Ascolta l’articolo con la voce di Paola Ramella
Qualche settimana fa ho voluto assistere ad una significativa conferenza tenuta, in provincia di Pisa, dal Prof. Gian Carlo Blangiardo, già presidente dell’ISTAT e Professore emerito presso l’Università Bicocca di Milano.
Il suo discorso si intitolava “Inverno Demografico. Sarà possibile una nuova primavera?”. Il sottotitolo recitava “Un’Italia sempre meno grande Paese”.
ll Professore è stato chiaro. Il suo obbiettivo era quello di informare, di dare consapevolezza dell’elemento oggettivo, chiarendo che il dato statistico, se utilizzato in quanto tale, non è mai ideologico.
Tuttavia, ha premesso che lo scopo di mettere a fuoco una diagnosi è quello di individuare, poi, la terapia. Blangiardo ha esordito con una bella immagine:
La famiglia era un albero con tanti rami. C’erano i nuovi germogli, c’erano le nuove fioriture, c’erano i virgulti forti e maturi e c’erano i rami vetusti, prossimi alla caduta. Questi alberi sono in via di estinzione. Oggi non esiste più la rete familiare. La struttura demografica del Paese non poggia più su quella familiare, ma sui singoli individui.
L’osservazione statistica ci dice che, in Italia, oggi ci sono molti anziani e pochi giovani, ovvero più fragilità e meno dinamismo.
Ciò porta ad aumentare le politiche di “manutenzione”, piuttosto che le politiche di “investimento”, ovvero, nella società stessa vi è maggiore propensione a fare manutenzione, più che a investire e sacrificarsi per costruire un futuro. La diretta conseguenza è una economia di sopravvivenza, con minore potenziale produttivo ed assai minori stimoli, sul fronte della domanda interna.
Le famiglie oggi sono più variegate e con reti parentali assai ridotte.
Infatti, i bisogni crescenti sarebbero quelli del welfare, della fruizione dei servizi sociali, ritenuti indispensabili, ma le risposte istituzionali sono inadeguate ed assai deboli, a livello familiare.
Interessante e molto esplicativo è il panorama statistico che ci prefigura il Professore, attraverso il suo progredire storico.
Italia: popolazione residente al 1° gennaio 1862 = 26.328;
popolazione residente al 1° gennaio 2022 = 58.997.
Nel 2013 si è stabilito il nuovo record della più bassa natalità di sempre nella storia d’Italia: 514 mila nascite annue.
In ognuno dei nove anni successivi (2014-2022) quel record è stato migliorato al ribasso. Anno dopo anno, sino ai 393 mila nati del 2022.
Per trent’anni, dal 1993 (con unica modesta eccezione nel 2006), ci sono stati in Italia più morti che nati. Il conteggio trentennale (1993-2022) evidenzia complessivamente 2 milioni e 493 mila morti in più (rispetto ai nati).
In ognuno degli ultimi nove anni (2014-2022) la popolazione è sempre diminuita, totalizzando, nell’intero periodo, la perdita di 1 milione e 349 mila residenti.
La popolazione italiana diminuì, in simili percentuali, soltanto nel biennio 1917/18, quando la Grande Guerra prima e la epidemia di Spagnola poi avevano fatto strage. Il fenomeno non si è più ripetuto, fino ad oggi…
Il bilancio dei primi dieci mesi del 2023 segnava, rispetto agli stessi mesi del 2022, un ulteriore calo di nascite del 3,4%. Estrapolando il dato, per l’intero anno, si hanno 380 mila nati e un saldo naturale negativo di -272mila unità.
Dal 31.12.2013, al 31.12.2022 l’Italia ha perso 1.349.000 residenti.
In prospettiva: avremo 13 milioni di residenti in meno, in poco più di mezzo secolo. Ciò significa che sparirà una popolazione pari a quella che oggi vive nel Mezzogiorno d’Italia.
Blangiardo è poi passato alla disamina di tutto questo cambiamento.
Il primo focus è stato sul maggiore invecchiamento della popolazione, dovuto, sia dalla bassa natalità (effetto dal basso), sia dall’allungamento della sopravvivenza (effetto dall’alto), sia dall’ingresso, in età anziana, di coorti numerose (effetto strutturale). Preciso che, in statistica, l’insieme di individui che hanno sperimentato lo stesso evento, nello stesso intervallo di tempo, all’interno di una popolazione definita, viene definito “coorte”.
Ma l’aspetto qualitativo più incisivo di questo cambiamento è, per Blangiardo, la famiglia. Basandosi solo sui dati puramente statistici, il Professore ha affermato che, in Italia, la struttura familiare, con alla base il matrimonio, resta prevalente.
La popolazione attualmente in unione civile rappresenta una esigua minoranza, ovvero, 32.733 residenti (per 2/3 maschi), a fronte dei 26 milioni e 820 mila tuttora coniugati.
Posso, sommessamente, aggiungere che il dato è solo apparentemente incoraggiante, posto che le Unioni Civili sono entrate in vigore, in Italia, appena nel 2016, a fronte della antica, direi quasi ancestrale, istituzione del matrimonio. Che vi sia, tuttavia, una richiesta assai minore, rispetto alla ideologizzata ed ostentata offerta, sono d’accordo, così come sono d’accordo che il fenomeno delle unioni omosessuali riguardi una ristretta coorte di effettivi interessati.
