Abbiamo visto e ripetutamente commentato che siamo in mezzo alla
decostruzione controllata e pianificata della nostra civiltà e della nostra
società. A cominciare dalla famiglia. E’ in atto un piano di sovvertimento etico
ed ideologico (prima che politico ed economico) sul nostro stato sociale, sulla
famiglia, sui nostri giovani e soprattutto sull’essere umano.
Da qualche anno, ormai, possiamo disporre di una unica chiave di lettura,
mentre ci è concesso di interpretare i fatti in un solo ed in un unico modo.
Negli ultimi 3 anni di emergenza sanitaria Covid, è stata manipolata la nostra
percezione della realtà, semplicemente trasformando la paura in consenso,
l’inganno in persuasione. Abbiamo subito una vera trasformazione
antropologica, con l’aiuto degli strumenti di cui la sempre più invadente
tecnologia ci ha voluto fornire.
A cominciare dagli smartphone, un vero strumento di adescamento delle
masse. Inizialmente, ricordo che pensavamo che il suo uso fosse inadatto e
dannoso per i minori, ma non ci accorgevamo che era di gran lunga assai più
pericoloso per noi adulti. La necessità dell’utilizzo dello smartphone è
penetrato rapidamente nelle più piccole azioni della vita quotidiana, creando
abitudine e dipendenza. Non dimentichiamo che lo smartphone è stato il
cavallo di Troia del green pass, sta diventando uno strumento di pagamento
alternativo e, molto più a breve di quanto pensiamo, il principale mezzo di
riconoscimento della identità digitale.
Non solo i nostri figli sono ipnotizzati dal cellulare, lo siamo anche noi, non
solo i ragazzi, quando sono in pizzeria, si isolano con il loro telefonino, lo
facciamo anche noi adulti, quando siamo al ristorante, con i nostri amici.
È cambiata profondamente la percezione della socialità, che adesso si
materializza col guardare esclusivamente lo schermo dello smartphone, in
tutte le classi di età della popolazione, di qualsiasi livello sociale e culturale.
Ho fatto solo l’esempio del telefono cellulare, perché mi sembra quello più
macroscopico, ma potrei parlare dell’automobile, della Tv e di tanto altro. Lo
smartphone è stato introdotto surrettiziamente nella nostra vita, nei primi
anni 2000, con la solita attrattiva della comodità, della utilità, della libertà…
Adesso nessuno di noi, assolutamente nessuno, credo che ne possa fare a
meno. Una abitudine irrinunciabile. Ci siamo cascati in pieno. Tutti.
Ma possiamo essere noi adesso a sovvertire il sistema.
Inutile contare sulla politica, aspettare riforme o interventi istituzionali.
Il problema vero siamo noi, per l’attaccamento che abbiamo sviluppato con gli
oggetti che ci consentono appunto una vita comoda, ma anche e soprattutto
con le nostre abitudini. E’ venuto il momento di lavorare su noi stessi.
Ognuno di noi può farcela. Siamo noi che cambieremo il futuro.
Per fare le rivoluzioni, però, ci vuole coraggio. Per ribellarsi, per disobbedire
non si può avere paura, non si può tergiversare. Se tutto questo non ci piace,
se non accettiamo più la realtà che ci viene imposta, se vogliamo reagire,
dobbiamo avere il coraggio benefico di dire di no.
E dobbiamo farlo subito, con urgenza.
Per prima cosa dobbiamo abbandonare le comode abitudini, prima che
prendano definitivamente il sopravvento sulle nostre menti.
Cambiare è sempre un trauma. Persino il cambiamento di una situazione
negativa ci fa paura. Perché siamo istintivamente portati a ricercare certezze,
che ci assicurino il controllo, tendiamo in continuazione a costruirci rituali, ad
adattarci alle consuetudini, qualsiasi esse siano. L’abitudine, per il filosofo
rinascimentale Michel de Montaigne, è la nostra maestra di scuola che ci
insegna a muoverci, ma è anche una tiranna spietata, ci impedisce di
guardarla negli occhi, per scoprire il suo dominio verso di noi.
Essere consapevoli del ruolo egemone che la consuetudine esercita nella
nostra vita è già un primo traguardo.
Il contrario esatto della abitudine è la avventura (dal latino adventura «ciò
che accadrà»), ovvero il mistero, ciò che ancora non si conosce.
