MARCELLO VENEZIANI: “Il nuovo conformismo che ci sommerge”

Intervista a cura di Nathan Greppi del Centro studi Machiavelli per il libro Wokeismo, cancel culture e oicofobia appena edito da Historica edizioni

1) Che differenze ci sono tra il politicamente corretto di oggi e i conformismi sociali delle epoche passate?
 Il conformismo è una tendenza permanente della società ma tradizionalmente attingeva al senso comune e alla necessità di conformarsi al potere civile e religioso dominante. Il nuovo conformismo ha matrice ideologica, finalità correttiva e diffusione mediatica assai più potente. Il carattere più specifico del politicamente corretto è la distorsione della realtà, la maschera che prevale sul volto, il dire che cancella il fare, e l’intimidazione per chi vi si sottrae; il politically correct è un moralismo in assenza di morale, un bigottismo in assenza di religione, un antifascismo in assenza di fascismo.
2) Intervistato a gennaio sul settimanale TPI, ha dichiarato che la sinistra ha sostituito le battaglie degli operai con quelle per i diritti civili. Come è avvenuta questa mutazione nell’anima della sinistra? E quali sono i suoi effetti?
Da una parte il fallimento del comunismo in tutte le sue forme di regime, dall’altra parte il trionfo del capitalismo e del mercato globale, infine la trasformazione della società industriale e operaia in società postindustriale e impiegatizia. L’incrocio di questi tre fattori ha condotto alla perdita dell’anima proletaria, sociale e anticapitalistica della sinistra e alla sostituzione con i diritti soggettivi, le cosiddette diversità, il primato dei diritti sui doveri e dei desideri sui diritti. La sinistra mantiene la sua struttura conflittuale mas il nemico non è più il capitale, la borghesia, ma il fascismo eterno e la tradizione.
Ciò produce una sinistra radical chic, ztl, che conserva della precedenza la supponenza e la convinzione di essere lo spirito del mondo e il sale della terra; ma che sposa battaglie civili a favore di minoranze o di popolazioni remote, solitamente contro la maggioranza del proprio paese, il popolo della gente comune, la propria civiltà.

3) Il filosofo inglese Roger Scruton aveva coniato il termine “oicofobia” per identificare l’odio per le proprie radici, specialmente in Occidente. Secondo lei, l’oicofobia costituisce una minaccia? E in cosa si distingue dalla xenofobia?
L’oicofobia, a mio parere, è il rifiuto e il disprezzo di tutto ciò che è nostro, nostrano, che evoca un’identità, un’appartenenza comunitaria, una radice e una tradizione. Quel continuo vergognarsi dei segni, simboli, culture e sentimenti che ci collegano alla nostra terra, al nostro sentire civile e religioso, alla nostra stessa famiglia. L’esatto contrario della xenofobia che è paura dello straniero, del diverso, del lontano e che è una degenerazione del positivo sentimento di appartenenza a una comunità, una civiltà e una polis; una paura che può farsi a sua volta aggressiva.
 4) A suo parere, nel mondo conservatore vi è una consapevolezza dei rischi dovuti alla diffusione del politicamente corretto e dell’oicofobia?
Si, credo che ormai non solo la consapevolezza ma il rifiuto di questo canone artificioso, ideologico, costrittivo, siano assai diffusi e spiccati. Quel che non è invece abbastanza sviluppato è l’elaborazione di un pensiero critico intorno a questa egemonia, e il coraggio intellettuale e civile di contrapporre a questo modello tirannico e irrealistico, un tipo di società che parta da ciò che è reale e naturale, consolidato dalla storia, radicato nel tempo e nel luogo. Il disagio c’è, e anche la rabbia, ma non c’è un’adeguata risposta sia sul piano del ragionamento, sia sul piano della proposta alternativa.

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