ELIO CABIB: “Solo difendendo Israele si difende la memoria delle vittime della shoà”

Una storia di continuità (dalla shoà a Israele)…
… e di sovrapposizione (Israele prima e durante la shoà)

Vorrei iniziare con le parole del compianto giornalista e saggista prof. Vittorio Dan Segre: “col sionismo la caccia agli ebrei non è pi\`u gratis”. Israele rappresenta la realizzazione della determinazione del popolo ebraico a prendere il destino nelle sue mani per non essere mai pi\`u umiliato, perseguitato e cacciato. Israele divenuto protagonista nel “gioco delle nazioni” (la politica), per citare le parole di Vittorio Dan, dovrà difendersi con la diplomazia e con le armi se necessario. Ma questo non piace qua, generalmente si preferisce piangere e commemorare gli ebrei morti e contemporaneamente  condannare gli ebrei vivi che si difendono. La novità dell’ingresso dello Stato d’Israele nella storia ribalta la figura dell’ebreo errante, perseguitato e sottomesso, magari anche tollerato, aiutato o liberato dagli altri, come avvenuto il 27 gennaio del 1945 quando l’Armata Rossa aprì i cancelli di Aushwitz. Lo Yom Hashoah ve-haGvurah, il giorno della shoah e dell’eroismo, fu istituito in Israele subito dopo la sua fondazione in una data vicina alla rivolta del ghetto di Varsavia, 19 aprile 1943, vigilia della festa di Pesach, quando fu la prima volta nella storia in cui un manipolo di 200 ebrei si difesero con le armi (ma ci sarebbe da ricordare anche la rivolta del Sonderkommando). Tennero in serio scacco per un mese le truppe tedesche ben sapendo che non sarebbero sopravvissuti. Pochissimi riuscirono a salvarsi e comunque la rivolta non ebbe l’aiuto e il sostegno dei partigiani polacchi, eccetto che per alcune armi ricevute dall’esercito polacco. Ogni anno in questa ricorrenza il suono angosciante di una sirena attraversa tutto Israele, per un minuto tutto si ferma, tutti si fermano in meditazione.

Israele è la realizzazione di un sogno millenario che è anche uno dei fondamenti del pensiero ebraico. In versione forse pi\`u laica è la realizzazione del movimento sionista per l’autodeterminazione del popolo ebraico, rappresenta per gli ebrei la barriera di difesa da un’altra shoà, è il punto di raccolta della dispersione ebraica nel mondo, la diaspora, ed è sempre attento a ciò che può succedere agli ebrei ovunque si trovino. è dunque parte integrante e inscindibile della storia ebraica. Eppure assistiamo da sempre allo sforzo diffuso delle istituzioni internazionali, della cosiddetta “società civile” di scardinarlo o comunque di separarlo dalla storia ebraica negando questo legame profondo. è così da quando l’imperatore Adriano chiamò quella terra Palestina per recidere qualunque legame tra il popolo e la Terra, per farla dimenticare, per paura di possibili rivendicazioni. Un nucleo importante di ebrei ci rimase comunque con continuità fino alla creazione del moderno Stato, ma con la sua nascita tale atteggiamento è tornato fuori con una certa frequenza. è del 10 novembre 1975 la Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 3379 nella quale si afferma che il Sionismo è una forma di razzismo e fino ai nostri giorni non si contano pi\`u le risoluzioni in cui siti ebraici storici, archeologici e biblici, specialmente a Gerusalemme e dintorni, vengono dichiarati appartenenti all’islam. Una vera e propria shoà culturale, come la chiama giustamente il prof. Ugo Volli, saggista e docente di semeiotica all’Università di Torino.

