MARCELLO VENEZIANI: “Ci vorrebbe un Mattei per ridarci energia”

A fine ottobre di sessant’anni fa l’Italia perdeva tragicamente “l’uomo più potente d’Italia, dopo Giulio Cesare”. Il giudizio esagerato della BBC si riferiva a Enrico Mattei, il “tycoon” che aveva cercato di ridare un ruolo all’Italia attraverso le fonti energetiche e un’audace politica estera mediterranea. Mattei volle “costruire la sovranità energetica” italiana con l’Eni passando dal “gattino impaurito” al cane a sei zampe (simbolo delle quattro ruote, più due gambe).
La definizione è nel sottotitolo di un libro ampio, onesto e documentato, di Leonardo Giordano, Enrico Mattei, appena pubblicato da Giubilei- Regnani. Marchigiano, figlio di un carabiniere, Mattei fu da giovane militante fascista; diventò poi capo delle brigate “bianche” partigiane. Aveva duemila uomini sotto di lui ma diventarono 40mila il 25 aprile. Concepì la Resistenza come una liberazione nazionale contro l’invasore, anziché una guerra civile antifascista, rifiutò l’egemonia comunista e tentò invano di portare i partigiani cristiani fuori dell’ANPI, l’associazione dei partigiani. Ebbe un ruolo eminente nella prima Dc. Il Comitato di Liberazione Nazionale lo volle alla guida dell’Agip, con l’intenzione di liquidare l’azienda del passato regime. Invece Mattei la fece rinascere come Eni, la potenziò e la ramificò in una strategia nazionale di sovranità e indipendenza energetica. Si oppose all’egemonia delle Sette Sorelle, le compagnie petrolifere americane, fece una politica autonoma in Africa e in Medio Oriente, dall’Iran all’Algeria, sostenne il nazionalismo di Nasser in Egitto, si pose in urto con Israele per la sua linea filo-araba; fece saltare le condizioni economiche che gli Usa imponevano nel mondo colonizzando nel nome dell’energia. Mattei contribuì alla nascita in Italia della rete autostradale; riuscì a ridurre il prezzo di benzina e fertilizzanti, acquistò e rilanciò aziende in crisi (come fu il caso della Pignone), fondò il quotidiano anti-Corriere, il Giorno, all’epoca innovativo, a sostegno della svolta verso il centro-sinistra; finanziò correnti politiche, come quella di Base nella Dc, a sostegno della sua strategia. Mise in piedi all’Eni un settore di produzione di film, come l’Istituto Luce del passato regime, per divulgare i successi dell’Eni nel Sistema Italia.
Ebbe il sostegno di De Gasperi e poi di Gronchi e Fanfani, e l’ostilità della destra democristiana, dei liberali, di don Sturzo e di Montanelli. Adottò, come il fascismo, un sistema economico misto, con una forte presenza pubblica a fianco dell’impresa privata; seguì anche in politica estera e nelle aperture commerciali all’Urss, la linea perseguita da Mussolini. Era la linea mediterranea, che risaliva a Crispi, e che sarebbe poi riaffiorata con Craxi e, con alcune ambiguità, con Moro e Andreotti. Tutti, dopo Mattei, pagarono pesantemente quella linea ritenuta anti-atlantica. Il casus belli, nota Giordano, fu l’esclusione dell’Eni dagli affari delle major americane con l’Iran, che Mattei aggirò trattando direttamente e vantaggiosamente con Teheran.
Mattei era un patriota, un nazional-populista, c’era una forte componente nazionalista e di orgoglio italiano – nota il suo biografo Nico Perrone – maturata al tempo in cui si iscrisse al partito fascista. Nella sua Storia della Repubblica, Giano Accame lo considerò un geniale innovatore e “la sola personalità” capace di restituire all’Italia una politica nazional-popolare di potenza. In verità, quella stagione irripetibile ebbe anche altri importanti innovatori del marchio e dell’ingegno italiano: si pensi ad Adriano Olivetti con i computer e Felice Ippolito per l’energia nucleare, oltre che ad alcune figure di imprenditori. Poi avvenne il sistematico boicottaggio e “plagio” dei brevetti, che strappò all’Italia primati e invenzioni e ci destinò al ruolo di colonia e di paese dipendente (dagli anni novanta in poi, perdemmo anche i marchi e le industrie italiani).
Si fece molti nemici, Mattei, soprattutto negli Usa, e molte furono le pressioni per fermarlo. Mattei fu spregiudicato, audace, usò gli stessi mezzi pirateschi della concorrenza (si definì non a caso “un Francis Drake al servizio dell’Italia”); passò per un grande corruttore, anzi colui che introdusse la corruzione nel sistema Italia. Fu perfino coinvolto in giri di escort e lolite.
Ma tutto quel che fece in politica e in affari, lo fece per l’Italia e non per sé; aveva una visione e voleva rendere grande la sua Patria, con ogni mezzo. Ciò che mancò alla Dc, come una volta ammise lo stesso Andreotti.
Fervente cristiano, Mattei credeva all’intervento della Provvidenza nella storia, si faceva il segno della croce quando saliva in aereo. Negli ultimi tempi si sentiva minacciato; una notte – racconta Giordano – sua moglie lo sorprese a piangere. Aveva ricevuto minacce di morte per lui e la sua famiglia per la sua posizione filo-algerina nella guerra di liberazione dalla Francia. Voli annullati, tragitti cambiati, vane prudenze. Il 27 ottobre del ’62 precipitò in un volo dalla Sicilia a Milano nel cielo di Bascapé, nel pavese. Aveva 56 anni. Una commissione d’inchiesta sulla sua morte nominata da Andreotti, Ministro della Difesa, non portò a nulla. Ma decenni dopo, caduto il Muro e poi l’Urss, una nuova indagine accertò che si era trattato di un attentato ma l’inchiesta fu archiviata perché riteneva impossibile risalire ai colpevoli.
Ora che siamo in piena crisi energetica con un’Europa in ginocchio e un paese in bolletta, e nessuno riesce a venire a capo dei rincari, sentiamo forte la nostalgia di Mattei, l’uomo che col suo cane a sei zampe, dette energia all’Italia.

(Panorama n.44)

Ci vorrebbe un Mattei per ridarci energia

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