SILVANA DE MARI: “Chiedete e vi sarà dato”

Non si tratta di un proverbio, ma di una affermazione evangelica,  chiedete e vi sarà dato, che però ha acquisito un secondo significato, e cioè che alla fine si ottiene quello che si è chiesto, e di questo significato parlerò il prossimo lunedì. Oggi parlerò del significato evangelico: chiedete e vi sarà dato perché Dio ve lo darà.  Onestamente la frase ci ha spesso lasciato perplessi. Molte persone hanno chiesto ricchezza e benessere, altre hanno chiesto beni ben più indispensabili, come per esempio la guarigione di una persona molto amata e molto malata. Moltissime di queste cose non si sono realizzate. Onestamente la frase ha spesso lasciato atrocemente delusi molti che avevano chiesto la salvezza di un figlio. Nulla prepara alla morte di un figlio.  La richiesta che dobbiamo fare, quella che sempre si realizza, è spirituale. Chiediamo la forza di affrontare quello che ci sta succedendo, protetti dalla fede in Dio. Chiediamo la guarigione di quella persona malata, o, se questo non è nei piani di Dio, chiediamo la salvezza della sua anima, e la felicità di sapere quell’anima nella luce. Tutto quello che succede, guerra, miseria, carestia, malattia atroce nostra o di qualcuno che amiamo, lo vediamo sempre dal nostro punto di vista di persone mortali e finite. Se invece ci ricordiamo che la morte è una porta che si apre sull’infinito. Noi siamo anime immortali che in questa fase della loro esistenza hanno un corpo. Quando ce ne ricordiamo, tutte le prospettive cambiano Chiedete e vi sarà dato. A chi chiediamo? Chiediamo a Dio. Noi cattolici però possiamo chiedere anche alla Madonna e ai Santi. Per questo motivo i protestanti ci trattano da deficienti, e ci accusano addirittura di paganesimo. Questo nasce solamente da una scarsa conoscenza linguistica. Il fatto è che i veri dizionari sui sinonimi e i contrari non esistono praticamente più, sostituiti da pochi termini forniti dal computer senza specificare le esatte differenze. Noi adoriamo Dio e veneriamo i Santi. Adorare e venerare semplicemente non vogliono dire la stessa cosa. I napoletani che amano il calcio venerano Maradona, ma nemmeno loro pensano  che chi non lo ama o lo detesta finisca poi inferno. La Madonna e i Santi sono creature umane che sono state strepitosamente bravi a essere servi di Dio, quindi noi che vorremmo a nostra volta riuscire a essere servi di Dio da un lato li amiamo moltissimo, dall’altro chiediamo loro di fare da intermediario. Immaginate di essere in presenza di un Re talmente grande che voi non riuscite neanche immaginarLo. Se avete bisogno di qualcosa vi rivolgerete a quello tra i servi della Sua casa che vi è più simpatico, perché interceda per voi. Quando chiediamo a San Giuseppe una grazia, in realtà la chiediamo a  Dio: San Giuseppe sta facendo da avvocato e intermediario. Purtroppo il dizionario dei sinonimi e contrari si è disperso insieme a congiuntivi e condizionali. La parola adoro è addirittura usata nelle pubblicità: dirette o indirette da influencer. Non si tratta solamente di squallore linguistico. Da un punto di vista teologico  potrebbe essere considerata una forma di blasfemia, e non è sbagliato, perché noi poniamo su un qualcosa, su un oggetto, una squadra di calcio, un partito politico, un’ideologia, tutta la potenza emotiva che dobbiamo mettere su Dio. Chi crede in Dio non prova orrore per la morte. Chi crede in Dio non prova orrore nemmeno della morte dei propri figli. Lo terrorizza che muoiano non in stato di grazia, ma la fede in Dio ci leva l’orrore della morte, anche della morte di coloro che amiamo. Abbiamo paura della loro morte perché se muoiono dovremo vivere senza di loro, ma non ne abbiamo orrore.
È sulle genitorialità drammatiche, anzi tragiche, che capiamo il valore della vita e di cosa voglia dire essere genitori: vuol dire amare al di sopra di tutto, vuol dire saper di avere infranto la barriera della morte, di aver consegnato un figlio all’eternità, vuol dire averlo amato così tanto che la gioia di averlo avuto è superiore al dolore di averlo perso. Fhilippe Forest, lui non è credente, parla della gioia di aver avuto la sua bimba Pauline, che un sarcoma gli ha portato via. (Tutti i bambini tranne uno. Forest. Ed Fandango) Lui non sa che ha consegnato Pauline all’eternità e che la ritroverà, e persino da non credente, convinto di averla persa, descrive la magnificenza di essere genitore. Il titolo del libro si riferisce a Peter Pan. Il magnifico romanzo non racconta la storia di qualcuno che non vuole crescere. Non esistono bambini che non vogliono crescere. Non esiste nessuna ghianda che non voglio diventare quercia. Peter Pan racconta con una geniale metafora la storia di bambini morti in ospedale, morti di malattia. Peter Pan è stato perso da sua madre. I bambini perduti sono stati persi delle loro madri. Ho perso mio figlio vuol dire che mio figlio è morto. Ci parlano di Peter nel primo capitolo: si dicevano di lui cose molto strane, si diceva che quando i bambini morivano Peter li accompagnava le primo tratto di strada perché non fossero terrorizzati. “Il lungo anno in cui morì nostra figlia fu il più bello della mia vita.” , è la frase che si trova nel suo libro, perché quell’anno lei era ancora viva.

