Commissione 10 – Sicurezza dei cittadini e Difesa dello Stato

Commissione 10 – Sicurezza dei cittadini e Difesa dello Stato

È vitale riscattare il controllo del territorio e la capacità di fare la guerra per far rinascere l’Italia come uno Stato indipendente e sovrano..
 
CoordinatorePietro Gianassi
 
Membri titolariEuro Rossi, Antonella Sarri, Dario Serraiotto, Maurizio Calderoni, Luca Berti,Vincenzo Pastormerlo.

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Testo di riferimento per la Commissione 10

 

Sicurezza dei cittadini e Difesa dello Stato. Per salvaguardare lo Stato di diritto e la democrazia sostanziale è vitale disporre di Forze dell’Ordine efficienti per assicurare il controllo del territorio e di Forze di Difesa adeguate capaci di fare la guerra per salvaguardare l’Italia come Stato indipendente e sovrano.

 

È finita l’epoca storica avviata dopo la fine della Seconda Guerra mondiale con la spartizione del Mondo tra due blocchi militari e ideologici. Siamo in una fase di transizione in cui lo spartiacque tra due epoche è quella che possiamo definire la prima guerra biologica e genetica mondiale. A scatenarla è stata la grande finanza speculativa globalizzata che fa riferimento agli Stati Uniti insieme alla Cina capital-comunista che è la superpotenza mondiale prima produttrice di tutto, diffondendo un virus creato in laboratorio; inoculando dei sieri di terapia genica sperimentali fraudolentemente spacciati per vaccini anti Covid-19; strumentalizzando politicamente la pandemia per imporre una dittatura finanziaria, sanitaria e mediatica, colpendo in modo particolare le popolazioni dell’Europa e del Mondo ricco che sono prevalentemente anziane e che pertanto gravano in modo rilevante sul sistema assistenziale nazionale, e in cui la mano d’opera è molto più costosa. L’Europa in particolare e l’Occidente in generale hanno subito una devastazione economica, una destrutturazione sociale, un deterioramento delle condizioni fisiche e psichiche dei cittadini le cui conseguenze sono paragonabili a quelle di una vera e propria guerra mondiale.

L’Italia e gli italiani stanno subendo una guerra. È una guerra scatenata a livello mondiale anche se non viene definita la «Terza guerra mondiale»; è una guerra non dichiarata ma reale; è prevalentemente virtuale ma ugualmente violenta; non è una guerra circoscritta negli obiettivi da perseguire ma è di portata strategica finalizzata a cambiare radicalmente il mondo e l’umanità; è una guerra graduale ma dalle conseguenze letali.
Questa inedita guerra mondiale provoca morti fisiche e morti interiori, come si ci attenderebbe dalla più evoluta bomba “pulita” al neutrone, che uccide la vita e fa sopravvivere la materia; abbatte le frontiere e scardina gli Stati nazionali; distrugge l’economia reale e accresce la povertà tra la popolazione; fa venir meno la democrazia sostanziale e lo stato di diritto; sconquassa il modello sociale e porta alla denatalità aggredendo l’istituto della famiglia naturale; distrugge il sistema di valori diffondendo il relativismo; promuove l’invasione di clandestini favorendo la sostituzione etnica e l’islamizzazione dell’Europa.

Le Forze armate, abolito il servizio di leva che diffondeva l’amore per la Patria e inculcava il senso del dovere e della responsabilità nei confronti della Nazione, assicurando un esercito di cittadini pronti a difendersi su tutto il territorio nazionale, si sono ridotte a svolgere operazioni di «mantenimento della pace» in aree instabili, come l’Afghanistan, i Balcani e il Libano, mentre si evita in tutti i modi di impegnarsi militarmente anche laddove sarebbe vitale, come in Libia per stabilizzare uno Stato da decenni vitale per la sicurezza del Mediterraneo e in particolare per l’Italia, essendo stato il nostro principale fornitore di fonti energetiche e il nostro principale importatore di prodotti e tecnologia in Africa.
La verità è che le nostre Forze armate, che non godono di una sovranità decisionale avendo affidato dal dopoguerra la difesa dell’Italia agli Stati Uniti e alla Nato, che sono stremate dai continui tagli al proprio bilancio che condiziona la selezione delle aspiranti reclute, risultano formate da validi professionisti stipendiati che ai livelli operativi danno prova di competenza ed efficienza, ma ai livelli iniziali – come avviene in un’azienda privata o nella pubblica amministrazione – ci sono dei precari frustrati che non hanno né lo spirito né i mezzi per combattere efficacemente delle vere guerre.
Alla luce di questo quadro, l’impiego continuativo delle Forze armate in operazioni proprie delle Forze dell’ordine nel pattugliamento delle città o recentemente di supporto logistico in operazioni sanitarie proprie della Protezione civile, si configura come un utilizzo di ripiego rispetto alla finalità istituzionale di difendere i confini nazionali e salvaguardare l’Italia come Stato nazionale indipendente, dotandosi della capacità militare per affrontare una guerra sia nel caso di aggressione scatenata da un nemico esterno sia nel caso di intervento al di fuori dei nostri confini per reprimere sul nascere un’azione violenta ai danni dell’Italia.