Gli effetti del cambiamento della struttura demografica descritta sono nel senso di una straordinaria crescita della domanda di previdenza, assistenza e sanità. Avremo una società sempre più popolata da novantenni e ultra centenari. Sono emblematici gli scenari di previsione, per i prossimo 40 anni. Nel 2063 si prospetta un’Italia con 2 milioni e 104 mila residenti, in età 90 e + e con 88 mila ultracentenari, entro una popolazione complessiva di 50 milioni. In tal modo si riduce la potenzialità economica del nostro Paese.
Quali sono, infatti, gli scenari di previsione, per i prossimi 40 anni, per la popolazione in età 20-64 e 20-39 anni?
Nel 2063, si prospetta un’Italia, con circa 9 milioni di residenti, in età attiva, (20-64 anni), in meno rispetto, ad oggi, dei quali, circa un terzo nella fascia più giovane.
I Riflessi Economici di ciò li dimostra la dinamica del P.I.L. (simulazione).
A parità di altre condizioni, in termini di partecipazione al mercato del lavoro, il livello di occupazione della forza lavoro e della sua produttività, nonché il cambiamento nella numerosità e nella struttura, per età, della popolazione italiana, potrebbe comportare, in valore assoluto, un minor PIL di 321 miliardi nel 2042 e di 500 miliardi nel 2062.
Altrettanti Riflessi Economici si potranno apprezzare sulla domanda di beni e servizi, da parte delle famiglie.
La potenziale domanda scende del 1,8%, proprio per effetto del cambiamento dell’universo familiare. Per esempio, quello delle Famiglie unipersonali.
Al 01.01.2023 il 48% degli ultra85enni vive solo. La percentuale sale al 49,1%, al 1.1.2042. Il trionfo della solitudine, si potrebbe dire.
In ultimo e molto umilmente, il Professore ha voluto offrire un suo contributo su come governare questo cambiamento demografico. Ha delineato tre azioni, per fronteggiare il cambiamento e/o mitigarne gli effetti problematici.
1- Rilancio della natalità;
→ Obiettivo 500 mila nati. Occorre sostenere tempi e intensità della genitorialità e favorire il passaggio al secondogenito. L’idea in se’ è pienamente centrata. Non è chiaro con quali modalità e con quali strumenti ciò possa avvenire.
2- Governo della immigrazione e della non emigrazione;
→ Agire con razionalità e lungimiranza sulla leva dell’immigrazione ed arginare l’opposto fenomeno della emigrazione dei nostri giovani.
Blangiardo ci rivela che persino il contributo degli stranieri, sul fronte della natalità, va ridimensionandosi, perché c’è una naturale tendenza ad uniformarsi alla etica corrente del paese ospitante. Interessante osservazione. Tuttavia credo che sia sfuggito il dato dello straniero mussulmano, che, come sappiamo, non intende in alcun modo uniformarsi a nessuna altra etica, che non sia quella coranica.
3- Ridefinizione delle stagioni della vita.
→ C’è un’età per apprendere, per produrre e per riposarsi. Ci sono confini-soglia, biologici/fisiologici (l’età fertile, ad esempio) o legati a norme (la maggiore età) a cultura e a consuetudini (l’età per sposarsi), che segnano potenzialità, status e obblighi, nel passaggio da una fascia d’età, a quella successiva. I confini-soglia sono normalmente «oggettivi» e, almeno nel medio periodo, immutabili e immutati. Ma, dice Blangiaro, se il «cammin di nostra vita» …. si muove sotto i nostri piedi, servono confini mobili !
Il Professore suggerisce di sfruttare al meglio l’intervallo di età in cui si ha ancora da spendere il 15-20% della propria vita, ovvero di rendere ancora attiva l’età che, fino a poco tempo fa, era considerata di solo riposo.
Una nuova era del pensionamento, dunque, laddove l’individuo possa ancora impegnarsi costruttivamente, invece che uscire totalmente di scena. Sebbene abbia trovato questo concetto assolutamente condivisibile, non credo in una sua accezione di tipo universale, ma, se mai, esclusivamente individuale.
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Tutto quello che ha illustrato il Prof. Blangiardo è stato molto chiaro e sopratutto molto utile, per capire a fondo il problema, dalla sua origine, fino ai suoi effetti, nel lungo periodo. Questa analisi ci aiuta, ma non basta.
Manca la comprensione della profonda modificazione che si è prodotta, prima nelle menti e poi nei comportamenti umani, da un certo momento in poi.
Il dato statistico ci dice quando e come, ma non ci dice il perché.
Ricercare questo perché spetta adesso a noi e trovarlo rappresenterà la soluzione. Così come è stato possibile che abitudini millenarie siano state rovesciate in pochi decenni, sono convinta, che altrettanto potrà prodursi, in misura eguale e contraria, se solo dovesse, dinuovo, cambiare qualcosa.
Che cosa? Una idea, un mito, una moda, una tendenza, una morale. Anche una piccola cosa. Ma l’inverno non mancherà di trasformarsi in primavera.
Firenze, 19 febbraio 2024
Stefania Celenza