Il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2022 – È uscito pochi giorni fa per Feltrinelli “L’Italia nel petrolio”, scritto dal giornalista Giuseppe Oddo e dal ricercatore de la Sorbonne Nouvelle Riccardo Antoniani.
Il libro è una attenta e preziosa ricostruzione del clima in cui matura l’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei avvenuto sessant’anni fa, il 27 ottobre del 1962 e delle vicende successive di cui è protagonista Eugenio Cefis.
Sul piccolo aereo su cui viaggiano Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale viene piazzata una carica esplosiva a effetto limitato durante la sosta nell’hangar dell’Aereonautica militare dell’aeroporto di Catania Fontanarossa.
Quando, alle 18.57, il velivolo approccia la pista di Milano Linate il carrello viene aperto causando l’esplosione. Dal primo istante inizierà una intensa azione di depistaggi che durerà per decenni.
Sulla vicenda si è scritto molto, sono state fatte inchieste giornalistiche che sono costate la vita ad alcuni dei protagonisti, come il giornalista de L’Ora di Palermo Mauro De Mauro.
Molti i soggetti, in Italia e all’estero, che potevano avere un interesse a togliere di scena Mattei, imprenditore vulcanico ma scomodo che era riuscito a ritagliare per l’Italia, potenza economica in ascesa, un ruolo di primo piano nell’industria petrolifera globale.
Giuseppe Oddo, quali sono gli elementi di novità che il vostro libro aggiunge alla ricostruzione di quanto accaduto ormai 60 anni fa?
«Tanti. Ci tengo a premettere che io e Antoniani non abbiamo scritto un libro “a tesi” ma abbiamo cercato di fare un po’ più di chiarezza su una vicenda che rimane ancora piena di zone d’ombra. Che si sia trattato di omicidio è ormai fatto acclarato sebbene sopravvivano tesi negazioniste. Quello che è meno noto, e che noi documentiamo, è che, quando viene ucciso, Mattei stava lavorando ad un accordo con Francia ed Algeria che avrebbe dovuto assicurare ad Eni l’accesso alle riserve di idrocarburi del Sahara. Il gruppo Gaz de France stava già occupandosi della costruzione di un gasdotto nel Mediterraneo, attraverso Gibilterra, al quale avrebbe dovuto associarsi anche Eni. L’opera avrebbe rafforzato la posizione negoziale di Eni nei confronti delle grandi compagnie petrolifere statunitensi con cui Mattei stava trattando una sorta di tregua. Quando Mattei muore e il suo posto viene preso da Eugenio Cefis e il progetto del gasdotto viene abbandonato, un metanodotto dall’Algeria verrà costruita ma solo 20 anni più tardi. Cefis privilegerà il gas liquefatto della Esso estratto in Libia.
Attenzione però a trarre conclusioni affrettate. Si sono fatte molte ipotesi sull’interesse che avrebbero avuto le major americani a togliere di mezzo Mattei. Ma il rasserenamento che era in corso tra numero uno dell’Eni e compagnie americane stava stemperando le acredini del passato».
A questo proposito tu citi anche la ricostruzione fatta da Leonardo Maugeri che poi diventerà una delle figure di primo piano di Eni. Secondo Maugeri le major non temevano eccessivamente l’intraprendenza di Mattei. I ritrovamenti di idrocarburi non erano ancora tali da impensierire colossi come Shell, Esso o Bp. I veri nemici di Mattei, secondo questa tesi, non stavano fuori dall’Italia ma erano alcuni dei più influenti esponenti del capitalismo italiano e dei partiti. Ti chiedo in modo un po’ “brusco”, chi ha ucciso Mattei?
«Quello che oggi possiamo dire con sicurezza è che il presidente dell’Eni è stato ucciso. Da chi non lo possiamo ancora sapere con ragionevole certezza. Sicuramente c’è stata una complicità di apparati statali italiani ma non solo. Certi ambienti interni alla stessa Eni e alla Confindustria non sono stati estranei. Sostituire l’olio pesante con il gas, come pensava di fare Mattei, era un’operazione che andava a colpire tanti e importanti interessi.
Tendo ad escludere che ci sia stato un ruolo degli Stati Uniti e delle compagnie statunitensi mentre non potrei dire lo stesso della pista francese o britannica. Mattei aveva creato malumori per il ruolo svolto in Iraq, dominio della Anglo Persian oil (ora Bp) e per la politica di avvicinamento di Eni ai governi di Baghdad a cui era stata avanzata una richiesta di concessioni.