L’articolo 11 della Costituzione recita:
«L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Nell’Italia che usciva sconfitta, distrutta e affamata dalla Seconda Guerra mondiale, i cosiddetti “padri costituenti” usarono il verbo «ripudiare» per condannare non solo politicamente ma anche moralmente il ricorso alla guerra; prefigurarono limitazioni di sovranità che erano già vigenti avendo sin da allora l’Italia affidato la propria difesa principalmente agli Stati Uniti concedendole basi militari sul nostro territorio nazionale; accreditarono le Nazioni Unite come l’organizzazione internazionale garante della pace nel Mondo.
Ebbene tutte queste scelte sono storicamente infondate e politicamente lesive dell’indipendenza e della sovranità dello Stato, ritorcendosi negativamente sulla salvaguardia della sicurezza, della dignità e della libertà degli italiani.
Nella Storia la guerra è una costante, non è un accidenti. Piaccia o meno l’uomo ha sempre fatto la guerra per conquistare, imporsi, sfruttare e sottomettere. L’idea del “buon selvaggio”, dell’uomo che per sua natura è buono e che sarebbe diventato malvagio a causa della civiltà e del progresso, è contraria alle scienze umane, alla realtà storica e persino della teologia che connota il bene e il male come intrinseci alla creazione divina.
Quindi se realisticamente si vuole salvaguardare la pace bisogna disporre di un proprio Esercito adeguato a difendere lo spazio vitale dello Stato, ottemperando all’antica massima romana «Si vis pacem, para bellum».
Non c’è dubbio che furono le Forze anglo-americane a liberare l’Italia dal regime fascista alleato con la Germania nazista. Ma il debito di gratitudine non avrebbe mai dovuto tradursi nell’accettazione della sostanziale occupazione militare dell’Italia da parte di basi americane e della Nato. A quasi 80 anni dalla fine della Seconda Guerra mondiale è ora che l’Italia si doti di proprie Forze armate e di Sicurezza adeguate a fronteggiare le minacce reali e virtuali, affrancandoci dalle strategie degli Stati Uniti che spesso si scontrano con il nostro autentico interesse nazionale, così come emerge anche con la guerra in corso in Ucraina.

In questo contesto le Forze dell’ordine sono state abbandonate a se stesse, dopo averle private delle risorse umane e materiali, della tutela legislativa e giudiziaria necessari per poter adempiere in modo adeguato alla funzione istituzionale di tutelare la vita e i beni dei cittadini, più in generale di garantire la sicurezza dello Stato messa a repentaglio dalla violenza della criminalità organizzata nazionale e transnazionale e del terrorismo autoctono ed islamico, favoriti dal lassismo e dalla connivenza dello Stato, che si alimentano della crescente crisi valoriale e identitaria, nonché della incontenibile rabbia e frustrazione sociale specie quella giovanile.
In uno Stato di diritto il poliziotto rincorre e acciuffa il criminale che viola la legge, neutralizzandolo e se necessario uccidendolo, pienamente legittimato dalla legge stessa a tutela della vita dei singoli e del bene comune della collettività.
In Italia il criminale rincorre e aggredisce violentemente il poliziotto, con il tacito assenso della legge e con il sostegno delle istituzioni che il poliziotto è chiamato a tutelare, mentre al poliziotto si vieta di usare la forza legittima delle armi non solo a tutela delle istituzioni ma persino per difendere se stesso.
Se il criminale viene ferito o ucciso, tutti denunciano e tutti condannano il poliziotto. Ma se è il poliziotto a restare ferito o se dovesse essere ucciso, tutti lo considerano un fatto normale se non addirittura positivo, espressione di un comportamento saggio e persino civile, da apprezzare ed elogiare.
La drammatica situazione in cui versano le nostre forze dell’ordine è lo specchio fedele del degrado morale di chi ci governa e del fallimento di questo modello di Stato, di sviluppo e di società. Le forze dell’ordine sono l’estremo argine che tutela le istituzioni dello Stato. Se le si abbandona a se stesse e addirittura si favoriscono i criminali che usano la violenza contro lo Stato, significa che siamo votati al suicidio.

