MARCELLO VENEZIANI: “Ma una volta D’Alema ci piaceva… “

Eppure a me piaceva Massimo D’Alema. E mi piaceva nei suoi vizi peggiori, almeno quelli fino allora conosciuti: il suo sprezzante sarcasmo, la sua sicumera da primo della classe, il suo cattivismo come stile, ideologia e indole, perfino il suo endemico comunismo, contratto sin da bambino quando faceva le vacanze da “lupetto” in Unione sovietica. 

E ancor più mi piaceva perché era detestato da molti a sinistra, radical, liberal, anarco-libertari, umanitari, transumani. Ma se ci pensate, a sinistra hanno detestato pure Bettino Craxi e poi Matteo Renzi. Appena sentono che tra loro c’è qualcuno un po’ decisionista e realista, con attitudine al comando e voglia di primeggiare, refrattario alla pappa del cuore, alle bave umanitarie e buoniste, lo considerano subito loro nemico e cominciano a fargli la guerra. Lo consideravano cinico, d’Alema e non avevano torto. Ma era nella migliore tradizione comunista, di Lenin, di Stalin e di Togliatti, cioè nella peggiore ma più autentica. Era duttile D’Alema, e pragmatico. Fece la bicamerale con Berlusconi, Il suo fu il primo governo che mandò in guerra l’Italia per giunta in un paese ex-comunista (il suo vice e ministro della difesa era in quel tempo Mattarella, ma parliamo del millennio scorso). E fu coraggioso a deprecare, come Craxi, la macelleria di Piazzale Loreto.

Massimo D’Alema è stato il comunismo dopo il comunismo, senza nemmeno quel filo di simpatica ironia emiliana di un Pierluigi Bersani o di affabile cortesia rivoluzionaria di Fausto Bertinotti. No, a lui piaceva essere antipatico, non piacione ma dispiacione, amava essere temuto, temeva di essere amato.

D’Alema era per me una categoria della politica. Quando volevi indicare uno tutto politico, mai rilassato, semprevigile, con una sfera privata nascosta, cinico e un po’ crudele. Mi pareva uomo di carattere, spezzaferro, in base al pregiudizio che chi ha carattere deve avere per forza un brutto carattere. Anche Craxi e Renzi furono considerati così; e d’Alema era così cattivo da incattivirsi pure con Craxi e da essere odiato dal suo erede cattivista Matteo. Renzi parlava di rottamazione e tu subito pensavi a D’Alema, il prototipo Massimo da mandare allo sfasciacarrozze. Chi vuole rinnovare la politica, a sinistra, deve uccidere D’Alema, è una sorta di rito d’iniziazione della pubertà; infatti fu additato al pubblico disprezzo da Nanni Moretti con la sua celebre esortazione a D’Alema di dire qualcosa di sinistra. Ma d’Alema non era  semplicemente, stupidamente, banalmente di sinistra. Era comunista, seppur pragmatico, cinico, come fu Togliatti. Quando vedevo un pelato nel Pci sapevo che era un uomo di D’Alema, con i suoi quattro calvi in padella – Minniti, Velardi, LaTorre e Rondolino  (forse li sceglieva così perché non lasciavano peli in casa e gli parevano i suoi birilli). L’infatuazione per D’Alema era giunta al punto che quando confessavo la mia ammirazione per Anna Finocchiaro, che mi sembrava la donna di sinistra più autorevole, aggiungevo sempre a suo merito che mi pareva la versione femminile di D’Alema. E se dovevo proprio indicare, sotto tortura, un presidente della repubblica di sinistra, pensavo a lei se doveva essere una donna o a d’Alema se doveva essere un maschio. Tifai per lui quando il suo nome cominciò anni fa a circolare per il Quirinale, e lo scrissi pure, dicendo che mi sembrava la migliore ipotesi nel peggiore dei casi. Lui si stava attrezzando per l’evenienza Quirinale; ebbe una metamorfosi psicofisica per rendersi adatto al Colle, cominciò a farsi crescere i capelli bianchi per mostrare saggezza, moderazione e far dimenticare il giovane compagno tosto; addolcì lo sguardo e il baffino, cominciò a essere più gentile e a simulare qualche umanità, andò a lezioni private di buone maniere da sua eminenza Gianni Letta, suo fidanzato col famoso patto della crostata, che gli avrebbe garantito al conclave il sostegno del porporato di centro-destra. Il neo-canuto D’Alema faceva corsi accelerati d’invecchiamento per apparire più consono alla geriatria quirinalizia. Sarebbe andato anche al chirurgo estetico per farsi il lifting e aggiungersi le rughe presidenziali; magari quelle tolte a Berlusconi, sarebbe stato il primo inciucio a pelle della storia…

Ho ricordi confusi e remoti di quel tempo, ma lui era già proiettato sul Massimo Scranno, anzi si sentiva già Massimo d’Azeglio d’Alema, lo statista risorgimentale che passò alla storia per una frase mai detta (“fatta l’Italia ora facciamo gli italiani”) o ritirata post mortem, visti i risultati. Per dimostrare quanto era distante il tempo del suo peccato di gioventù, D’Alema ostentò la barca, le scarpe di lusso, e da ultimo la sua tenuta pugliese con produzione di vini, come un Vespa o un Albano. 

Ma alla fine prevalse la linea dell’antipatia e non da parte degli avversari; non potendo puntare su d’Alema si pensò alla sua versione light ed euro, Amato, il Giulianin fuggiasco dal craxismo, ma fu segato pure lui dalla sinistra. D’Alema fu tradito dai suoi, e se proprio dovevano puntare su un comunista, meglio uno considerato di destra nel Pci, come Giorgio Napolitano, che suscitava diffidenza in Togliatti perché somigliava troppo al principe Umberto, il re di maggio. A sinistra gli preferivano Prodi, Veltroni, l’Ulivo e la Margherita, e da ultimo gli lgbtq+; infatti ora hanno come leader un asterisco, un’aliena che già nel cognome ricorda la schwa. 

Insomma quando vedo chi è e cos’è la sinistra oggi, sento ancora risalire il rimpianto per quella sinistra del d’Alema Pride. Poi leggi le cronache, ripensi agli affari e agli appalti, leggi le inchieste dell’inesorabile Giacomo Amadori e dell’inesorabile Verità, senti il rumore di armi e tangenti, e senza esprimere giudizi a priori, ti prende lo sconforto. Neanche dei nemici ti puoi più fidare… 

La Verità – 9 giugno 2023 

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