Per gli ebrei di tutto il mondo è in corso la festa di Chanukàh, la festa delle luci, una delle più popolari e celebrate all’interno delle famiglie e in pubblico. Di feste della luce ne ritroviamo in molte tradizioni religiose intorno al solstizio d’inverno, quando la luce è rara e preziosa, pensiamo ad esempio al Natale e a Santa Lucia, tanto celebrata proprio nella regione in cui vivo.
Per 8 sere consecutive, dopo il tramonto, a partire dal 25 del mese ebraico di kislev del lunario, si accende un numero crescente di candele o di stoppini all’olio: uno la prima sera, due la seconda e così via. Ma se ne accende sempre uno in più, quello “di servizio”, per attribuire ad esso l’uso involontario della luce proveniente dagli altri lumi che è vietato usare per altri scopi, illuminare l’ambiente, leggere, lavorare ecc., in quanto finalizzati alla sola festa. Le luci hanno solo la funzione di essere accese e viste e vanno disposte sullo sfondo del buio, vicino alla finestra, in modo da essere ben visibili dall’esterno. In tutto 9×8)/2+8=44 candeline.
In questa ricorrenza si celebra un miracolo avvenuto 22 secoli fa quando la terra d’Israele era una provincia del regno ellenistico di Antioco IV Epifane. In quell’epoca il paganesimo greco si stava gradualmente diffondendo in tutti gli strati della società e puntava a sostituirsi all’ebraismo. A rischio per gli ebrei erano la fedeltà alla Torah e alle leggi della vita ebraica, il pericolo incombente era quello dell’assimilazione, dell’allontanamento dalle tradizioni e quindi della perdita dell’identità. Il Tempio di Gerusalemme era stato profanato con l’introduzione di statue degli dei greci, con immagini e altri oggetti proibiti per quel luogo. Era in corso una conquista soprattutto culturale, quindi in un certo senso più insidiosa di una conquista politica o economica, più subdola, perché buona parte della popolazione ebraica stava in misura sempre maggiore allontanandosi dalla Torah per ellenizzarsi in tutti i sensi, nei costumi e nella mentalità. Mentre la società ebraica subiva l’influenza di questa cultura estranea, di cui andava via via impregnandosi, al contempo ne era affascinata. Non era dunque a rischio l’esistenza in vita degli ebrei, non c’erano minacce di sterminio o di annientamento a differenza di altre situazioni storiche, come quella a lieto fine della comunità ebraica di Persia, raccontata nella meghillàh di Ester su cui si basa la festa di Purim. La posta in gioco era piuttosto l’identità ebraica e i suoi valori, la sua cancellazione era il pericolo più grande.
Scoppiò quindi una rivolta armata guidata da una famiglia, i Maccabei, capeggiata da Yehudah Maccavì, determinata a riaffermare i principi e i valori dell’ebraismo. Fu una rivolta sanguinosa contro i greci, contro la cultura dominante che si stava imponendo, ma anche interna, una vera e propria guerra civile scatenata contro la parte della popolazione ebraica compiacente e responsabile di questa deriva assimilatoria. I Maccabei vinsero e riuscirono a riconsacrare il Tempio per renderlo idoneo alle antiche funzioni, episodio da cui discende il significato del nome della festa: Chanukàh significa inaugurazione, e anche consacrazione, quella di un oggetto alla sua naturale funzione, ma deriva dalla stessa radice ebraica chinùch che significa educazione. È evidente il senso, rieducare la società ai suoi valori originali e mantenere salda la tradizione, che non significa rimanere passivamente ancorati ad essa, ma partire da essa e conservarla come un tesoro per andare avanti a testa alta nel perenne processo di progresso e miglioramento. In quei momenti di emergenza venne trovata un’ampolla d’olio che per tenere acceso il lume perenne del Tempio poteva bastare per un solo giorno, ma per miracolo bastò altri 7 giorni, giusto il tempo per preparare altro olio. Da qui deriva la durata della festa e l’uso di questo candelabro che si chiama Chanukiàh. Nelle preghiere e nei canti della festa si usa il plurale, miracoli, per comprendere non solo questo dell’olio, ma anche la vittoria degli ebrei, pochi e deboli, sul nemico molto più forte e potente. Il significato più profondo di questa festa, il suo messaggio simbolico, sta nell’importanza della riaffermazione della libertà e dei propri valori, nel rifiuto a sottomettersi e ad annullarsi.
A differenza della festa di Purim e dalle altre, quella di Chanukàh non trova alcuna legittimazione testuale. Non esiste alcun libro biblico né alcun trattato talmudico su Chanukàh, che risulta così una festa delle luci con un blackout di scrittura. Ed è, dunque, la festa della tradizione orale per eccellenza.
Esponendo alla finestra la chanukiàh il miracolo viene manifestato e reso pubblico, e gli altri, coloro che lo vedono dall’esterno, vengono resi anch’essi partecipi della gioia e del mistero della sopravvivenza del popolo ebraico. Inoltre viene ad essere un invito per tutti gli uomini ad affermare se stessi, la propria identità e la propria libertà, e a non lasciarsi intimidire da prevaricazioni e sopraffazioni.