A conferma di questo atteggiamento diffuso, del tentativo di separare gli ebrei da Israele, vi racconto un fatto personale che mi successe il 27 gennaio di una ventina di anni fa quando venni invitato a parlare presso il Comune di San Daniele del Friuli. Eravamo nel vivo dell’intifada di Al Aksa, scatenata nel 2000 all’indomani del rifiuto di Arafat della generosa offerta territoriale senza precedenti di Ehud Barak. Fu la pi\`u terrificante, sanguinosa e incessante che Israele avesse mai attraversato. Per 4-5 anni quasi ogni giorno saltavano in aria bus, ristoranti, discoteche, forse qualcuno ricorda la pizzeria Sbarro, o il caffè Rimmon a Gerusalemme. Le cinture esplosive degli shaìd, arricchite di chiodi e bulloni, facevano volare teste e membra e bruciavano ciò che incontravano. Quando fui invitato a San Daniele ero alle mie primissime esperienze in fatto di eventi sulla Memoria. La assessore mi chiese di evitare di parlare di Israele e ne rimasi molto turbato. Perché non dovevo parlarne? Un breve passaggio nel mio discorso lo lessi comunque. Non sapevo che cos’era, ma qualcosa di grosso non riuscivo a cogliere pienamente in questa sua richiesta, entrava e usciva dalla mia testa, capivo e non capivo. Col tempo e l’esperienza mi sono reso conto che nella percezione comune Israele rappresentava la cattiva coscienza degli ebrei. Tutti hanno una zona grigia, è normale, e Israele è la zona grigia degli ebrei. Meglio non parlarne, meglio non approfondire, è un tema “divisivo” per usare un neologismo molto di moda. Ma a che serve lo slogan “mai più” se un terrificante pogrom di natura spudoratamente nazista avvenuto oggi, nel nostro presente, deve essere ignorato? è il segno del totale fallimento delle celebrazioni del 27 gennaio tenute fino ad ora in questi 25 anni.

Nello stesso periodo un mio collega che incontrai nei corridoi del Polo Scientifico mi disse “tu da ebreo dovresti prendere le distanze da Israele”. Che poi è l’invito di sempre “ebreo, discolpati”. Dovrei unirmi alla schiera degli ebrei ossessionati da Israele e dalle sue “colpe”? E perché? Cosa ha fatto Israele? è colpevole di difendersi, naturale! ho pensato, gli ebrei piacciono quando sono perseguitati, ma non quando reagiscono.

Nel giugno del 1982, in risposta ai continui attacchi d’artiglieria dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) contro aree popolate nel nord della Galilea, Israele dette inizio all’operazione Pace in Galilea, l’invasione del Libano per liberarne la zona meridionale, a sud del fiume Litani, dai terroristi. Ne seguì una campagna mediatica anti israeliana diffamatoria accompagnata anche dalla mostrificazione caricaturale di stampo antigiudaico dell’allora Primo Ministro Ariel Sharon. Complici molti esponenti politici italiani, compreso il Presedente della Repubblica Sandro Pertini. Era l’epoca del Lodo Moro (che forse è ancora vigente). Rosellina Balbi pubblicò un articolo su Repubblica dal titolo “Davide, discolpati!”. Si capisce, il pretesto è Israele, ma poi la campagna di odio si estende subito a tutti gli ebrei. Il 9 ottobre di quell’anno, il giorno della festa della Torah come il 7 ottobre scorso, all’uscita dalla sinagoga di Roma, subito dopo che era stata impartita la benedizione a tutti i bambini, un commando di 5 terroristi palestinesi facenti capo a Abu Nidal sparò sulla folla uccidendo il piccolo di due anni Stefano Taché e lasciando a terra 37 feriti. Ma pochi giorni prima di quel fatto un corteo sindacale guidato da Luciano Lama aveva fatto scivolare davanti alla sinagoga una bara vuota in segno di … minaccia? di avvertimento? disprezzo? o forse in segno di solidarietà per le vittime libanesi? Quella bara sindacale venne così riempita poco dopo. Ovviamente gli ebrei romani non avevano nessuna colpa per le vittime libanesi, ma erano stati accorpati a Israele nel criminalizzarlo. Dunque noi ebrei dovremmo prendere le distanze da Israele ma qualcuno ci ricorda spesso, a parole o con la violenza, che ebrei e Israele sono la stessa cosa. Cosa peraltro vera, perché Israele, come già detto, è parte integrante della nostra storia, fa parte di noi e l’abbiamo creato per noi come Stato ebraico.

