Ignazio Larussa non può presiedere il Senato perché ha difeso suo figlio e quindi avrebbe implicitamente difeso lo stupro e ritenuto inattendibile la ragazza. Filippo Facci non può condurre un programma in tv perché ha scritto una frase sgradevole sul medesimo caso e ha pure una causa per stalking della sua ex compagna da cui ha avuto due figli. Beatrice Venezi non può dirigere l’orchestra perché è consigliere musicale del governo Meloni, crede in Dio, patria e famiglia e ha un padre di Forza Nuova. Il ministro dello sport, Andrea Abodi non può fare il ministro perché ha criticato gli atleti che ostentano i propri orientamenti sessuali. Eugenia Roccella non può… Daniela Santanché non può… Vittorio Sgarbi non può… Andrea del Mastro non può… e via vietando.
La critica è rispettabile in ogni caso e perfino doverosa per chi sta all’opposizione o per chi fa opinione. Ma l’aspetto aberrante è quel “non può”, che vale sempre in un solo versante, e si ripete di continuo con la stampa che va appresso a squalificare il campo e l’infame del giorno.
Non siamo alla scontro dialettico tra maggioranza e opposizione, al diritto sacrosanto di dissenso; siamo all’uso continuato del bollino rosso, anzi del cartellino rosso per espellere ogni giorno un esponente del governo, delle istituzioni, del servizio pubblico, perfino del teatro. L’uso del cartellino rosso in politica, nella cultura, nell’informazione è già di per sé aberrante, ma lo diventa al quadrato se si considera che a tirare fuori il cartellino rosso per decretare l’espulsione non è un arbitro, vero o sedicente; ma è la squadra avversa. Immaginate una partita di calcio giocata in questo modo? Impraticabile, impossibile a disputarsi. E se lo dici ti accusano di vittimismo…
Questa richiesta continua danneggia il paese, avvelena il clima, ostacola chi governa e alla fine non avvantaggia nemmeno l’opposizione, che da questo atteggiamento censorio esce sempre più astiosa e minoritaria, antipatica e arrogante, invisa alla gente per questo continuo pretendere – magari con l’aiuto dei soliti magistrati compiacenti – l’espulsione di chi esprime posizioni antagoniste alle proprie.
Gli avversari della sinistra sono tutti indegni, inqualificabili, e perciò da squalificare. Non devono giocare la partita democratica, devono essere preventivamente espulsi o durante il gioco. Capite che in questo modo non è possibile la democrazia, viene pregiudicata in partenza; se chiunque sia dalla parte opposta alla sinistra è comunque da interdire, da Berlusconi a Meloni, da Cossiga ad Almirante, da Salvini ai pro vita, ai ministri in carica coi governi di centro-destra, a coloro che pur non militando preferiscono quel versante, siamo all’instaurazione di una legge etnica: chi sta a destra è delinquente, protegge i delinquenti, ragiona da delinquente. E per questa accertata tara etnica “non può”: andare in tv, sul podio, al governo, nelle istituzioni.
L’effetto di questa proibizione è opposto ai propositi di chi la enuncia: anche chi ha riserve sui singoli comportamenti o in generale sui personaggi e perfino sulle aree politiche sottoposte a censura, alla fine è costretto a parteggiare per loro, e a sostenerli persino, pur se non ne aveva nessuna voglia e non nutriva nessuna simpatia o predilezione per loro. Credo che il consenso alla Meloni regga più sul rifiuto del “cartellino rosso” che sul sostegno al governo; muove più la rabbia per l’intimazione continua a squalificare e cacciare che la simpatia nei confronti di quella figura o quel partito. Per essere anzi più precisi, giova alla destra il “combinato disposto” dei cartellini rossi e l’abuso di cancel culture nella storia, nella musica, nel cinema e nel teatro; la glorificazione di chi non ha qualità o meriti ma esprime “la cultura” gender, gay e migranti.
Il paradosso del bollino rosso è la coazione a ripetere ormai da troppi anni: è dai tempi di Berlusconi e della prima destra al governo, per non risalire ancora più indietro, che si agita il cartellino rosso per espellere gli avversari, per via giudiziaria, mediatica, o istituzionale. E il risultato è sempre lo stesso, negativo per la sinistra e nocivo per l’Italia e il suo clima. Il consiglio di smetterla è sempre disatteso, da decenni, e non proviene solo da chi è “di destra” ma anche da chi si reputa di sinistra: vi ricordate ad esempio il saggio di Luca Ricolfi sulla sinistra antipatica? Pensate che qualcuno abbia appreso la lezione, l’abbia messa a frutto, e nel proprio interesse, mica nell’interesse della “destra”? Macché. Incurabile suprematismo.
Quando poi il massacro si rivolge a donne “di destra”, nessuna solidarietà femminile, nessuna accusa di sessismo e di antifemminismo insorge da parte di coloro che di solito scattano al primo, flebile sussulto verso le donne, a patto che siano dalla parte giusta.
Infine una notazione: abbassarsi a osservare queste banalità, e doverle ripetere negli anni, mortifica anche chi è costretto a scriverle, e vorrebbe farne a meno. Ma questo vi dice come scende il livello culturale e civile dello scontro politico e “ideologico”, una volta che si usano divieti, cartellini, forbici e bollini. Fa pena scriverle queste cose, fa pena leggerle, fa pena ripeterle, rinunciando all’originalità perché sopraffatti dalla miseria seriale dell’ottusità più faziosa. Vorremmo parlare di cose più intelligenti ma l’idiozia alza la voce e l’indice…
(Panorama, n.31)
Che aggiungere alla desolante osservazione dell’ottimo Marcello Veneziani? Che questa modalità di reazioni spropositate a sinistra è assurde, sembrano servire solo a dirsi fra loro:ecco ci siamo anche noi, che difendiamo i totem degli antenati! Ma a me sembrano solo i protagonisti del noto proverbio Veneto : EL LEAMARO CHE SE MERAVEGIA DEA CORTE.
(Il letamaio che si sorprende del cortile).
In tutta Italia : IL BUE CHE DICE CORNUTO ALL’ASILO.
Amen. Chi si accontenta, gode.
pardon : ASINO.