Berto, protagonista e voce narrante del romanzo Paesi tuoi, è un meccanico torinese che ha appena riconquistato la libertà dopo aver trascorso un periodo di tempo in prigione. Assieme a lui torna alla vita di sempre il suo compagno di cella Talino, un contadino che era stato incarcerato per aver incendiato una cascina.
Berto, uomo di città, nutre pregiudizi nei confronti della vita rozza e quasi primitiva che si conduce in campagna. Tuttavia egli è tormentato da forti incertezze a livello personale e prova un senso di indecisione su cui ha facile presa Talino. Questi riesce a convincere Berto ad accettare la sua proposta di tornare assieme a lui in campagna, dove gli promette che lo farà lavorare come macchinista e responsabile di una trebbiatrice nella fase della raccolta e della lavorazione del grano.
I due giungono quindi a Monticello d’Alba, località nel Piemonte meridionale presso cui si trovano i possedimenti rurali della famiglia di Talino. Il contatto con questa realtà campestre è particolarmente duro. Attraverso l’approccio visivo, Berto coglie subito il carattere misterioso del contesto naturale delle Langhe e sente un’insormontabile difficoltà di comprenderne il vero significato e di interpretarne il valore simbolico. La prima immagine che gli si pone di fronte è quella di una collina che richiama alla mente del protagonista l’idea di una mammella femminile con tanto di capezzolo sulla sua parte sommitale.
Il carattere erotico di quest’immagine suggerisce da subito il senso primordiale e ferino che sottostà al contatto di Berto con la realtà agreste delle campagne piemontesi e configura nei termini di un ritorno alle origini il rapporto umano del protagonista nei confronti dei componenti della famiglia di Talino.
Dopo essere stato accolto da Vinverra, padre di Talino, Berto conosce Gisella, la più giovane tra le sorelle. Per bellezza e grazia, ella si avvicina di più, rispetto alle altre, al modello di femminilità da cui il protagonista si sentirebbe attratto anche in un ambiente di città. Gisella ricambia l’interesse di Berto e i due intrecciano un rapporto amoroso.
Talino coglie l’intesa amorosa tra il protagonista e la sorella e si acceca di gelosia. Sotto il sole rovente che riscalda un’intensa giornata di lavoro, Talino aggredisce Gisella e la uccide conficcandole in gola uno dei tridenti che tiene in mano. Nell’orrore degli astanti la rappresentazione della terribile scena dell’omicidio acquista anch’essa suggestioni mitiche e simboliche. Il sangue della ragazza, che si riversa sul terreno inondandolo copiosamente, sembra richiamare antichi riti ancestrali di fecondazione per propiziare l’abbondanza della raccolta.
Un valore atavico e primigenio ha anche l’insistito ricorso alla sessualità e all’istintiva selvatichezza secondo cui sembrano presentarsi i rapporti tra i personaggi. La realtà contadina, così come Cesare Pavese ce la presenta in questo primo suo breve romanzo, pur non mancando di precisi elementi descrittivi e di crudo realismo, soprattutto a livello paesaggistico, è fortemente irrazionale e intrisa di componenti magiche.
Il protagonista non riesce a comprenderla. I segnali che la vita che si conduce in campagna gli dà, non riesce a decodificarli. Subito dopo l’uccisione di Gisella, perciò, egli scappa inorridito da quell’ambiente, che gli sembra assurdo e disumano.
Un orrido antefatto è quello a cui si allude nel corso della narrazione, senza farvi esplicito riferimento. Si tratta del rapporto incestuoso tra i due fratelli, Talino e Gisella, e del possibile stupro perpetrato dall’uomo nei confronti della sorella. Nessuno dei familiari ne parla ma sembra aleggiare la percezione di quest’evento lungo tutta la narrazione, quasi a dare l’idea di una sua assimilazione nelle coscienze dei personaggi.
L’omertà in cui vive questa famiglia aumenta il senso dell’orrore che suscita l’omicidio con cui si conclude la vicenda. È soprattutto l’atteggiamento assurdo di Vinverra a sortire incredulità nel lettore. Dopo la morte della figlia egli non si scompone e ordina a tutti di continuare a lavorare per portare a compimento quello che già si era cominciato a fare.
In una realtà in cui morte e vita si intrecciano, il ciclo “naturale” non deve essere interrotto solo per la morte di uno dei suoi componenti.
Quello rappresentato da Pavese, è evidente, è un mondo selvaggio, bestiale, in cui vigono istinti primordiali ed elementari. La violenza e il sesso si presentano senza controllo. Il percorso compiuto dal protagonista più che come viaggio a livello spaziale pare configurarsi come un viaggio nel tempo, in cui egli retrocede verso un passato primigenio.
Pavese ritrae il mondo contadino risentendo fortemente degli strumenti etnologici attraverso cui analizza la materia antropologica. Egli esorta al recupero di una memoria atavica e primitiva della quale sente il fascino. Non ci sono però intenti naturalistici nella raffigurazione degli eventi che egli ci propone.
Non ha valore documentario la rappresentazione dell’evento in sé. È fortemente connotata in senso emblematico la scena dell’omicidio, priva di qualunque intento di denuncia in chiave cronachistica da parte dell’autore.
Si intende, però, l’idea dell’ineluttabilità delle cose come fattore determinante a livello costitutivo delle vicende umane.
Il contrasto che anche Pavese sente tra il mondo contadino e la realtà civilizzata delle città propende decisamente per uno sviluppo in senso progressivo dell’umanità nella direzione del miglioramento e dell’evoluzione. Non può essere un modello da recuperare quello di una famiglia i cui componenti si abbandonano a una naturalità che degenera nella liberazione degli istinti e di ogni forma di barbarica primitività.
La famiglia, nella fattispecie dell’esempio mostruoso suggerito da Pavese in Paesi tuoi, rappresenta un contraltare rispetto alla funzione di fondamento della struttura sociale che essa dovrebbe avere.
In un’ideale linea di continuità rispetto ai Malavoglia, come ha fatto notare Italo Calvino, Paesi tuoi si impronta sul recupero di quello stesso irrimediabile destino di morte imperante sull’esistenza, che aveva avuto un ruolo determinante anche nello sviluppo delle vicende narrate nel precedente verghiano.
La realtà storica della metà del Ventesimo secolo e il contesto naturale della regione delle Langhe piemontesi, configurano un contrasto esistenziale tra il rinnovamento in chiave cittadina e urbana della realtà del nord dell’Italia e le sue origini contadine.
Significative sono le indicazioni che lo stesso Pavese dà nei suoi preziosi appunti raccolti in forma diaristica in Mestiere di vivere: ciò che propone lo scrittore è l’accettazione di un approccio alla vita retto dal «buon senso». Dice Pavese: «Tu vagheggi la campagna, il titanismo – il selvaggio – ma apprezzi il buon senso, la misura, l’intelligenza chiara».
Si tratta del suggerimento di adottare un senso della misura che, nella vita, sia imperante su ogni forma di istintualità e di slancio vitalistico fine a se stesso. L’equilibrio che il personaggio del protagonista Berto incarna nel suo atteggiamento e che traspira come monito lungo tutta la vicenda, rappresenta un’indicazione chiave per i lettori del Ventunesimo secolo.
Di fronte al proposito di legittimazione soggettivistica di ogni eccesso, si sente oggi la necessità di un ritorno, o di un netto avanzamento, verso una prospettiva di equità più ponderata che riconosca diritti e doveri, inquadrando ognuno di essi nel rispetto delle giuste precedenze.