è importante capire che parlare di Israele rappresentandolo correttamente, per quello che è, con i suoi pregi e difetti, sfrondandolo dalle narrative false, luoghi comuni e pregiudizi, è un dovere morale e non riguarda affatto le opinioni politiche. è ovvio e scontato che ogni libero cittadino abbia il diritto di criticare un qualunque governo israeliano, esprimere opinioni di accordo o disaccordo con la sua politica, ma usare il pregiudizio, metterlo alla gogna mediatica, andare a contare i morti da una parte e dall’altra in una guerra asimmetrica come questa in corso, usare i due pesi e due misure è profondamente disonesto, è l’antisemitismo che si esprime in una nuova forma chiamata antisionismo, ma questo neologismo è l’altra faccia della stessa medaglia, è una maschera che fa da paravento all’accusa di antisemitismo.

Veniamo allora ai pregiudizi su Israele.

è incredibile come si sia potuta diffondere in maniera così endemica la menzogna secondo cui lo Stato d’Israele sarebbe stato il regalo del 1948 che le potenze vincitrici la II Guerra Mondiale avrebbero fatto agli ebrei come forma di riparazione della shoà, per il senso di colpa che essa avrebbe prodotto, calpestando i diritti dei palestinesi. Ciò comporta che gli ebrei dovrebbero essere riconoscenti e dire grazie. Se pensiamo che dal ’45 al ’48 erano passati solo 3 anni e che l’Europa, ridotta in macerie, con 20 milioni di morti, aveva altro a cui pensare, nessun senso di colpa poteva essersi formato. Ma neanche oggi! io non vedo grandi sensi di colpa diffusi. Abbiamo assistito a dei percorsi di presa di coscienza e di consapevolezza, apposta è stata deliberata una Giornata come questa a livello europeo o forse mondiale, sono stati promossi percorsi educativi e didattici nelle scuole su questo tema, ma solo dopo 50 anni. Fino al processo Eichmann del 1961 tutto era rimasto dentro la pentola. A parte qualche raro caso come Primo Levi, il cui primo libro “Se questo è un uomo” venne rifiutato dalle case editrici ancora negli anni ’50, i sopravvissuti non parlavano e non scrivevano, avevano bisogno di elaborare dentro di sé la terribile esperienza dei campi di sterminio. Alcuni loro figli nati dopo la guerra non sapevano nulla di questa terribile esperienza dei loro genitori, non erano riusciti a raccontare nulla a nessuno. Solo con le testimonianze al processo Eichmann quello che era successo cominciò piano piano ad emergere, per questo sono importanti i processi, mai la giustizia sommaria. Sostengo sempre che se Mussolini fosse stato processato regolarmente, con un processo giusto, oggi forse sapremmo molto di pi\`u sul fascismo, dettagli e retroscena, che presenta ancora oggi aspetti controversi su cui gli storici non concordano.