“La Mafia è infiltrata nello Stato al punto che lo Stato è colluso con la Mafia”. Queste le parole dette nel dicembre 2013 a Torino dal magistrato Antonino Di Matteo: «Ancora lo Stato non ha dimostrato con i fatti la volontà di recidere i legami con la Mafia. Per questo non riusciamo ancora a vincere la guerra».
«Per vincere la mafia, infiltrata nell’amministrazione pubblica, e la corruzione l’Italia deve affrontare un’altra grande guerra di Liberazione, di forza non così diversa da quella che vide questa città in prima fila», ha sostenuto Di Matteo, Pubblico ministero alla Procura di Palermo, specificando che la Mafia «pericolosamente si annida sempre più all’interno delle amministrazioni pubbliche».
A suo avviso il nostro Paese «si è dimostrato inadeguato a combattere la Mafia e ancora il quadro normativo in vigore garantisce impunità, come nel caso della prescrizione, che delegittima tutti quei cittadini che chiedono trasparenza. La lotta a Cosa Nostra non spetta solo al giudice penale: non è più concepibile delegare alla sola magistratura la battaglia contro la criminalità organizzata».

Qui di seguito propongo un testo elaborato nel 2009 da una Commissione del “Centro per la Riforma Etica delle Istituzioni” costituito in seno al Partito politico “Io amo l’Italia” fondato da Magdi Cristiano Allam.

