regalarci immagini femminili basati sulla seduzione, ammiccamenti, boccucce protese”, già, avevo dimenticato, la famosa donna oggetto… Tuttavia, l’ultima motivazione di Lucia mia ha finalmente illuminato “Abbiamo restituito alle donne la loro libertà di scelta, abbiamo sottratto il nostro corpo al piacere 3 irresponsabile dei maschi, che lasciavano le donne sole a gestirne le conseguenze”. Su questo, ho trovato una buona replica possibile a questo cumulo di astrusità. Libertà di scelta. Decidere del proprio corpo. Irresponsabilità dei maschi. A tutto questo assioma manca qualcosa. Donna=libertà di scelta; Maschio=irresponsabilità. Ecco, il tassello mancante è la responsabilità. Manca la responsabilità della donna. Se alla donna si riconosce il diritto di scelta, questa, affinché sia consapevole e davvero libera, deve essere responsabile. A mio parere la responsabilità poggia sulla conoscenza, sulla informazione adeguata e sullo studio. Devi conoscere attentamente l’oggetto della tua scelta. Dunque emerge come l’irresponsabilità attribuita ai maschi, fosse la medesima (se non più grave) di quella delle donne. Il femminismo avrebbe dovuto spingere le donne a conoscere, a capire ed a studiare i complessi meccanismi biologici della loro femminilità, della loro fertilità e della loro conseguente sessualità. La vera conquista delle donne avrebbe dovuto essere quella intellettuale del sapere, del conoscere. Solo così si può vivere consapevolmente la sessualità, senza incorrere in gravidanze, se non desiderate. La battaglia non avrebbe mai dovuto essere quella di far fuori il prodotto del concepimento, ma quella di non arrivare assolutamente mai ad un concepimento, se non scelto e voluto. Perorando il diritto all’aborto, in realtà, le donne hanno agevolato proprio quei maschi irresponsabili che loro hanno criticato, perché il danno di tale irresponsabilità lo subiscono loro con il trauma irrecuperabile di avere spezzato 4 una vita. Ricercare l’interruzione della gravidanza, conseguenza di un rapporto sbagliato, è già un fallimento in se’. E’ il fatto stesso di abortire, dopo che un uomo si è trastullato con il tuo corpo, che ti rende DONNA OGGETTO. Anzi direi di più, DONNA USA E GETTA. In questo caso è proprio la donna che si lascia “usare” e che poi “getta” il prodotto dello sfruttamento del suo corpo. E’ la gravidanza che non deve essere rischiata, se non siamo pronte. Solo noi donne abbiamo il compito ed il dovere di conoscere e di sapere qual’è il modo affinchè ciò non accada. La vera conquista del femminismo sarebbe stata la spinta alla piena conoscenza di quel corpo, oggetto della proclamata libertà e che voleva sottrarre alle velleità maschili. Restare incinta, senza volerlo, secondo me, era ed è un errore principalmente della donna. La natura ci ha dato l’immenso dono, quasi divino, di dare la vita. Verso questo dono dobbiamo avere il massimo rispetto e il senso pieno della nostra responsabilità e gratitudine. Firenze, 16 MARZO 2023 Stefania Celenza

1 commento su “STEFANIA CELENZA: “Conversazione sull’aborto”

  1. Condivido ogni parola di quanto hai scritto Stefania. È “responsabilità” la parola chiave.
    Senza tener conto del fatto che altrettanta tutela non viene garantita per chi decide di non abortire. Una disparità di trattamento ingiusta ed ingiustificabile.
    Ed inoltre mi piacerebbe chiedere alle persone come Lucia per quale ragione le mie tasse devono essere usate per rimediare alla sua irresponsabilità, rendendomi peraltro complice di infanticidio, poiché questo è l’aborto.
    Quel che è peggio è che la mentalità che hai così ben descritto viene inculcata fin dalla scuola.
    Ormai si parla solo di diritti e mai di doveri e responsabilità: diritto ad avere figli, diritto ad abortire, diritto ad una sessualità senza restrizioni…mai che si parli delle responsabilità che sono il rovescio della medaglia di tutti i diritti.
    E guai a parlarne!
    Credo sia arrivato il tempo di riportare le cose nella dimensione corretta, e pian piano c’è la faremo.

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