Il nuovo atteggiamento di apertura all’impiego libero della ragione induce gli uomini ad acquisire una coscienza individuale e collettiva della propria identità. Questo nuovo atteggiamento si incarna nella guida intellettuale di Niccolò Machiavelli, che segna un solco lungo il quale si determina il definitivo affrancamento della ragione dai presupposti culturali del Medioevo. Si tratta di un percorso che giunge anche a toccare gli estremi di un negazionismo anticattolico e antireligioso che, invero, non era nelle reali intenzioni dello scrittore e uomo politico fiorentino.
Il movimento di idee che punta all’affermazione dell’indipendenza interpretativa sul mondo da parte degli uomini attraverso l’impiego della razionalità, induce a una rivolta contro le autorità e contro il Passato. Il Papa e l’Imperatore, che rappresentano le parvenze politiche di quel Passato, sono però troppo deboli ormai e incapaci di opporre una difesa autorevole.
Nella seconda metà del Cinquecento, però, l’Italia torna a perdere la propria indipendenza politica e la propria libertà intellettuale. La pace di Cateau-Cambrésis del 1559 chiude un periodo di battaglie al termine del quale l’Italia cade sotto al dominio degli Asburgo di Spagna. Si tratta dell’inizio di una fase storica che ha conseguenze drastiche sull’organizzazione socio-politica ed economica della nostra penisola.
La struttura dell’Italia rimane ancorata al sistema delle corti che fanno capo a una forma di organizzazione economica che sfrutta le campagne. Si tratta di un sistema organizzativo ancora di tipo feudale, che presenta, anzi, un’accentuazione in senso autoritario e burocratico delle sue caratteristiche tradizionali.
Se la via aperta dal Machiavelli non fosse stata bloccata dagli sviluppi storici successivi, avremmo invece avuto uno Stato unificato sotto l’insegna di una patria virtuosa e retta da una Chiesa cattolica nazionale garante di una religiosità depurata dai vizi e dalla corruzione, inconciliabili con la purezza di spirito.
Le Riforme religiose hanno determinato un clima di ulteriore chiusura della libertà di pensiero. Dopo il Concilio di Trento e a causa dell’attività dell’Inquisizione si verifica l’imposizione coattiva della dottrina ufficiale. Si afferma un atteggiamento di intolleranza religiosa, a cui contribuisce anche l’educazione gesuitica. Gli uomini di pensiero, in quanto potenziali predicatori di rinnovamento, vengono perseguitati. E un maggiore rigore religioso generalmente viene osservato solo in apparenza.
È vero che la Restaurazione Cattolica ispira anche una letteratura incentrata sull’esaltazione delle virtù morali dell’uomo e sui valori cristiani dell’altruismo e della generosità, ma si tratta perlopiù di temi poetici esasperati e riproposti senza una convinzione sentimentale profonda.
Antitetica rispetto a questa produzione si presenta un’attività letteraria mossa da un movimento di opposizione alla Restaurazione e all’Inquisizione. Alcune importanti personalità mostrano un chiaro atteggiamento di rifiuto dei dogmi ecclesiastici, in aperta polemica con la Chiesa. Scienziati e studiosi, forti delle proprie scoperte che ribaltano i convincimenti ufficiali, combattono per la propria libertà di pensiero.
Alcuni intellettuali, nell’esprimere il proprio dissenso, elaborano delle soluzioni utopiche pacifiste che hanno come obiettivo quello di sostenere l’idea di una comunità universale di fedeli, in un’ottica cosmopolitica e di uguaglianza, retta dal proposito di eludere ogni barriera e ogni differenza in virtù del valore di una povertà materiale e di una sanità morale originari.
Nella Città del sole Tommaso Campanella, per esempio, descrive una repubblica immaginaria nella quale si risolvono definitivamente le ingiustizie grazie a una società impostata proprio sul rispetto del principio di uguaglianza tra tutti, che stabilisce che i beni materiali debbano essere condivisi in comune proprietà tra gli individui.
Il rifiuto di regole e di confini è un atteggiamento intrapreso anche da Giordano Bruno, convinto del valore superiore della filosofia che, muovendosi liberamente nell’ambito della ricerca del sapere, conduce l’uomo a fuggire dai condizionamenti e a rifiutare norme e modelli.
