Gay after, il giorno dopo la pagliacciata interminabile di Sanremo. È cominciata, come fanno sempre i finti vittimisti che detengono il potere, l’Operazione Martirio Preventivo di Amadeus e di tutta la cupola Rai per prevenire ogni decisione di cambiare gli assetti dopo la vomitevole performance del Festival. Proviamo a fare un ragionamento serio, senza sconti per nessuno e senza proclami.
Per cominciare, è del tutto inaccettabile pensare che i grandi ascolti legittimino ogni cosa e creino una corazza invulnerabile ai suddetti satrapi della Rai. E non solo perché lo share sale ma diminuiscono da anni gli ascoltatori; né solo perché la Rai è un servizio pubblico, dovrebbe essere l’azienda culturale del Paese, e dunque non può ridursi a una fiera del bestiame dove quel che conta è solo il numero di bestie e visitatori; ci sono altri criteri di valutazione oltre la quantità. Ma arroccarsi sugli ascolti non funziona per una ragione specifica: gli ascolti non sono l’equivalente democratico dei voti perché non indicano consenso. L’equivalente televisivo del voto, al più, è l’indice di gradimento. Invece sappiamo che in quel numero rilevante di spettatori non c’è l’adesione di massa all’Italia fluida e demente che è sfilata con i suoi carri allegorici a Sanremo: c’è chi osserva il Festival per pura curiosità o per il piacere delle canzoni e c’è chi segue indignato, per vedere fino a che punto arriva il degrado. Se si prevede che quel cantante tirerà fuori i suoi organi genitali in diretta o quel presentatore prenderà a pugni sul palcoscenico l’ospite, vedete che ascolti bulgari farà il programma, che già gode di un’ipervisibilità mediatica senza precedenti.
Dunque i numeri elevati di ascolto non sono una legittimazione dei contenuti e un salvacondotto per chi va in video. Vanno bene per il mercato, non sono indici di consenso democratico, tantomeno di qualità.
All’obiezione seguente di Amadeus che chi non ama Sanremo poteva non vederlo, era libero di vedersi un film, oppongo due cose: anche se non vuoi vedere Sanremo, è Sanremo che invade te, attraverso i tg, gli speciali, la radio, i social, i gossip, che entrano nella tua vita. Prendete ad esempio il tg1, costruito interamente su Sanremo con piccole piazzole di ristoro, fatte di altre notizie, ma poi si tornava a Sanremo. Tu potevi anche non vedere Sanremo, ma Sanremo vedeva te, e ti inondava.
E poi, se la piazza d’Italia è interamente concentrata su Sanremo, se la politica e il governo vengono coinvolti, se il Festival diventa la questione centrale del Paese, è comprensibile che pure chi non condivide per nulla le performance fintotrasgressive sanremesi, lo segua per esercitare il suo diritto di critica e dissenso.
Ora, però chiediamoci, qual è il problema civile, culturale e politico che resta? Un programma di un servizio pubblico pagato da tutti, in una fascia di massimo ascolto e in un canale che si reputa principale, universale, alla portata di tutti, esprime opinioni, pose, messaggi, sermoni, piazzate tutte in un solo senso. Non c’è stato un messaggio, per dire, in favore della famiglia o della maternità, ma sempre e solo messaggi e proclami di segno opposto. Non discuto se siano giusti o no; a me fanno vomitare, ma non nego la libertà di esprimere opposti gusti e opinioni, pur così divisive. Se lo fai da una tua rete privata, su un media sostenuto dai tuoi sponsor e followers niente da dire. Ma se lo fai in una tv pubblica, allora le soluzioni sono di tre tipi: o rappresenti gli orientamenti di tutto il paese e non solo di una parte; o metti da parte ogni orientamento, anche subliminale, e fai puro intrattenimento; o lottizzi l’informazione pubblica e fai una rete o un programma orientato in quel senso e un altro in senso opposto.
Ci sarebbe una quarta soluzione, nel segno dello spoil system: chi vince spazza via gli avversari e si assume la responsabilità di fare una comunicazione con i suoi uomini e temi. Poi quando vinceranno gli avversari, faranno altrettanto. Quest’ultima soluzione sottopone il paese a un bombardamento alternato, che è pessimo quasi quanto quello a senso unico che viene praticato ora.
