Arlecchino è un misto di ignoranza, semplicità, arguzia, goffaggine e grazia. Non è tanto un uomo adulto quanto un grande bambino con barlumi di razionalità e d’intelligenza.
(Jean-François Marmontel)
Diavolo burlone
Dal ghigno nero del re dell’inferno
Umile menestrello di antiche saghe di palazzo
Maestro di lazzi e scompigli
Piroette cortigiane
Giochi
Frizzi e facezie
Fughe vivaci e scanzonate
Acrobata e saltimbanco
Sciocco arguto e villano
Servo stravagante e scapestrato di avidi
Taccagni padroni
Siamo sempre stati un poco della tua spensierata gaiezza
Triangoli di colori sui tuoi vestiti rattoppati
Losanghe di pensieri ingenui e sciocchi
Il tuo corpo
Disteso
Immobile fra i monti e le pietre di questa terra
Racconta un poco il senso di questo scherno fatale
La fine di tutte le burle del mondo
Il sipario chiuso sulla ardita
Insolente beffa della menzogna
Siamo al tuo fianco
Arlecchino
Nobile
Briosa maschera della nostra ironia
Angelo innocente della nostra anima bambina
Inchinati in pietosa preghiera
Stupiti e estasiati
Da quel bagliore celeste
Nel vortice
Sconosciuto e solenne
Dei misteri del cielo
La maschera di Arlecchino ha origine dalla contaminazione di due tradizioni: lo Zanni bergamasco da una parte, e “personaggi diabolici farseschi della tradizione popolare francese”, dall’altra la maschera seicentesca evoca il ghigno nero del demonio presentando sul lato destro della fronte l’accenno di un corno.
Arlecchino ha un nome che, per il suo vestito a losanghe colorate, è diventato nella lingua italiana sinonimo di ‘multicolore’. Il suo nome è ripreso, forse, da quello di Hellequin, un diavolo buffone del Medioevo francese, e inizialmente connotava un poveretto, stupido e pronto a” menare le mani”.
Foto di copertina: Elio De Luca, “La morte cosmica di Arlecchino”
Questa rubrica “Sciaveri di tregua” desidera istituzionalizzare la registrazione costante dei pochi ma intensi momenti di riflessione che mi vengono suggeriti in tempo reale in parte dall’osservazione e dalla traduzione poetica di immagini particolari con cui la realtà si manifesta e in parte dalla immancabile dose di esperienza specifica che l’età matura può aggiungere a questa attenta osservazione.
È abbastanza incredibile quanto sia in questo contesto assai prezioso, soprattutto dal punto di vista spirituale, l’affinamento che a questa osservazione si affianca nell’intento di popolare di piccole ma vitali suggestioni le esigue pause spirituali che, con forzata parsimonia, la realtà odierna nella sua corsa ci riserva.
Ho riscoperto il prezioso quanto dimenticato lemma “sciàveri ” per dare un nome a questi momenti, a queste osservazioni e a questi intensi ritagli di esistenza , definendo il termine “tregua” , dal sapore combattivo e guerresco, proprio per stigmatizzare la sconcertante sofferenza del corpo e dello spirito in questa quotidiana “tenzone” che tutti dobbiamo affrontare nel contesto della convivenza sociale e nel caos di questa corsa ad ostacoli , densa di episodi di “fatica” in un mondo in cui la realtà presenta fenomeni di effettive sfide temporali e fisiche oltre a un continuo sopravvenire di istanze etiche e spirituali, materia di problematiche irrisolte, nonché di dubbi esistenziali di non poco conto.
“Sciàveri di tregua” è quindi nato con l’ambizione di rappresentare un convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Attraverso pensieri tradotti in sequenze armoniche di parole , qualche volta attraverso ritmi melodici ed onomatopeici in cui si mescolano elementi naturali primordiali e sottili rumori di sentimenti umani , ho cercato di incontrare opere di amici noti o sconosciuti e di invocare il loro aiuto, la loro complicità , per indugiare su qualche immagine di questa turbinosa avventura del vivere gli anni del terzo millennio, in una gara senza pause, senza respiro e “apparentemente” senza alcun segno di pietà per chi rimane relegato a una vana attesa sul ciglio spesso tristemente disadorno e inospitale della strada.
Da artigiano della parola ho scambiato impressioni con solerti artigiani del suono, dei colori e dell’immagine (pittori, scultori , musicisti e fotografi) per scoprire quegli stimoli creativi condivisi che facilitano una risposta corale a una serie di interrogativi comuni alle varie “discipline artistiche”, cioè comuni all’interpretazione della realtà”.
