MARCELLO VENEZIANI: “All’armi siam femministe, anzi fondamentaliste”

Dopo il femminismo venne il fondamentalismo. La deriva peggiore che va prendendo il movimento femminista, con i suoi impresari e interpreti politici, è il passaggio dalla denuncia di violenze, abusi e assassini ai danni delle donne alla generalizzazione delle colpe all’intero genere maschile e a tutti coloro che non condividono la loro ideologia. A uccidere una, cento donne, non è uno o cento criminali ma è un mondo intero, una cultura e una storia intera; assassina o mandante sarebbe la società, la civiltà tradizionale, la famiglia detta patriarcale; e dunque il maschio, anzi ogni persona che non rigetta la sua identità di genere e di storia.

C’era un cartello nelle manifestazioni di protesta contro l’uccisione di Giulia che riassume perfettamente questo delirio pericoloso: “il violento non è un malato/ è il figlio sano del patriarcato”.  Considerando che la nostra società proviene dal patriarcato, la conseguenza è che da condannare non sono le singole persone che commettono violenze o assassini, ma tutti coloro che hanno una diversa idea della famiglia, dei rapporti umani, delle relazioni di coppia rispetto all’ideologia fondamentalista. Secondo questa chiave di lettura militante, che ricorda i vecchi canoni sessantottini, la colpa non è dei singoli, ma la società intera è malata. Si salvano coloro che rifiutano di essere “figli sani del patriarcato”, e dunque diventano “insani”, “deviati”, rispetto al mondo da cui provengono. Siamo al rovesciamento della realtà: i sani sono i veri malati, i malati sono i veri sani. E il compito prioritario non è quello di individuare e colpire i casi di violenza, ma di sradicare, distruggere le basi sociali e culturali della famiglia e della società come l’abbiamo conosciuta nei secoli. Perché quella sarebbe la matrice di quegli atti criminali.  

Come definire questa lettura ideologica, colpevolista, radicale? Come il fondamentalismo dei nostri tempi. Un fondamentalismo capovolto, applicato cioè non a difendere ma ad abbattere le basi fondamentali della società, ritenute malate e liquidate come patriarcato. Si dovrebbe forse definire sfondamentalismo o affondamentalismo perché in realtà sfascia e affonda le basi della società.

Tipico del fondamentalismo è il fanatismo, la volontà isterica di “distruggere tutto”; il grido permanente, il rumore, lo sfascismo. 

Il delirio rituale è in uno slogan, contraddetto dalla realtà seduta stante: non una di più, urlano, questo femminicidio sarà l’ultimo, mai più. E mentre lo gridano, altri femminicidi, altre violenze alle donne vengono alla ribalta della cronaca. Un grido falso che nega la realtà anziché affrontarla, che pretende di cambiare il corso delle cose semplicemente inveendo; un urlo contro il mondo, il genere maschile, la società intera, non rendendosi conto che il miglior modo di essere inefficaci è addossare le colpe dei crimini a intere collettività, alla storia, al genere umano. Ricorda Ulisse che per non farsi identificare da Polifemo disse di chiamarsi Nessuno; così il ciclope lo additò alla furia degli altri ciclopi dicendo che il colpevole del suo accecamento era stato Nessuno. Allo stesso modo i fondamentalisti, rispondendo che il nome dell’assassino è Tutti, non riescono a colpire i veri colpevoli. Quella era astuzia, questa è demenza.

In realtà non si possono attribuire i mali del presente ai fantasmi del passato; non si può pensare che ci sia un mandante collettivo dietro crimini che segnano proprio la rottura col mondo, la disconnessione da ogni tessuto sociale e famigliare, l’avvento di un narcisismo violento, profondamente malato ed egocentrato; una malattia che colpisce le menti più fragili e i temperamenti più aggressivi, benché deboli. 

L’esito a cui conduce il nuovo fondamentalismo è lo stesso a cui approdano la cancel culture, l’ideologia woke, il MeToo e black lives matter: vergognarsi di sé, della propria identità personale, di genere e collettiva, della storia famigliare e comune; vergognarsi della propria civiltà, liquidata con la semplice espressione “patriarcale”, ritenuta sinonimo di barbara. Come in un regime orwelliano la civiltà viene identificata con la barbarie; di conseguenza la vera barbarie può scorrazzare, senza freni né limiti. Tutto questo mentre si è tolleranti nei confronti di un altro fanatismo, di matrice islamica, che esporta anche nelle nostre società un codice famigliare fondato sulla sottomissione delle donne e dei figli al padre padrone. 

Il danno che produce il fondamentalismo e il suo braccio militante, il fanatismo, è multiplo. Spacca la società tra un’etnia ideologica di buoni e svegli e una razza infame e inferiore di “figli sani del patriarcato”; innalza un muro tra maschi e donne, col sottinteso che sono preferibili le società in cui i maschi stanno con i maschi e le femmine con le femmine; addita un campo vasto di nemici assoluti su cui versare odio e attribuire la colpa di questi misfatti, spostando l’attenzione dai veri colpevoli di singoli crimini a interi gruppi sociali e politici; rade al suolo le regole, i limiti, i principi che proteggono la società e i suoi componenti dalla deriva nella barbarie. Il rimedio suggerito, anzi gridato, per affrontare i casi di violenza, abusi e femminicidi, sarebbe quello di cancellare e sradicare ogni traccia, ogni eredità della civiltà come noi l’abbiamo conosciuta. È come se per eliminare un terrorista che si è barricato in una città, si decidesse di radere al suolo la città…

(Panorama, n.49) 

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