Questo è l’insegnamento più grande che la festa intende trasmetterci. La sopravvivenza culturale della nazione ebraica ha storicamente conseguenze enormi per l’umanità per la nostra civiltà occidentale, questo anche grazie alla vittoria dei Maccabei e della gente che li ha seguiti. Si può senz’altro dire che anche lo Stato d’Israele odierno è uno dei frutti della rivolta dei Maccabei e, per continuità storica, della costante resistenza ebraica che ha attraversato 2000 anni di diaspora, attraverso persecuzioni, umiliazioni, roghi ed espulsioni.
Fa davvero riflettere come in un’epoca molto più recente sia avvenuto un fenomeno del tutto analogo alla storia di Chanukàh. L’era dell’Illuminismo ci ha portato appunto, a proposito delle luci, la Luce della Ragione e nuovi valori con l’Uomo al centro che si affacciano alla storia, i diritti dell’Uomo, le idee di libertà e di indipendenza, tutti valori che gli ebrei, che di lì a poco sarebbero finalmente e definitivamente usciti dai ghetti, hanno fin da subito abbracciato con entusiasmo, a tal punto da fondare un movimento illuminista ebraico chiamato Hascalàh, che vuol dire mente, intelletto, di cui uno degli ispiratori fu Moshé Mendelssohn. Questo portò alla totale integrazione nella società circostante, la cosiddetta emancipazione ebraica, ma fu un’arma a doppio taglio perché portò anche all’assimilazione, come era avvenuto all’epoca di Chanukàh, per il fascino esercitato dalle nuove idee. Notevoli correnti di pensiero assimilatorie in seno al mondo ebraico ritenevano che non era più opportuno rimanere fedeli alla Torah e stare separati dagli altri conservando una sorta di ghetto virtuale, ritenevano che bastasse “sentirsi ebrei”, anche con un certo orgoglio, e mantenere un vago sentimento religioso perché l’ebraismo non si dissolvesse. Così movimenti riformisti cominciarono a nascere sulla scia di queste idee minando l’unità e l’integrità del popolo ebraico. Questo causò grandi problemi perché l’ebraismo si può conservare solo osservando la Torah che ne è l’essenza e la ragion d’essere, è impossibile definire l’ebraismo senza la Torah. Chi aveva capito questo era in un certo senso la versione moderna dei Maccabei. Non si giunse ad una guerra civile, ma a serie infinite di scontri ideologici, discussioni, alimentati anche dal nascente sionismo, diviso anch’esso da correnti interne, che doveva configurare il futuro Stato per gli ebrei e attribuire ad esso una ben definita identità il più possibile condivisa. Problematiche che ancora oggi si fanno ben sentire.
Purtroppo nuovi pericoli oggi incombono su Israele e il popolo ebraico, nuove potenze minacciose si stanno muovendo contro di esso, sempre nuove forme di antisemitismo si affacciano, la violenza islamica imperversa, e la resistenza deve continuare in tutte le sue forme, militare e culturale. Toccante e suggestiva a tal proposito la forma di resistenza di un fabbro di Sderot, la città vicina alla Striscia di Gaza più colpita dai missili di Hamas, che con i pezzi metallici dei missili caduti, tubi e avanzi vari ci fabbrica chanukiòt. Anche questa è autentica resistenza! È l’ottimismo sbandierato in faccia a chi ama la morte, basata sull’idea ebraica del Giusto che ripara i guasti della Creazione: quel Giusto di Sderot innalza verso l’alto la materialità trasformando un oggetto nato per essere strumento di morte in uno strumento di vita e celebrazione del miracolo dell’olio.
Dobbiamo essere consapevoli che tutto l’Occidente sta correndo gli stessi pericoli che sta correndo Israele. Nel contesto attuale in cui la nostra Civiltà è in pericolo a causa dell’invasione islamica dobbiamo riflettere a fondo su questo concetto se non vogliamo sottometterci e soccombere, dobbiamo combattere a fianco di Israele perché ciò che la festa di Chanukah ci ispira è il modello di resistenza sia militare che culturale, la vera perdita di sé non è quella fisica ma quella morale e spirituale.
L’augurio che dobbiamo farci è che il miracolo della riaffermazione dei nostri valori possa rinnovarsi ogni anno e che le luci della festa possano illuminarci i sentieri della Ragione e della Giustizia.
Come sempre, in tutte le feste, da Purim a Pesach ecc., anche stavolta i bambini sono i principali destinatari di questi insegnamenti. A loro si usa regalare la trottola, sevivòn, con delle lettere stampigliate sulle facce con cui, a seconda di quale esce, vincono delle monete. I bambini vengono coinvolti nei canti di gioia all’interno delle famiglie e delle comunità e principalmente a loro, ma anche a tutti i golosi, vengono offerti dolci di vario tipo come le tradizionali sufganiòt, i bomboloni fritti (e anche qui torna l’olio) ripieni di marmellata, crema o cioccolata e passati nello zucchero.