Qualche volta ci siamo insieme domandati dove si voglia arrivare attraverso questa amabile scorciatoia con cui si tende a volere a tutti i costi eliminare le tregue, accelerare la corsa, bruciare tutte le tappe, comprese quelle più solenni e rituali come gli archetipi più sacri e celebrati dalla tradizione della vita e della morte. Qualche altra ci siamo soffermati sui valori tradizionali della nostra esistenza con attenzione e scrupolosa smania di descrivere i colori della realtà com’è o come vorremmo che venisse percepita attraverso il filtro della nostra mediazione spirituale, artistica ed umana.
Caro Salvatore,
Grazie della cortese attenzione alla mia raccolta di riflessioni che ho voluto chiamare “Sciàveri di tregua” quali momenti di pausa nel vorticoso succedersi di immagini e di osservazioni offerti dalla realtà quotidiana. Ho aggiunto a questi momenti una accurata introduzione che ho ripetuto più volte in calce ad ognuno di essi nel contesto di questa nostra amichevole e sodale rubrica. Ho parlato dell’importanza di questi ritagli di immagini vissute e della necessità di una tregua nella corsa talvolta troppo sfrenata e insensata imposta dal contesto globalizzato delle nostre istituzioni.
Per venire al dubbio legittimo da te esposto riguardo alla celebrazione di alcuni aspetti della figura di Arlecchino e alla sua collocazione nel contesto dei “Ritagli di tregua” vorrei solo richiamare quel convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Questo varrebbe a mio avviso sia per la figura di Arlecchino che per tutte le osservazioni che sono oggetto di questa mia raccolta.
Perché sciàveri? La figura di Arlecchino è entrata nella simbologia del vissuto e nella narrazione della nostra avventura umana come una grande opera scultorea e i ritagli della scultura stessa sono rappresentati dalle varie osservazioni, metafore e sensazioni scaturite intorno a questa mitica figura.
Perché tregua? La stessa figura si è proposta negli anni come una nobile forma e una utile consuetudine di tregua (di cui ogni umana creatura ha o avrebbe bisogno per godere dei benefici metaforici dell’immagine stessa)
Perché Arlecchino in questo contesto? Perché Arlecchino è un paradigma ben chiaro di un carattere nella storia dell’umano divenire e benché le nostre osservazioni siano solo umili ritagli di questa grande opera (questo dice anche la nostra introduzione) è sicuramente positivo che ci si fermi un momento a parlare anche di questi.
Spero di aver risposto alla tua legittima domanda di chiarimento circa il legame di questa mia riflessione con il termine sciàveri… In caso tu lo ritenga necessario possiamo parlarne ancora qui oppure altrove.
Un cordiale saluto
Continuo a non capire il termine sciaveri nel contesto…!
Caro Salvatore,
Grazie della cortese attenzione alla mia raccolta di riflessioni che ho voluto chiamare “Sciàveri di tregua” quali momenti di pausa nel vorticoso succedersi di immagini e di osservazioni offerti dalla realtà quotidiana. Ho aggiunto a questi momenti una accurata introduzione che ho ripetuto più volte in calce ad ognuno di essi nel contesto di questa nostra amichevole e sodale rubrica. Ho parlato dell’importanza di questi ritagli di immagini vissute e della necessità di una tregua nella corsa talvolta troppo sfrenata e insensata imposta dal contesto globalizzato delle nostre istituzioni.
Per venire al dubbio legittimo da te esposto riguardo alla celebrazione di alcuni aspetti della figura di Arlecchino e alla sua collocazione nel contesto dei “Ritagli di tregua” vorrei solo richiamare quel convinto, coerente e sentito invito a una sosta ferace dello spirito, intesa a lasciare a ciascuno la possibilità di riflettere intorno ai valori propri e intimi dell’esistenza , fatto non sempre concesso dalla realtà “accelerata” e nello stesso tempo “aumentata” dei nostri giorni.
Questo varrebbe a mio avviso sia per la figura di Arlecchino che per tutte le osservazioni che sono oggetto di questa mia raccolta.
Perché sciàveri? La figura di Arlecchino è entrata nella simbologia del vissuto e nella narrazione della nostra avventura umana come una grande opera scultorea e i ritagli della scultura stessa sono rappresentati dalle varie osservazioni, metafore e sensazioni scaturite intorno a questa mitica figura.
Perché tregua? La stessa figura si è proposta negli anni come una nobile forma e una utile consuetudine di tregua (di cui ogni umana creatura ha o avrebbe bisogno per godere dei benefici metaforici dell’immagine stessa)
Perché Arlecchino in questo contesto? Perché Arlecchino è un paradigma ben chiaro di un carattere nella storia dell’umano divenire e benché le nostre osservazioni siano solo umili ritagli di questa grande opera (questo dice anche la nostra introduzione) è sicuramente positivo che ci si fermi un momento a parlare anche di questi.
Spero di aver risposto alla tua legittima domanda di chiarimento circa il legame di questa mia riflessione con il termine sciàveri… In caso tu lo ritenga necessario possiamo parlarne ancora qui oppure altrove.
Un cordiale saluto