Allora restano le prime tre ipotesi: o l’intrattenimento viene sterilizzato da tutti i proclami e torna alle origini, puro spettacolo & canzonette, ma poi si deve esercitare una forte vigilanza su ogni intemperanza; o viene lottizzata per temi e tu sai che, per dire, sulla rete A ci sono orientamenti governativi e nella rete B quelli di opposizione. Oppure, ancora, impegni chi fa Sanremo a rappresentare tutti i gusti e le tendenze del paese, inclusa quella della maggioranza silenziosa, del sentire comune, della cosiddetta normalità.
Fin qui il discorso fila liscio e in ogni caso conduce a una condanna dell’attuale conduzione della Rai a tutti i livelli e a un necessario ricambio. Dove s’inceppa invece il discorso? Quando devi proporre in ogni caso una soluzione alternativa o un bilanciamento integrativo. Larga parte dello spettacolo è conformata a quella “ideologia”. E allora? Qui entra in gioco anche l’incapacità storica dell’altro versante di coltivare profili, temi, strategie, autori alternativi. E mi riferisco non solo alla destra politica, totalmente assente su questi temi, come del resto i leghisti; ma anche al principale imprenditore di spettacolo in Italia, Berlusconi. Le sue reti, a parte l’ossequio al Padrone e di conseguenza al suo partito, sono il primo livello scolastico di quel tipo di televisione finto-trasgressiva che poi si laurea a Sanremo. Tanti format e programmi sono stati in passato e sono ancora oggi orientati in quella direzione, costituiscono il preambolo, l’avviamento al mondo arcobaleno, fluido e simil-trasgressivo. A partire dai santi patroni di quella Tv, Maurizio Costanzo e Maria De Filippi, poi il Grande Fratello e così via, per scendere ai più recenti.
È questo il punto debole di tutto il discorso, che conferma la critica ma indebolisce i rimedi. Poi dice che uno è scontento e si sente all’opposizione anche quando c’è un governo di destra…
La Verità – 14 febbraio 2023
Gay after a Sanremo
Gay after a Sanremo
Non mi interessa condannare da un punto di vista politico o moralistico una trasmissione di intrattenimento come Sanremo. Anzi, più che di intrattenimento, la chiamerei una trasmissione di orientamento. Il fine di queste trasmissioni non è quello di intrattenere o svagare un popolo che ha lavorato tutta una settimana e ad una certa ora si vuole rilassare ascoltando belle canzoni e vedendo scenette umoristiche come nobilmente accadeva con i varietà dei sabato sera degli anni 60-90.
Le trasmissioni di orientamento come Sanremo vogliono inculcare comportamenti e mode nelle masse. E quindi renderle docili e duttili a certi modelli antropologici. E quali sono, di grazia, tali modelli ai quali il potere economico politico che gestisce la RAI ci vuole conformare? Il modello dell’anticonformismo nella sua versione retorica e ridicola, fatta di trasgressione sessuale scema e di indiretto attacco ai valori tradizionali della famiglia. Per inciso, il vero anticonformista non ha bisogno di modelli da indossare. Egli è anticonformista non per scelta intellettuale ma per la sua libera natura.
I capi politici che danno ordini a Sanremo e ad altre trasmissioni hanno l’obiettivo di distruggere la famiglia poiché la considerano un baluardo di resistenza al “nuovo mondo” che hanno progettato. Non si tratta solo di distruggere i valori di solidarietà delle autentiche famiglie ma di sterminarle in quanto rappresentanti di quel nucleo di piccola imprenditoria a carattere familiare: un grosso ostacolo per la supremazia totale dei supermercati nel tessuto sociale. Non è più ammessa l’autarchia alimentare. E lo spingere gli individui verso ogni tipo di omosessualità ha la funzione di allontanare gli esseri umani dalla continuazione della specie umana entro i confini dei valori familiari, che da millenni si fondano fondalmente, sulla solidarietà.