Quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi.
(Lord Byron)

Noi viviamo per dire sempre addio.
(Rainer Marie Rilke)

Perdere nell’aria
Il profumo di un incontro
Vivere
Un addio consumato nel silenzio
L’eco di anime terribilmente indivise
Nel gelo della paura
Momenti bui
Colori una volta così teneri
Petali di primavera
Rimpianti di tutte quelle ore
Trascorse a osservare
Le stesse nuvole bianche
Gli stessi profili della riva
Gli stessi mormorii della risacca
E poi quell’inattesa
Amara solitudine
Rotta solo dai gridi scomposti dell’ultimo gabbiano del molo
Era forse scritto nella pioggia di quel giorno
Quell’abbandono incerto
Mai confessato
Mai tradito
Una palude di delusione
Rinchiusa in una valigia di ricordi
Corpi mutilati nella landa deserta dell’oblio
Un cumulo di intense emozioni
Sfide al limite della follia
Sofferenze sepolte fra le rughe impietose del tempo
Qualche rado lampo di luce
In un vago
Tempestoso
Ricorrente frammento di sogno

Alto e massiccio, i capelli fluenti sulle spalle, l’occhio fiero e dignitoso da antico moschettiere, pare un personaggio balzato alla realtà dalle pagine vive e avventurose di Alessandro Dumas”. Così il critico d’arte Antonino de Bono descrive il maestro di levatura internazionale Rino Pianetti, “pittore della realtà”, da alcuni definito anche “il Caravaggio contemporaneo … Originario della Valle Brembana, Rino Pianetti nasce a Sesto San Giovanni il 19 aprile 1920 e trascorre la sua infanzia fra i nonni materni a Tirano, in Valtellina, e i genitori a Milano. È qui che viene a contatto con la dura e cruda realtà della città moderna, della nascente metropoli: la macchina industriale, le vie trafficate, il divario fra ricchezza e povertà, tra vecchio e nuovo, la malavita, la prostituzione. Un mondo lontano e diverso da quello pacifico e generoso della baita di Dom Bastone, in Valtellina, o degli alpeggi brembani che è solito visitare in compagnia del padre…
“Sono stato un bambino ribelle, indisciplinato, non amavo la scuola, mi piacevano solo l’italiano e il disegno”, così si rivela nel 1982 in un’intervista per la rivista d’arte Italia Artistica. “Se non è retorico dirlo, sono proprio nato con il sacro fuoco: in quinta elementare ho fatto il ritratto alla maestra, tutto di getto. Ero pieno di inventiva, forse disegnavo meglio di adesso, avevo un segno rapido, immediato. Quando avevo diciotto anni mio padre non voleva saperne: macché pittura, bisogna lavorare! Così cominciai a vendere – non per niente vengo da una famiglia di commercianti – e presto mi resi indipendente”.
http://bergamosegreta.blogspot.com/

Foto di copertina: Rino Pianetti, Nudo (1975)

Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.

È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.

Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.

Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.

Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.

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