Rimane in piedi anche l’ipotesi francese. Parigi considerava l’Algeria il suo cortile di casa, se c’era chi guardava con favore al progetto di triplice accordo di Mattei, c’era anche chi non lo vedeva di buon occhio. L’Oas (Ogranisation de l’Arméé Scerète), organizzazione che si batteva contro l’indipendenza algerina dalla Francia aveva già minacciato di morte Mattei. Al momento dell’omicidio, dopo gli accordi di Evian siglati nel 1962 tra Parigi ed Algeri, l’Organisation era ormai già fuori dai giochi, una sorta di scheggia impazzita ma che, proprio in quanto tale avrebbe potuto essere usata per regolare conti in sospeso».
Nella seconda parte del libro curata da Riccardo Antoniani l’attenzione si sposta sul lavoro svolto da Pierpaolo Pasolini che inizia ad occuparsi della vicenda nel 1972. Il suo lavoro porterà alla stesura del libro “Petrolio” che verrà pubblicato solo nel 1992, alla vigilia di tangentopoli, con il mistero del capitolo mancante in cui Pasolini all’epoca scriveva per il Corriere della Sera ed era un intellettuale conosciuto in tutto il mondo. Questo per dire che indagini intraprese da un personaggio di questa levatura non sono indagini qualsiasi. Molto probabilmente Pasolini incontrò Giulio Andreotti e ricevette un dossier su “un uomo molto potente”, quello che potrebbe essere il capitolo mancante di Petrolio. La tesi di Pasolini è che la nomina alla guida dell’Eni di Eugenio Cefis, sostenuto da Amintore Fanfani, richiedesse preventivamente l’eliminazione di Mattei e quindi i riflettori puntano con più decisione sul manager di Cividale del Friuli. Peraltro Fanfani sarà anche il primo politico a parlare apertamente di omicidio, associando l’incidente aereo ad un’azione terroristica, la prima della stagione stragista della strategia della tensione.
Nel vostro libro viene riportata anche la strana circostanza per cui Cefis si trova in Sicilia il 26 il 27 ottobre del 1962, nelle stesse ore in cui sull’Isola si trova anche Mattei. Cosa ci fa lì Cefis?
«Pare che a Palermo incontri l’avvocato Vito Guarrasi, uomo al centro di infinite relazioni ed eminenza grigia del potere siciliano. Il motivo della presenza di Cefis non è chiaro. All’inizio del 1962 si era dimesso dall’Eni motivando la decisione con la volontà di occuparsi del suo patrimonio personale. Anche questa circostanza è curiosa perché Cefis è contrario alla linea di contrapposizione di Mattei con le compagnie statunitensi ma il suo passo indietro avviene proprio mentre, come abbiamo ricordato, il presidente di Eni sta contrattando la tregua con gli americani. Sono circostanze che non provano nulla ma che contribuiscono ad accrescere l’ambiguità del ruolo svolto dal successore di Mattei».
Perché il giornalista De Mauro viene prima rapito e poi ucciso?
«Leonardo Sciascia disse che “O aveva parlato della cosa sbagliata con la persona giusta, o della cosa giusta con la persona sbagliata”. De Mauro, verosimilmente, viene a conoscenza dei nomi delle persone che sapevano a che ora sarebbe partito da Catania l’aereo di Mattei, elemento cruciale per collegare il tritolo già sistemato nell’aereo la sera prima al sistema di apertura del carrello».
Cosa sarebbe cambiato nelle relazioni energetiche italiane ed europee se il progetto di Mattei in Algeria fosse stato realizzato?
«Dirlo adesso a sessant’anni di distanza è, con tutta la buona volontà, impossibile. Mattei fu certo molto lungimirante nel capire le potenzialità del gas, un idrocarburo su cui Eni aveva un primato tecnologico a livello internazionale. Si rese anche conto che i prezzi del petrolio non avrebbero potuto rimanere così bassi per sempre. E infatti nel 1973 lo choc petrolifero colpirà duramente le economie occidentali. Avere già allora un accordo tra due delle tre principali economia europee e l’Algeria avrebbe probabilmente ridotto l’impatto della crisi energetica e reso Italia ed Europa meno dipendenti dai paesi del Medioriente».
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