Anna Mazzitelli e Stefano Bataloni, la mamma e il papà di Filippo, hanno raccontato la storia del loro bambino in un libro che si intitola Con la maglietta al contrario Ed Porziuncola).  Filippo si è ammalato di leucemia a due anni, è morto a otto dopo tre trapianti. I suoi magnifici genitori raccontano la sua storia di due genitori credenti  che, quando non ci sono state più possibilità di guarigione, hanno sempre saputo che avrebbero consegnato il loro bambino all’eternità. Anche Filippo lo sapeva. Anna ha raccontato la storia del suo bambino in un blog Piovono miracoli: il miracolo è la gioia di averlo avuto, il miracolo e sapere che in questo momento Filippo e in un meraviglioso Altrove e da li proteggi sui genitori e sui fratellini.
Davide, il bambino che parlava con gli angeli ( Ed Ares), è un libro sconvolgente che ci parla della meravigliosa morte di Davide Fiorillo. Il libro è scritto Costanza Signorelli (Ed Ares), che ha raccolto il racconto della mamma Elisa e del babbo Salvatore.  Prima di morire Davide ha parlato con gli angeli, ha visto il Paradiso. La storia è Davide è durissima Davide appartiene alla famiglia non troppo credente, però un pochino credenti devono esserlo stato perché Davide fortunatamente è battezzato. Al terzo anno di scuola materna Davide comincia a essere stanco. Tempo prezioso viene perso senza che i molti medici interpellati diano al suo malessere un nome. Un improvviso peggioramento mette a rischio la vita del bambino e finalmente viene fatta la diagnosi, leucemia linfoblastica acuta. Anche Davide e la sua famiglia quindi entrano nel mondo sospeso dell’ospedale, vivono in un universo fatto di analisi, reparti di oncologia, fleboclisi. Davide non guarirà, ma vivrà la sua malattia circondato da angeli che lo rassicurano. Il paradiso è bellissimo. Gli angeli sono sempre con lui. Quando li descrive, tutti restano stupiti perché la sua descrizione è identica a quella fatta dai pastorelli di Fatima, e innumerevoli altre sono le coincidenze di cose che Davide sapeva senza che nessuno gliela avesse mai raccontate. Per Davide, come per Filippo Bataloni, importantissimo è il momento della prima Comunione, un momento straordinario di felicità e di unione con l’infinito. Davide racconta di aver incontrato Gesù nell’eucarestia e lo descrive. Davide sceglie lui il vestito per il funerale, lo sceglie con gioia, è il vestito per il grande viaggio. Al momento di morire Davide ha chiesto a  tutti, compresa la sua mamma, di lasciare la stanza. Sapeva che era il momento di andarsene. La storia di Davide è una porta che si apre sul cielo. Davide ha lasciato alla sua mamma, che le ha condivise con noi, le prove certe che il paradiso esiste e che deve essere il nostro destino.

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