MARCELLO VENEZIANI: “La Russia trema, ma l’America non sta mica bene”

L’Occidente ha seguito col fiato sospeso le vicende e le notizie contraddittorie che si susseguivano dalla Russia. Era netta e diffusa la percezione di non capire gli eventi e di seguirli attraverso i doppi filtri fuorvianti della propaganda russa e occidentale. Ma eravamo e siamo preoccupati per ciò che sarebbe venuto fuori: preoccupati della reazione di Putin, preoccupati di un eventuale, oscuro e turbolento dopo-Putin, con il grottesco risvolto che molti feroci anti-putiniani di casa nostra, intimoriti dal caos e da un possibile golpe, alla fine pregavano perché Putin restasse in sella. Preoccupazioni minori ma non diverse hanno accompagnato la conferma di Erdogan alla guida della Turchia. E inquietudini per la Cina da ormai troppi anni nelle mani di Xi-Jin-Ping, accendono le apprensioni occidentali.
Comprensibili timori, ma non desta preoccupazione pensare che l’establishment Usa e Occidentale punti oggi sulla conferma del vecchio e malandato Joe Biden alla Casa Bianca? Non vi preoccupa riaverlo più vecchio di quattro anni ancora alla guida degli Usa, considerando i suoi errori, le sue sbandate, le sue gaffe, le sue improvvide strategie d’attacco? Vi pare normale, rassicurante, che la prima potenza mondiale si affidi ancora a uno come lui, in età così avanzata e così malmesso, e a lui affidi i mitici scettri del potere, a partire dalla favolosa valigetta nucleare? E’ normale che una grande democrazia non trovi di meglio che riavere ancora lui?
E non solo. Il popolo americano sembra più favorevole a un ritorno di Donald Trump, che pur avendo fama di spaccone, è stato più prudente di Biden in politica estera, non si è avventurato in guerre e bombardamenti, ha tenuto a bada pericolosi dittatori, ha migliorato la situazione interna, economica e sociale. Ma questa ipotesi viene avversata dall’establishment con una campagna giudiziaria e mediatica feroce, che punta a criminalizzare e delegittimare l’ex-presidente anche agli occhi dell’elettorato repubblicano.
Non è una polveriera, in questa situazione, l’America, tra un candidato dell’establishment così malconcio e poco amato e un competitor così pesantemente accusato e boicottato? Che rassicurazione può dare al mondo, ai suoi alleati, alla stessa Nato, questa situazione così instabile e pericolante?
Tradotto in termini di sistemi politici, la democrazia americana è davvero più affidabile, più stabile, più sicura delle autocrazie asiatiche? A Occidente è di moda lo schema del dittatore pazzo che per pura cattiveria mette a repentaglio il destino del mondo; ma per fortuna ci siamo noi, ci sono gli Stati Uniti, con la loro democrazia e libertà, e il loro ripudio della guerra e della violenza. Poi esci dalla favoletta occidentale e vedi la democrazia in America in balia di tempeste e tutt’altro che un paese pacifico che ripudia la guerra e la violenza; è al traino della macchina bellica, dell’industria e dell’apparato militare. E vorrebbe mantenere il ruolo di Arbitro supremo del Pianeta.
Ma non solo. Chi vuole rassicurare il mondo dicendo che i Presidenti della Repubblica in America sono importanti fino a un certo punto, al di là di loro c’è il deep State, impermeabile alle leadership, democratiche o repubblicane, agli avvicendamenti e ai cambiamenti, confida su poteri tutt’altro che democratici e trasparenti. Anzi, questa fiducia negli Arcana Imperii oltre la facciata della democrazia americana, al di là della retorica e delle apparenze, conferma che il potere è saldamente nelle mani di un’oligarchia tecno-buro-militare che non passa dal vaglio elettorale, in buona parte è invisibile, come succede nei regimi non democratici. E’ una casta, come quella che guida i deprecati regimi autocratici. Del resto, vedere che metà degli elettori nelle democrazie occidentali – dalla più grande democrazia occidentale, gli Usa, alla più antica, la Grecia – non vanno a votare, è già un sintomo della disfatta della democrazia. E la follia di ritenere questa defezione di metà popolazione come un segno di buona salute e solidità della democrazia, che non corre alcun pericolo e perciò può permettersi il lusso di non andare a votare, è una prova ulteriore di quanta manipolazione e falsificazione vi sia nel mondo “libero” d’Occidente.
Provate a mettere insieme i pezzi del puzzle: il paese che ha fatto più guerre, sganciato più bombe e mietuto più vittime fuori dai suoi confini viene considerato l’alfiere della pace; il paese dove meno gente va a votare, dove il popolo sovrano è una mezza bufala, viene considerato l’esempio e il modello globale di democrazia; il paese dove puoi pure avere un presidente inadeguato o incapace, tanto conta e decide il Deep State, cioè l’Apparato oligarchico-militare, viene considerato l’antitesi ai regimi oligarchici e autocratici, coi loro politburo. Non vi sorge qualche dubbio che il racconto sia veritiero?
Poi, certo, l’America è anche un paese ricco di risorse, intraprendente e dinamico, con una sua provincia sana e uno spiccato senso morale, nazionale e religioso. E resta il grande contributo storico degli Stati Uniti alla sconfitta dei regimi totalitari del ‘900. Più prudente sarei invece sull’idea che sia possibile esportare la democrazia e sganciare dall’alto, come le bombe e i viveri, la libertà ai popoli. Comunque, la contesa che si profila tra Biden malridotto e barcollante, in tutti i sensi, e Trump, malvisto e criminalizzato dall’establishment, non è per niente rassicurante per l’America, i suoi alleati e il mondo intero. L’America trema e noi pensiamo che il sisma venga dall’Est.

(Panorama, n.29)

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