Insomma, si può dire tutto, ma non certo il senso di colpa, ma anche per un altra ragione. In Palestina vigeva ancora il Libro Bianco dal 1938-39 il quale cessò con la fine del Mandato Britannico nel 1947. Quindi in quegli stessi anni del famoso “senso di colpa”, 1946-47, agli ebrei era ancora vietato emigrare nella loro stessa terra perché l’Italia era occupata dall’Inghilterra che impediva la partenza delle navi rimediate e rattoppate, a volte vere e proprie carrette del mare, su cui erano stipati i clandestini ebrei, reduci dei campi o di qualsiasi altra provenienza, che volevano raggiungere Eretz Israel. Una storia di speranze ma anche di pericoli e tragedie, di arresti e pericolo di confino a Cipro al momento dell’approdo. In un caso, quello della nave Exodus, i clandestini che erano partiti dalla Francia e che vennero riportati in Francia dalle navi inglesi si rifiutarono di sbarcare e la Francia non li volle costringere. Allora furono riportati dagli inglesi ad Amburgo, propio in Germania, e rinchiusi in due campi internamento. Consigliatissimo il libro di Ada Sereni “I clandestini del mare”. Una storia di eroismo perché ai sopravvissuti che riuscivano ad approdare in Eretz Israel, dopo la fine del mandato e la dichiarazione di indipendenza, i sionisti dell’Yshuv (insediamento) palestinese, davano in mano un fucile, poi breve periodo di addestramento, apprendimento dell’ebraico e via al fronte. E questa gente combatteva per un ideale nobile la guerra d’indipendenza, il riscatto per sé e per i propri figli. Fu questo il segreto della vittoria della Guerra di Indipendenza. Una realtà di 800.000 mila – 1 milione di abitanti, in parte di gente appena arrivata, in parte già in loco da prima della guerra che, con armi rimediate, avanzi di guerra, riuscì a vincere contro ben 5 eserciti arabi: Egitto, Giordania Siria, Libano e Iraq che l’avevano accerchiata. Storie incredibili come quando in una notte costruirono la strada per raggiungere Gerusalemme e difendere i suoi abitanti che stavano rischiando un massacro per mano dei giordani. Era la vittoria della Vita sulla cultura della morte.

Fin dai primi anni della II Guerra Mondiale l’Yshuv in Palestina, che non era bene informato su ciò che stava accadendo in Europa, e teniamo presente che molti giovani avevano fatto la alyah (salita, cioè l’emigrazione in Terra d’Israele) lasciando i genitori o parti delle loro famiglie in Europa, chiese con insistenza al Governo Britannico di partecipare alle operazioni di Guerra per liberare l’Italia dall’occupazione tedesca, per liberare l’Europa dal nazismo. Per lungo tempo vennero rifiutati perché in Palestina ebrei e inglesi si stavano facendo la guerra e l’Inghilterra non voleva poi sentirsi in debito con loro. Comunque verso l’autunno del 1944 accettarono l’offerta. Si formò così un battaglione di 5.000 uomini che, dopo un primo addestramento ad Alessandria d’Egitto, vene inviato in Italia il 31 ottobre del ’44 sbarcando a Taranto e fu inquadrato nel X Corpo dell’VIII Armata Britannica. Era la Brigata Palestinese, o Brigata Ebraica. Risalirono il versante adriatico combattendo contro l’esercito tedesco fino a Tarvisio. Persero in combattimento circa 500 uomini. Vi sono qua e là in Italia alcuni cimiteri dove riposano con la stella di David sulla tomba. Il 25 aprile di ogni anno è invalso l’uso di visitarli con i vessilli della Brigata, e di dire la preghiera per i morti. A Tarvisio un gruppo rimase fino a dopo la guerra disobbedendo all’ordine inglese di tornare in Palestina. Ma questi soldati avevano tre compiti:

– compiere missioni verso nord in giro per l’Europa per cercare di rintracciare militari delle SS che si erano macchiati di crimini,

– reperire armi a tutti i costi di qualunque tipo, già usate in guerra o nuove, dai fucili ai carri armati, agli aerei da guerra, compiere operazioni di assalto a depositi di munizioni, trattarne l’acquisto o cercare di farsele regalare. Ci sono racconti rocamboleschi su come ottenevano queste armi. Un paese amico, buon rifornitore di armi, era la Cecoslovacchia, c’è sempre stata una certa simpatia tra la Cecoslovacchia e Israele.