Il problema della sicurezza in Italia ha assunto una tale rilevanza che l’intera materia è oggetto ormai da tempo di continui ma purtroppo fino ad ora sterili dibattiti politici. La percezione del cittadino sia nei grandi sia nei piccoli agglomerati urbani è quella di vivere in un paese in cui la propria sicurezza è quotidianamente a rischio. Tutti quei fenomeni criminali che vengono ancora oggi minimizzati con la “rassicurante” definizione di micro- criminalità (quasi fosse un piccolo e tutto sommato inevitabile prezzo da pagare alla civile convivenza), rappresentano invece la fonte di preoccupazione primaria per tutti i cittadini italiani e stranieri. La risposta dello Stato risulta del tutto carente sia sotto un profilo normativo, con una inadeguata legislazione penale, processuale e di P.S. sia sotto un profilo organizzativo e materiale degli apparati preposti alla sicurezza dello Stato.
Riteniamo pertanto assolutamente prioritario procedere ad una seria revisione legislativa e strutturale di tutto ciò che rientra nel pacchetto sicurezza, proponendo delle modifiche consistenti ed articolate volte alla riorganizzazione ed armonizzazione dei cinque organi di polizia che garantiscono attualmente la sicurezza a livello nazionale (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale e Polizia Penitenziaria).
Dopo aver analizzato a fondo la questione di un’eventuale unificazione delle due principali forze di polizia (PS e Arma dei CC), pensiamo che, in questa fase, la soluzione ottimale sia quella di prevedere il mantenimento di entrambe ma con una reale e finalmente chiara suddivisione dei compiti. Così facendo si garantirebbe, da una parte, un trasparente controllo democratico sulla attività di polizia, attuato tramite il reciproco controllo e il coinvolgimento di una pluralità di soggetti politico-istituzionali (Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa, Presidenza del Consiglio). Dall’altra, si giungerebbe alla la creazione di tre tipologie di operatori di polizia: “generalista”, “specializzato” e “speciale”.
Attualmente l’attività di polizia generalista (che si occupa del 70-80% dei reati), polizia specializzata e polizia speciale viene svolta contemporaneamente da PS e CC e in parte dalla GdF con più di duecentomila agenti. Per questo motivo, e nonostante la legge 121/81, si sono create sovrapposizioni non più tollerabili (doppie e triple centrali operative in ogni capoluogo di provincia e presenza di tanti uffici con gli stessi compiti, tanto per fare un esempio). Tutto ciò comporta un ingente spreco di risorse, insostenibile ormai anche per un paese ad economia avanzata come l’Italia.
La nostra proposta individua il Carabiniere come soggetto di polizia a carattere generalista, per il suo profondo radicamento e diffusione sul territorio nazionale (oltre 4600 presidi operanti nell’ambito dei circa 8100 Comuni), e a tal fine l’Arma andrebbe a presidiare in esclusiva tutti i Comuni che non siano capoluoghi di Provincia. Inoltre sul piano pratico si dovrebbe procedere alla soppressione di tutti i Comandi intermedi tra la Stazione e il Comando Generale (Comando Compagnia, Gruppo, Provinciale e Regionale) con la sola eventuale creazione di una snella struttura interregionale per il Nord, il Centro e il Sud che funga da direzione e controllo. Scioglimento inoltre dei reggimenti e battaglioni carabinieri con il passaggio di tutto il personale alle 4600 stazioni a diffusione, come detto, subprovinciale. Gli ufficiali di grado inferiore (fino al grado di capitano) verranno messi a capo delle Stazioni mentre a quelli di grado superiore verrà concessa la possibilità di transitare nella PS (a parità di prerogative), nelle Forze Armate o al prepensionamento (ove possibile). Questa normativa relativa agli ufficiali risulta di carattere transitorio poiché, una volta a regime, tutte le Stazioni saranno comandate da Marescialli. L’addestramento sarà adeguato al ruolo svolto ed il livello retributivo dovrà raggiungere standard europei, nella prospettiva di un calo degli organici.
Con questa struttura si eviterà anche l’attuale e costosa proliferazione delle polizie locali e provinciali, con compiti sussidiari rispetto alle Forze di polizia.
La creazione invece di una polizia specializzata deve obbligatoriamente basarsi sulla P.S. per la sua specifica suddivisone funzionale (Ordine pubblico, Polfer, Polizia Stradale, Polizia Scientifica, Digos, Criminalpol ecc.). Caratteristica che verrebbe ulteriormente rafforzata dall’accorpamento degli altri corpi di polizia (GdF smilitarizzata, Corpo Forestale e PolPen) e di alcune loro specialità. La PS dovrebbe a tal fine essere invece presente esclusivamente nei capoluoghi di Provincia. Gli operatori dovranno seguire un addestramento specifico per poter raggiungere livelli di eccellenza nel rispettivo settore di competenza, anche per poter sostenere nei casi più complessi i colleghi della polizia generalista.
La polizia speciale, invece, dovrebbe – per poter efficacemente affrontare la minaccia del terrorismo interno ed internazionale – modellarsi sulla falsariga della DIA con l’accorpamento degli esistenti reparti speciali, il NOCS della PS, il GIS dell’Arma e il GICO della GdF. Essa sarà presente in alcune aree geografiche strategiche per garantire un intervento tempestivo ed in tempo reale.
Porre fine alla politica […] della sostanziale tolleranza nei confronti della criminalità organizzata, dalla mafia alla camorra […]
Riteniamo che poter efficacemente estirpare il cancro che soffoca ancora oggi una parte importante del territorio nazionale occorra innanzitutto “risensibilizzare’’ la politica sul tema della lotta alla criminalità. Senza infatti una reale volontà politica non si può certo immaginare di colpire al cuore le organizzazioni criminali.
Bisogna innanzitutto giungere in tempi rapidi alla redazione di una raccolta organica dell’intera legislazione antimafia (norme di diritto penale, processuale, amministrativo, penitenziario etc.), cosa mai avvenuta fino ad oggi. Non si può infatti pensare di continuare ad avere una legislazione disomogenea e conflittuale che ha le sue origini in interventi affrettati effettuati quasi sempre sull’onda emozionale dei c.d. omicidi eccellenti. Le ottime norme antimafia (Rognoni La Torre, la normativa anti riciclaggio del D.L. 03/05/1991, il cd Decreto Martelli del 1992 tanto per fare un esempio) vanno razionalizzate in modo da diventare uno strumento efficace di scardinamento della realtà mafiosa a tutti i livelli.
A ciò si aggiunga l’assoluta necessità di riportare tale legislazione (ispirata in parte dal giudice Falcone), al periodo 1992-1993 poiché oggi essa è diventata, grazie all’introduzione di norme garantiste, solamente l’ombra di se stessa. Tali norme garantiste che nulla hanno a che fare con la tutela dei diritti dei cittadini dovranno essere, sic et simpliciter, abrogate.
L’armonizzazione e il potenziamento delle norme legislative devono andare di pari passo con l’ammodernamento e potenziamento delle forze dell’ordine sul territorio. La proposta di riorganizzazione delle forze di polizia esposta in precedenza va proprio in questa direzione. Crediamo anche che, il lavoro investigativo antimafia, debba estendersi anche al di fuori del territorio nazionale, rafforzando e facilitando le procedure di collaborazione con le polizie di quei paesi europei e non interessati da infiltrazioni mafiose di origine italiana.
Lo Stato deve riappropriarsi fisicamente del territorio con una presenza continua e capillare nelle città e nelle campagne. Gli uomini in divisa dovranno diventare quello scudo protettivo di cui i cittadini onesti hanno un disperato bisogno. L’esperienza ha dimostrato che quando lo Stato si comporta da Stato il cittadino anche più timoroso si schiera dalla sua parte.
Per quanto riguarda invece la criminalità comune, quella “politica”e quella di matrice ideologica pensiamo che l’intervento debba tendere ad una profonda modifica delle norme giuridiche in senso restrittivo. Dovranno essere eliminate tutte quelle leggi che, intrise di un malinteso senso del perdonismo e del recupero a tutti i costi del delinquente, hanno determinato l’incertezza della pena. In un paese civile la pena deve tornare ad essere certa, sotto tutti i punti di vista, e non lasciare alla magistratura una così ampia discrezionalità nella sua applicazione.

Marialuisa Bonomo
Vice-Presidente della Casa della Civiltà e Assistente personale di Magdi Cristiano Allam

Mercoledì 11 maggio 2022

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