Cina: un opaco orizzonte verso Taiwan

Che l’attuale diplomazia statunitense mostrasse grossi limiti e poca lungimiranza è stato subito messo in evidenza con l’abbandono del contingente Usa (più alleati) dell’Afghanistan poco dopo l’insediamento di Joe Biden. Tralasciando ciò che sta accadendo sul fronte russo, dove Biden sta giocando la partita atlantica, ma soprattutto quella interna, di cui ho più volte trattato, la recente visita di Nancy Pelosi a Taipei – con il suo ruolo di presidente della Camera dei Rappresentanti e terza carica degli Stati Uniti – è stata interpretata, dalla Cina, come un riconoscimento diplomatico di Taiwan.

Il livello attuale di tensione tra Cina, da un lato, e Stati Uniti e Taiwan, dall’altro, ha raggiunto livelli mai toccati negli ultimi venticinque anni. Da quest’estate si sono incrociati i momenti più alti di tensione, ma i due “attori” si rimandano la responsabilità dell’escalation. In una fase di incremento di frizioni, la Cina ha effettuato eccezionali manovre militari intorno a quest’isola abitata da ventitré milioni di abitanti, arrivando a creare una sorta di blocco del perimetro costiero che, se fosse durato, avrebbe creato gravi disagi alla popolazione. Va ricordato che le visite dei parlamentari statunitensi sull’isola non sono insolite. Negli ultimi dieci anni, secondo le autorità taiwanesi, durante la seconda presidenza di Barack Obama, tra il 2012 e il 2016, settantuno politici statunitensi hanno visitato l’isola, trentacinque durante il mandato di Donald Trump e trentuno in epoca Joe Biden. Ma nel contesto della crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina queste visite hanno assunto un altro significato, facendo sollevare le ire di Pechino, probabilmente anche strumentali.

Così, appena terminate, le manovre militari cinesi intorno a Taiwan – in conseguenza della visita della Pelosi – sono subito riprese dopo la nuova visita di una delegazione da Washington. L’arrivo, il 14 agosto, di cinque membri del Congresso, guidati dal senatore democratico Ed Markey, ha suscitato nuovamente la contrarietà di Pechino, che ha fatto ripartire le esercitazioni dei soldati. Secondo le autorità taiwanesi, quindici aerei cinesi hanno attraversato in questa occasione la linea mediana, considerata il confine non ufficiale tra Cina e Taiwan, ma mai riconosciuta da Pechino. Sono iniziate poi le sanzioni a carico di sette funzionari taiwanesi, inclusi sei leader del Partito Progressista Democratico (Dpp), oggi al Governo. A questi è stato interdetto di commerciare e di viaggiare in Cina.

Tali nuove azioni segnano una vera e propria escalation nei rapporti tra le due sponde dello Stretto di Taiwan, ovvero tra Pechino e Washington. Quello che superficialmente può essere considerato un atteggiamento di sfida di Washington a Pechino, in funzione protettiva di Taiwan, è utilizzato – come era prevedibile – dal presidente cinese Xi Jinping come un’opportunità per rivendicare nuovamente la sovranità sull’isola e per demolire le alleanze Usa nella regione. Il piano di Pechino di conquistare Taiwan ha diverse ragioni storiche, geopolitiche e strategiche. La motivazione principale è che il regime comunista cinese, che ha ottenuto il controllo della Cina continentale nel 1949, non ha mai voluto ammettere la sopravvivenza, alla guerra civile, della Repubblica di Cina, negando quasi subito la sua legittimità a governare Taiwan. Inoltre, il Partito Comunista cinese (Pcc) considera la “questione taiwanese” come interna, non permettendo alcuna interferenza esterna in un territorio che, tra l’altro, non ha mai controllato. Oltre al fatto che Pechino reclama di esercitare il dominio su tutti i Paesi che parlano cinese.

Ma l’aspetto geopolitico è ancora più articolato. Brevemente: la Cina del 2022 è poco somigliante al quella giovane comunista di fine 1949. Il suo grandioso sviluppo economico sviluppatosi durante la seconda metà del XX secolo le ha permesso di affermarsi come superpotenza mondiale. Ora l’obiettivo strategico è quello di annullare le alleanze statunitensi della “prima catena di isole”, una rete di isole che sbarra l’orizzonte cinese. Ma la geografia della regione del Mar Cinese Meridionale e Orientale, così come le alleanze dei suoi vicini, contrastano le ambizioni egemoniche di Pechino. Infatti, la lunga costa cinese, circa 14mila chilometri, si affaccia proprio sulla “prima catena di isole”. Quindi, la Cina è chiusa nei mari cinesi, non ha libero accesso all’Oceano Pacifico, perché si trova di fronte a questa serie di isole che sono Paesi con cui intrattiene relazioni tendenzialmente ostili. In più, questa “prima catena di isole” è composta da quattro Paesi alleati degli Stati Uniti: Giappone, Corea del Sud, Filippine e Taiwan. Le prime tre nazioni hanno siglato un trattato di mutua difesa con gli statunitensi, ottenendo garanzie di sicurezza. Tra l’altro, il Giappone ospita sei basi aeree navali Usa, la Corea del Sud due e dal 2014 le Filippine ospitano cinque basi strategiche dell’Us Air Force. Una seconda catena è costituita dalle Isole Marianne Settentrionali, dove è ubicata Guam, la principale base navale americana, Tinian, Saipan e Rota, che formano il Commonwealth degli Stati Uniti, Palau, territorio precedentemente amministrato dagli Stati Uniti, e dall’arcipelago giapponese delle Isole Ogasawara.

Quindi, non potendo indugiare su ulteriori dettagli per questioni di spazio, è evidente che la posizione geopolitica di Pechino è geostrategicamente “strozzata”. Pertanto, si può comprendere l’audacia statunitense nell’ostentare sicurezza di manovra, e la spregiudicatezza cinese nel mostrare la sua forza. Un equilibrio tra spregiudicatezza e audacia che continuerà, verosimilmente, a paralizzare quest’area e probabilmente a scagionare rischi di conflitti ad alta intensità dove, nel caso si verificassero, sarà molto improbabile avere un vincitore.

Per Xi Jinping un’annessione militare di Taiwan avrebbe lo scopo di indebolire drasticamente la presenza Usa nella regione e affermare il dominio cinese in un’area che non tocca solo l’isola. Come possiamo vedere, un bersaglio complesso da centrare, almeno utilizzando solo la forza. Considerando, per la cronaca, l’enorme mercato delle armi che è in atto tra Washington e Taiwan.

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