– Ed infine andare a cercare i sopravvissuti. Immaginate la loro sorpresa con gli occhi sgranati nel vedere arrivare le jeep della Brigata Palestinese con su la stella di David, uscire dal campo di sterminio e venire a contatto con un esercito di ebrei armati. Un sogno a cui non riuscivano a credere ma era la realtà. I militari avevano il compito di assisterli e di aiutarli nel tentativo di raggiungere la terra d’Israele. Per cui li convogliarono verso l’Italia dove c’erano dei campi di raccolta mettendoli in attesa della prossima carretta del mare.

è divenuto ormai fondamentale e di importanza primaria promuovere la conoscenza dello Stato di Israele in modo corretto, della sua storia in seno al popolo ebraico e della sua realtà autentica, al di là della propaganda. Ma soprattutto dobbiamo prendere atto che lo Stato d’Israele ha il pieno diritto di esistere come stato ebraico sulla terra di Palestina. Questo diritto non deriva solo dal fatto che in quella terra c’era l’antico regno di Israele, ma perché gli ebrei palestinesi parteciparono a fianco degli Alleati alla I Guerra Mondiale contro gli Imperi Centrali. Per questo, con la Dichiarazione Balfour, si crearono i presupposti per la nascita di uno Stato per tutto il popolo ebraico sparso nel mondo, avente le sue basi legali nel Mandato Britannico per la Palestina 1920-22. Alla potenza mandataria gli ebrei promisero di garantire pari diritti e doveri a tutte le minoranze etniche e religiose presenti nel futuro Stato, cosa scontata per un popolo che in Europa aveva subìto ingiustizie di ogni genere, promessa che quindi mantennero fedelmente. Infatti oggi in Israele il 20% della popolazione è composta da arabi, oltre che da drusi, beduini e altre etnie, con pieni diritti e, diciamolo, con qualche dovere in meno. Così come nello Stato d’Israele è pienamente garantita la pari dignità a tutti senza distinzioni di identità sessuale, politica o religiosa.

Quando ci obiettano, di fronte alla pretesa araba di creare uno stato “palestinese” dal mare al Giordano, che anche Israele vuole la stessa cosa, noi dobbiamo rispondere che lo stato che loro concepiscono è judenrein, ottenuto con una pulizia etnica e con la cancellazione di Israele, un progetto nazista. Non concepiscono uno stato in cui siano presenti minoranze etniche o religiose di varia natura. Mentre Israele, come detto sopra, ha dimostrato che si può convivere con rispetto e pari diritti.

4 commenti su “ELIO CABIB: “Solo difendendo Israele si difende la memoria delle vittime della shoà”

  1. Molto interessante dettagliato e accurato questo tuo articolo, Elio. Chiarisce alcuni passaggi nodali della storia raccordandoli adeguatamente con la situazione attuale della quale si rivelano anticipatori. Quanto dici a proposito della necessità di conoscere correttamente la storia di Israele e di farla conoscere al di fuori di ideologismi e di quel “due pesi e due misure” a cui fai riferimento, rappresenta il bisogno stesso di dire la verità che deve sempre contraddistinguerci. Alla luce di questo bisogno spero che vorrai continuare nella stesura di altri articoli su Israele come questo, per continuare a informare correttamente su altri passaggi della storia che richiedono maggiore onestà.

  2. Nelle due foto, il nonno del soldato e la nonna della soldatessa sono sopravvissuti alla shoah. Le due foto ci trasmettono un messaggio di continuità: dai campi di sterminio alla vita in Terra d’Israele. Hanno lottato per la Vita e hanno vinto, lo dimostrano i loro discendenti nati in Israele, anch’essi chiamati a sconfiggere il Male combattendo per la vita.

    1. Nella terza foto c’è una storia di sovrapposizione, la storia dell’Yshuv ebraico in Palestina che va dalla fine del XIX secolo al 1948, che ha visto navi di clandestini cercare di raggiungere la costa della terra promessa eludendo i controlli britannici. La bandiera azzurra in alto e bianca in basso con la stella gialla di David nel mezzo è la bandiera palestinese.

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