La notte non è meno meravigliosa del giorno, non è meno divina; di notte risplendono luminose le stelle, e si hanno rivelazioni che il giorno ignora.
(Nikolaj Berdjaev)
Somiglia al mio vagare
Nell’universo di stelle
Questo deserto di porfido
Di tutti che riempivano la via
Non sono rimaste che le orme
Nessuno ascolta la città
A quest’ora della notte
Le luci parlano da sole
Il linguaggio muto della sera
E si scambiano frammenti di brillanza
Uno spettro di fantasmi pare attendere in agguato dietro le colonne
Del passeggio
Trascorre inerte l’ora vuota
Del letargo metropolitano
Mille sogni si rincorrono
Si intrecciano
E giocano sul selciato
Infantili chimere
Incubi colorati di infinito
Si consumano pigri
Fino alla prima uscita
Discreta
Improvvisa
Quasi furtiva
Un rumore consueto
Puntuale
Si insinua nel silenzio della favola del mattino
È il brusco risveglio a troncare la narrazione
Pare siano passati mesi da allora
O forse volati solo pochi minuti
Il tempo di un sortilegio
Lieve e sfumato
Di una nuova alba
Il magico sospiro di una carezza
Qualche parola dolce
Dell’ebbrezza di ieri
Un affettuoso sussurro
Come la voce di un angelo
Prima di riprendere la irrefrenabile
Meravigliosa
Irripetibile corsa
Del nostro vivere odierno
Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?
(William Shakespeare)
*
Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso, che a guardarlo veniva da chiedersi: è mai possibile che vi sia sotto questo cielo gente collerica e capricciosa?
(Fëdor Dostoevskij, Notti bianche)
Foto di copertina: “Deserto di porfido ” dal web”
Giorgio, già il titolo mia ha acceso la luce e i versi poi un crescendo, hai ispirato in modo bellissimo anche Gianni.
Grazie Ivano
Meravigliosa ode di Giorgio, a cui aggiungo alcune parole in libertà :
Deserti di parole inconsistenti
brillanti di microcristalli riverberanti il chiarore di una luna apatica
lampade annebbiate
sullo sfondo grigio scuro di strade chiuse al sogno.
Gatti bianchi
spettri nella notte
strisciano marciapiedi
entrano tra le sbarre dei cancelli
e la notte ulula a cercare vittime
insonni amori all’angolo
tacchi alti e sguardi procaci
bocche rosse ferite dalla vita
senza domani né ieri
né mai
senza sonno
scontato di giorno
di sole mai visto
dietro chiuse persiane.
Urlano gli spettri di Ibsen
gli occhi dell’ebreo errante
lanciato sulla polvere del deserto metropolitano
e la storia non ha più senso se non l’incubo di non esserci
di non possedere
il suo linguaggio
di essere microscopico punto
nella distesa amaranto
dell’universo dei sensi
nel cuore dei suoi
piccoli furori
umidi sentimenti
che ammaliano
i semplici ed il domani
non ha più il senso della speranza ma la certezza di una eterna perdita.
Lei manca e riempie il silenzio e la vengo a cercare negli angoli
dove solo una lama di luce getta l’ombra
lontano
dalla coscienza del mondo.
Ticchetta l’orologio
la goccia del tempo
ed unisce lo scatto
al dondolio del pendolo
a segnare la profondità del pozzo.
Eppure aspetto
ogni giorno
di essere solo.
Di trovare un senso
al vivere nascosto
e ci riesco benissimo
quando termina
la follia del giorno
ed il dolore s’impossessa della notte e dimentica
dove vivi
ed io in sogno ti porto rose
macchiate di sangue
e non ricordo il tuo nome
non vedo più il tuo sorriso.
Dimentico nella nebbia
la parola dell’addio
ti lascio andare
sulle onde del grano
piegato nel campo
nel rumore usuale
che mi vive accanto.
E non appartengo più
nemmeno a me stesso.
Rosa aulentissima…
virgo Fidelis….
pulvis et umbra…
alfa et omega…
sorella morte corporale
c’incontreremo ancora
di nuovo
nella scacchiera della vita
ed avrai l’ultima mossa
ed avrai ancora
i suoi occhi…