Va di pari passo questa ribellione (retta dall’ormai acquisita consapevolezza che la Terra, e quindi l’uomo, non stia al centro dell’universo) con l’apertura a un nuovo mistero e a un nuovo bisogno di cercare e di rielaborare nozioni e conoscenze.
Una profonda crisi delle certezze sta alla base dell’inquietudine percepita a causa della decostruzione di quanto già conosciuto e del ritorno di un senso dell’ignoto. Rotti gli equilibri rinascimentali, l’arte e la letteratura rivelano l’avanzamento di una nuova irrazionalità.
Si crea un vuoto nelle conoscenze, che nella mente degli italiani non viene ancora colmato da una coscienza consapevole della propria identità. Affinché potesse sorgere una collettività unita sotto l’insegna di un’unica patria, sarebbe stata necessaria la presenza di uomini sorretti da una sostanza morale e sentimentale pienamente compartecipata e convinta. Ma l’Italia del tempo scarseggia di uomini forti di verità e di fede nel bene.
In quei tempi si vanno formando in Europa gli Stati nazionali che consolidano la loro unità sul modello patriottico elaborato da Machiavelli. L’Italia invece non solo non raggiunge alcuna indipendenza né unità politica, ma perde anche il suo primato culturale e intellettuale.
Il fatto è che dopo un intenso periodo di sanguinose battaglie, l’epoca di relativa pace e di complessiva stabilità, per quanto non retta dalla conquista di autonomia né da libertà, viene accolta positivamente e non si ha neanche l’impressione che il dominio straniero sia poi così asfissiante.
Nel 1571 si verifica però un evento straordinario che rimette in gioco sentimenti e valori identitari sulla base del risorto entusiasmo religioso e della riaffermata superiorità della dottrina e dei valori cristiani. Il 7 ottobre di quell’anno, durante il corso della Guerra di Cipro, avviene uno scontro navale a Lepanto tra le flotte musulmane e quelle cristiane, conclusosi con una schiacciante vittoria dei Cristiani.
Alla conclusione della guerra prevarranno gli Ottomani, la cui vittoria finale permetterà loro di riconquistare Cipro che, all’epoca, si trovava sotto il controllo coloniale da parte della Repubblica di Venezia. Ma la Vittoria di Lepanto riportata dai Cristiani, uniti nella Lega Santa, un’alleanza siglata da Venezia, Papato e Spagna contro i Turchi, rappresenta il momento in cui si decreta il prevalere del controllo marittimo da parte degli Occidentali nel mar Mediterraneo a svantaggio del Medioriente.
È soprattutto di carattere religioso l’importanza della vittoria nella Battaglia di Lepanto. Il Pontefice Pio V aveva benedetto lo stendardo consegnato al Duca Marcantonio Colonna di Paliano in partenza per la battaglia, raffigurante il Crocifisso posto tra gli apostoli Pietro e Paolo e riportante il motto “In hoc signo vinces”, che originariamente, nel IV secolo d. C., era apparso in cielo accanto all’immagine di una croce all’imperatore Costantino, quando questi era impegnato nella lotta contro Massenzio, usurpatore del trono imperiale.
La flotta cristiana, sotto il comando del Principe Don Giovanni d’Austria, viene guidata da una nave ammiraglia sventolante proprio quello stendardo. Alle prime urla che annunciano l’avvio imminente delle ostilità, tutta la flotta cristiana si unisce in preghiera chiedendo intercessione a Gesù Cristo e alla Vergine Maria.
Alle ore 12 di quel 7 ottobre, Pio V ha una visione che gli annuncia e gli rivela la vittoria dei Cristiani. Egli allora esclama: “Sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione dell’Augusta Madre del Salvatore, Maria Vergine Santissima!” Da quel giorno è convenzione che ogni giorno, a mezzogiorno, le campane delle chiese cristiane suonino a festa. Per decisione dello stesso Pio V il giorno 7 ottobre, da allora, è dedicato alla Beata Vergine Maria Madre del Rosario.