DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “L’invetriata di Dino Campana: la poesia come atto di magia tra inquietudine e inganno”

Le personalità umane che meno facilmente accettano di farsi assorbire all’interno del tessuto sociale, si scontrano con la realtà. Le prospettive esistenziali di chi non si allinea con le direttive degli orientamenti generali, si riducono alla scelta di evadere dal mondo o a quella di lottare al fine di cambiarlo. Non necessariamente l’evasione si configura come una rinuncia ad agire. Tantomeno l’approccio concreto con la realtà consente sempre di muoversi rispettando margini d’azione sufficientemente ampi da permettere di realizzare trasformazioni effettive.

La figura letteraria di Dino Campana è quella di un uomo incapace di collocarsi all’interno di un mondo di cui non può condividere le convenzioni obbliganti della normalità. Egli si pone in maniera esemplare nella nostra storia letteraria come personalità umana e artistica che dimostra che la poesia non si addice alla vita normale.

Nella sua attività produttiva Campana interpreta le tendenze primonovecentesche a una svalutazione degli equilibri tradizionali della scrittura poetica, attraverso un’alterazione comunicativa che, nei suoi testi, abbraccia sia il livello formale che quello contenutistico. Il poeta esercita un potere creativo che modifica espressionisticamente il reale, rispetto al quale l’ispirazione poetica agisce lungo un doppio canale di sviluppo, estrinsecandosi in più fasi.

La spiccata sensibilità visiva e sensoriale con cui il poeta si pone nei riguardi del mondo, gli permette di cogliere, del contesto a lui circostante, impressioni e atmosfere. L’atto di ripercussione intima che queste impressioni hanno nell’animo del poeta, agisce come cassa di amplificazione straniante di oggetti, sensazioni e immagini. L’azione soggettiva, attraverso cui si realizza l’atto creativo, trasfigura la materia originaria di quelle impressioni, proiettandole poi, nuovamente, sull’ambiente circostante che ne risulta, così, alterato e dotato di una nuova e diversa conformazione.

La poesia viene concepita come fatto magico e misterioso, frutto visionario e creativo dell’animo dell’autore. Campana pare guardare al mondo attraverso un’ottica che trasforma l’impianto naturalistico della realtà, restituendone un’immagine fantasiosa e onirica, in cui le cose, tra loro, vengono messe in relazione secondo rapporti di analogia e di corrispondenza arditi e imprevedibili.

Tema lirico dell’Invetriata, componimento incluso nella raccolta Canti orfici, è quello che ha come momento occasionale la contemplazione della luce di un tardo pomeriggio estivo che penetra dalla finestra della stanza dove si trova il poeta. Tale luce mesce chiarori nell’ombra e, pur non essendo, quindi, intensa né accecante, incide il cuore del poeta lasciandogli il segno di una bruciante ferita.

Il suggello ardente lasciato nell’intimo dell’animo dell’io lirico dall’ultima luce del sole, pare avere una corrispondenza con la lampada che il poeta vede accendersi su un terrazzo sopra il fiume, mentre nella sua stanza il buio si accompagna a un odor di putredine, che fa corrispondere la Notte, ormai arrivata, con l’idea della Morte. Sempre nella stanza, poi, la ferita che il poeta ha nel cuore si ripercuote, ampliandosi, in una piaga rossa languente.

Il gioco di richiami tra la ferita nel cuore del poeta, la lampada accesa sul terrazzo e la piaga rossa nella stanza, permette di identificare in questa immagine coloristica l’elemento sensoriale più importante del componimento e richiama il senso di precarietà e di disagio esistenziale in cui pare risolversi l’esistenza.

Nel buio della sera, lo sguardo del poeta si rivolge, poi, al cielo fatto di stelle che pare di madreperla e di velluto: l’immagine che se ne ricava è illusoria e ingannevole, il senso di leggerezza che pare avere non corrisponde alla realtà, in quanto […] c’è/ nel cuore della sera c’è/ sempre una piaga rossa languente. L’inquietudine che alberga nell’animo non si placa, ma trova un’ultima palpitante corrispondenza allargandosi alla visione generale del “cuore” della sera, in cui il rosso acceso della ferita langue e, ripercuotendosi a livello universale, deforma tutto.

A caratterizzare in maniera singolare la personalità di Dino Campana intervengono fatti biografici che ne influenzano fortemente il modo di fare poesia. Sin da ragazzo egli comincia a manifestare turbe psichiche che lo inducono ad allontanarsi periodicamente dall’Italia spinto, quasi compulsivamente, a percorrere viaggi e a trascorrere periodi della sua vita lontano, da vagabondo. A queste partenze fanno seguito, al suo ritorno in Italia, archi di tempo trascorsi in manicomio, internato a causa del disturbo di schizofrenia, da cui, secondo alcuni esami clinici, Campana risulta affetto.

La vita di Campana è segnata, inoltre, dallo smarrimento del suo primo manoscritto di poesie affidato ad Ardengo Soffici e a Giovanni Papini, direttori della rivista “Lacerba”, e che originariamente aveva come titolo Il più lungo giorno. I due importanti intellettuali mostrano noncuranza e trattano con superficialità il giovane poeta il quale, per ovviare allo smarrimento del prezioso materiale, è costretto a riscrivere tutti i testi della raccolta, ricordandoli a memoria.

Non ultima, infine, la terribile delusione d’amore che Campana prova a seguito della chiusura della turbolenta relazione sentimentale con Sibilla Aleramo, anch’ella scrittrice. C’è un ricco scambio epistolare tra i due che testimonia la spiccata sensibilità di un uomo, Dino Campana, che sente in maniera fortemente compartecipata lo smarrimento esistenziale degli anni che precedono la guerra.

Strettamente interconnesso è il ruolo delle vicende personali del poeta con il clima di decostruzione e di crisi culturale dell’inizio del Novecento. La rabbia e l’angoscia per i propri fallimenti in vita, per via più di chiusure e di impedimenti impostigli dall’esterno che per sue mancanze personali, configurano una realtà svilente. Campana vive l’esperienza esemplare di un grande artista al quale, in vita, non vengono riconosciuti i dovuti meriti, quasi assorbito all’interno di un sistema svalutante che gli impedisce di ritagliarsi un ruolo a lui conforme.

È condivisa da diversi scrittori del XX secolo questa condizione. Dino Campana punta a ridare senso a tutto attraverso la poesia, unica via di salvezza capace di riscoprire il noumeno della vita e di riaprire, attraverso l’atto creativo, lo spiraglio di senso che l’oscurità dell’esistenza, ingannando, nega.

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