MARCELLO VENEZIANI: “La Lady di ferro dopo gli anni di piombo”

L’otto aprile di dieci anni fa Margaret Thatcher lasciava il Regno Unito per entrare nel Regno dei cieli. Era ormai fuori dalla politica da diverso tempo ed aveva ormai perso non solo la grinta ma la lucidità dei suoi anni ruggenti. Fu la leonessa degli anni ottanta, la donna con gli attributi, la lady di ferro che rilanciò – in coppia con Ronald Reagan – l’occidente liberale, liberista ma conservatore. Venivamo dall’ubriacatura socialista, laburista e dem degli anni settanta; il Welfare state, con la relativa spesa pubblica, era ormai al collasso, l’egemonia sindacale e ideologica della sinistra avevano contribuito ad affossare la produttività, la vitalità economica e la libera iniziativa. Insomma era nell’aria l’idea di riportare rigore nella finanza pubblica e severità negli assetti statali; ridare spazio al privato e liberarsi dal pachiderma malato, lo statalismo. Accadde così che nel 1979 la Thatcher e l’anno dopo Reagan, determinarono una svolta nei loro paesi che diventò anche per l’Europa il paradigma di quegli anni. E che contribuì a liquidare anche il comunismo sovietico nella competizione tra i due modelli economici, spaziali e militari. Non riusciremmo a capire da noi il decisionismo di Bettino Craxi al governo, pur socialista e riformista, in tema di “scala mobile”, apertura al mercato e revisione dello statalismo e del pan-sindacalismo nostrano, senza quel punto di svolta rappresentato da quei due presidenti liberal-conservatori.

La Thatcher sottopose il Regno Unito a una cura da cavallo, drastica, inflessibile, a tratti spietata. Ma riuscì, va detto, a risanare e rilanciare l’economia e rilanciare il sistema-Paese. Tony Blair potè governare felicemente dopo di lei, perché “Meg” aveva preparato il terreno e risanato i conti e le malattie contratte dal vecchio laburismo. Il modello keynesiano era ormai degenerato. La Thatcher riuscì a risvegliare anche un discreto attaccamento alle tradizioni del paese, nonostante le sue tensioni con la Regina Elisabetta, e una rinnovata fierezza nazionale e imperiale, che si manifestò non solo nella vicenda delle Falkland. E rilanciò in Europa la definizione di conservatori, che era caduta in discredito negli anni precedenti.

E tuttavia la Thatcher va ricordata anche per due sue definizioni che configgono fortemente col pensiero conservatore e con l’idea stessa di tradizione e di libertà che pure erano alle basi della sua linea. La prima, famosa, è che la società non esiste, esistono solo gli individui. Era una traduzione del pensiero liberale di Karl Popper e in generale della linea del pensiero liberale-liberista e individualista, da von Hayek a von Mises ed altri. Frase sciagurata ma fotografava lo spirito dell’epoca. Gli anni ottanta furono infatti il decennio della riscoperta dell’individualismo rampante, e della liberazione dal socialismo e dal collettivismo degli anni di piombo.

Ma la premier britannica gettava il bambino con l’acqua sporca: cancellava la società nel nome dell’individuo. Così tradiva il conservatorismo e il suo amor patrio. Era un cedimento all’individualismo globale, la svalutazione dei legami comunitari, da quelli famigliari a quelli nazionali, passando per quelli sociali, locali e territoriali.

Certo, il conservatorismo di derivazione britannica, anzi più vastamente atlantica, ma anche di formazione protestante, ha questa spiccata matrice individualista, a differenza del conservatorismo continentale e soprattutto latino-mediterraneo che è fondato sui legami sociali e tradizionali, sui corpi intermedi, sulla visione cattolica e sui principi comunitari. Ma l’individualismo corrode e alla fine inghiotte il conservatorismo, perché uccide quel prefisso “con” che indica il legame comunitario e sociale dei conservatori e l’idea stessa di tradizione. Conferisce all’individualismo la funzione centrale e trainante della società, e combinato con la riscoperta del privato e l’avvento del liberismo, accelera la globalizzazione, lo sradicamento universale e il primato del profitto su ogni altra considerazione di ordine sociale. Il conservatorismo finiva così per diventare la protesi nazionale del capitalismo, la variante “locale” di questo processo di uniformazione nazionale. L’altra metà della globalizzazione.

E che la Thatcher fosse consapevole nel sostenere questa One Way a livello globale, lo dimostra un famigerato acronimo che lanciò e diventò patrimonio comune del pensiero unico globale: T.i.n.a. ovvero there is no alternative, non c’è alternativa. Che nella mente della Thatcher magari aveva il significato di un decisionismo irrevocabile, e dunque di un imperativo categorico da seguire per non affogare. Ma assunse col tempo il significato di una linea perentoria da seguire che non consente alternative, non prevede differenze e divergenze e dunque in definitiva non ammette libertà e variazioni di percorsi, un diverso futuro e una legittima, sacrosanta opposizione alle egemonie dominanti. Si completava così il paradosso prima indicato: la tesi che la società non esiste ma esistono solo gli individui minava alle radici il conservatorismo; e la tesi che non ci sono alternative minava alle radici il liberalismo, perché uccideva la libertà nell’obbligo del senso unico.

Questo, a mio parere, è il vero naufragio della linea Thatcher: Margaret vinse la sfida dell’economia, seppure a caro prezzo, e vinse la sfida del rilancio del Regno Unito, dopo le mortificazioni subite dal declino dell’Impero. Però consegnò la politica, i principi e i valori all’egemonia mondiale del tecno-capitalismo e alla subordinazione di ogni altro orizzonte a quello indicato dai poteri sovranazionali di natura economica-finanziaria e tenocratico-militare. Una ragione in più per distinguere il pensiero conservatore italiano ed europeo dalla deriva angloamericana. Grande premier nel suo tempo e nel suo paese, ma da non esportare né riproporre.

La Verità – 2 aprile 2023

La Lady di ferro dopo gli anni di piombo

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