Accettare il rischio dell’avventura è il miglior antidoto alla consuetudine.
L’avventura è qualificabile come evasione dalla prigionia delle abitudini,
salvaguardando, per contro, il rapporto diretto col centro del nostro sé. Il
filosofo francese Vladimir Iankelevic affermava che l’esperienza avventurosa
porta alla luce quelle inclinazioni che teniamo nell’ombra: desideri, idee,
parte di noi stessi che abbiamo sacrificato, in nome di una consuetudine che
noi stessi abbiamo costruito. Riuscire ad entrare nella dimensione dinamica
del nuovo è un cambiamento profondo di noi stessi. L’illusione che nel tepore
domestico abbiamo la nostra salvezza, va abbattuta. Andare sempre un po’ al
di là dei propri limiti ci allena al miglioramento e ci rafforza. Occorre lo
slancio ad uscire, perché se usciamo fuori, possiamo reggere l’impatto di sfide
che adesso ci paiono insormontabili.
Credo che questo sia anche un atto politico. Una nota citazione di Albert
Einstein afferma che la stupidità consiste nel continuare a fare sempre le
stesse cose, aspettandosi un risultato diverso. Ebbene, a noi non piace il
dettato del pensiero unico, non abbiamo accettato l’imposizione vaccinale,
non vogliamo che la moneta elettronica sostituisca il denaro contante,
disdegniamo l’insegnamento gender nelle scuole, aborriamo la pratica
dell’utero in affitto, respingiamo l’identità digitale?
Se vogliamo un risultato diverso dobbiamo noi per primi cessare di fare
sempre le stesse cose, a fronte di tutto ciò. Dobbiamo uscire dalla zona di
comfort dei nostri smartphone, della conformazione a tutti gli status symbol
ed accettare in pieno il rischio del cambiamento.
Il cambiamento che vogliamo. L’avventura affascinante della vita vera che
dobbiamo insegnare ai nostri figli.
Firenze, 20.04.2023
Stefania Celenza
Concordo in pieno e, parimenti, denuncio un rischio grosso che, probabilmente, dobbiamo accettare di correre. Fino a che punto siamo disposti a perseguire i nostri proposti di rivoluzione? Cosa siamo in grado di sacrificare davvero? Il sistema è talmente penetrato nelle abitudini, nelle menti, negli atteggiamenti che, diciamocelo, anche chi segue il sistema crede di non farlo e si sente “antisistema”. Mi spiego: siamo disposti a rinunciare anche a rapporti umani, a mettere in crisi amicizie decennali, a diventare a tal punto non accondiscendenti da uscire dalle grazie di molti, troppi cari ed ex cari? Sono considerazioni che sto prima di tutto facendo dentro di me. Io mi sono rotto fortemente di essere accondiscendente e di fingere pur di non apparire troppo pazzo. Il prezzo da pagare, però, è davvero alto. Corriamolo questo rischio, e vada come vada.
È esattamente quello che cerco di fare negli ultimi mesi! Grazie Stefania il tuo incoraggiamento è salutare per la mente e per il corpo, dedicarsi ad altre attività sarà sicuramente qualitativamente migliore! Buon inizio settimana
Cara Stefania, hai fatto un’analisi perfetta della nostra società, comodamente adagiata nelle comodità apparenti, che si trasformano gradualmente in catene, che ci hanno e che in futuro ci incateneranno. Sta a noi, facendoci un profondo esame, disobbedire a queste lusinghe. Personalmente già da un po’ “dimentico” lo smartphone a casa, se esco, o in qualche angolo di casa. Non ho carta di credito, forse per pigrizia, ma uso solo contante, mi sento più libera. Ho rinunciato, perché mi catturava , a telegram e altri social, e sto davvero meglio. Spero che questo mio rifiuto si allarghi a quante più persone possibili. Grazie per il tuo articolo!!!!
Concordo su ogni parola che hai scritto, Stefania.
L’avventura da sapore alla vita, le da colore, profumo, vivacità.
Tutti coloro che si sono conformati ai diktat credono di essere felici ma a me paiono tanti Esaù: si sono venduti per un piatto di lenticchie a prezzo della loro libertà.
Certo, uscire dalla zona di comfort costa sacrificio ma il risultato non ha prezzo.